Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 9 giugno 2014, n. 12958
REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24529 – 2008 R.G. proposto da:
(OMISSIS) – c.f. (OMISSIS) – e (OMISSIS) – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che li rappresenta e difende in virtu’ di procura speciale a margine del ricorso.
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che unitamente all’avvocato (OMISSIS) li rappresenta e difende in virtu’ di procura speciale in calce al controricorso.
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 1488 dei 13.5/22.5.2008 della corte d’appello di Milano;
Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 27 marzo 2014 dal consigliere dott. Luigi Abete;
Udito l’avvocato (OMISSIS) per i ricorrenti;
Udito l’avvocato (OMISSIS) per il controricorrente;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. RUSSO Rosario, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso, in tal guisa assorbiti gli altri.
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente
Dott. MIGLIUCCI Emilio – Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 24529 – 2008 R.G. proposto da:
(OMISSIS) – c.f. (OMISSIS) – e (OMISSIS) – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che li rappresenta e difende in virtu’ di procura speciale a margine del ricorso.
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) – c.f. (OMISSIS) – elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) che unitamente all’avvocato (OMISSIS) li rappresenta e difende in virtu’ di procura speciale in calce al controricorso.
– controricorrente –
Avverso la sentenza n. 1488 dei 13.5/22.5.2008 della corte d’appello di Milano;
Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 27 marzo 2014 dal consigliere dott. Luigi Abete;
Udito l’avvocato (OMISSIS) per i ricorrenti;
Udito l’avvocato (OMISSIS) per il controricorrente;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del sostituto procuratore generale dott. RUSSO Rosario, che ha concluso per l’accoglimento del primo motivo del ricorso, in tal guisa assorbiti gli altri.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto in data 2.12.1995 (OMISSIS) e (OMISSIS) citavano a comparire innanzi al tribunale di Monza (OMISSIS).Esponevano che con atti del (OMISSIS) e del (OMISSIS) avevano acquistato da (OMISSIS) la proprieta’ di due immobili costruiti dal venditore su di un terreno riportato nel N.C.T. del comune di (OMISSIS) al fol. 63, part. 169; che (OMISSIS) aveva acquistato il terreno, all’epoca distinto con la part. 7253/z, con atto del (OMISSIS) da (OMISSIS) previo frazionamento dell’originaria part. 7253; che in tal ultimo atto si “prevedeva la realizzazione, sul lato ovest, di una strada privata… larga sei metri – meta’ compresa – …, con diritto sulla stessa di passo pedonale carraio e di sottopasso di condotti” (cosi’ ricorso, pagg. 1 – 2), onde consentire l’accesso, tra l’altro, alla part. 7253/z, poi divenuta part. 169; che nell’anno 1963 (OMISSIS) aveva provveduto alla realizzazione della strada privata, denominandola via (OMISSIS); che con atto del (OMISSIS), atto ove del pari era contemplata, “sul rispettivo lato est, la strada privata da realizzarsi della larghezza di sei metri – meta’ compresa – …” (cosi’ ricorso, pag. 2), (OMISSIS) aveva acquistato da (OMISSIS), previo frazionamento, il terreno in origine distinto con la part. 7253/v, poi divenuta part. 167, del fol. 63, posto di fronte alla part. 169; che con atto del 12.1.1995 (OMISSIS) aveva trasferito a (OMISSIS), titolare dell’impresa edile “Pitagora”, l’appezzamento acquistato dal (OMISSIS); che, medio tempore, “in forza dello spostamento, realizzato nel 1961, verso est dell’asse stradale di viale (OMISSIS)…, la proprieta’ del (OMISSIS) aveva subito uno slittamento verso est in direzione della proprieta’ (OMISSIS), inglobando di fatto all’interno dei propri confini, i tre metri (la cd. “meta’ compresa”) che l’originario proprietario (OMISSIS) aveva destinato al (OMISSIS) stesso per la realizzazione della strada privata” (cosi’ ricorso, pagg. 2-3); che conseguentemente “la strada privata (poi denominata via (OMISSIS)) veniva realizzata dal frontista (OMISSIS) – (OMISSIS) interamente nella propria proprieta’” (cosi’ ricorso, pag. 3); che, divenuto proprietario, (OMISSIS) aveva intrapreso, nel sottosuolo, la costruzione di talune autorimesse ed, in superficie, la costruzione di un fabbricato, spingendosi verso la proprieta’ di essi attori; che, piu’ esattamente, “i box invadevano la loro proprieta’ e… la palazzina non manteneva i metri 6 dal confine previsti dal regolamento edilizio” (cosi’ ricorso, pag. 3).
Chiedevano all’adito tribunale di acclarare il confine della loro proprieta’ siccome comprendente anche l’intera strada privata, di condannare (OMISSIS) alla demolizione – rimozione a sue spese delle opere realizzate, nel sottosuolo, nell’esclusiva proprieta’ di essi attori ed, in superficie, a distanza inferiore a sei metri dal confine, di dichiarare l’intervenuta estinzione per prescrizione della servitu’ di passaggio pedonale e carraio e di sottopasso sulla strada privata denomina (OMISSIS).
Costituitosi, (OMISSIS) chiedeva rigettarsi le avverse domande ed accertarsi il confine est della sua proprieta’ “come coincidente con l’asse della strada privata (OMISSIS), nella posizione assunta da quest’ultima in base alle quote risultanti dai tipi planimetrici allegati agli atti di compravendita” (cosi’ ricorso, pag. 7).
Disposta ed espletata c.t.u., con sentenza n. 156/1999 il tribunale di Monza, alla stregua del tipo planimetrico sottoscritto dalle parti del rogito (OMISSIS) – (OMISSIS) del (OMISSIS), acclarava che la proprieta’ degli attori si estendeva sino alla linea di mezzeria di via (OMISSIS) e respingeva le domande tutte da costoro proposte.
Interponevano appello gli attori soccombenti.
Riproponevano le precedenti istanze e deducevano, in subordine, di aver usucapito l’intera porzione di terreno ove correva la strada privata (OMISSIS).
Si costituiva e resisteva l’originario convenuto.
Con sentenza n. 1668/2001 la corte d’appello di Milano dichiarava inammissibile ex articolo 345 c.p.c. la domanda di usucapione e rigettava l’esperito gravame.
Gli appellanti spiegavano ricorso a questa Corte di legittimita’.
Con sentenza n. 9499/2005 questa Corte disattendeva i primi due motivi, accoglieva il terzo, reputava assorbiti il quarto ed il quinto; segnatamente rilevava che la domanda volta a conseguire la declaratoria di acquisto per usucapione del diritto di proprieta’, giacche’ afferente ad un diritto “autodeterminato”, non era da considerare nuova.
(OMISSIS) e (OMISSIS) riassumevano il giudizio in sede di rinvio dinanzi alla corte d’appello di Milano.
Si costituiva e resisteva (OMISSIS).
Con sentenza n. 1488 dei 13.5/22.5.2008 la corte d’appello di Milano respingeva le domande esperite dal (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) e li condannava a rimborsare a controparte le spese del giudizio d’appello, di cassazione e di rinvio.
A fondamento della statuizione il giudice del rinvio esplicitava, tra l’altro, che (OMISSIS) aveva, nel 1963, realizzato a sua cura e spese la strada privata (OMISSIS) utilizzando pur una porzione della particella n. 167, poi divenuta di proprieta’ del (OMISSIS); che, nondimeno, “non puo’ ritenersi pienamente provato che il (OMISSIS) agisse in buona fede e con l’animo di proprietario anche di tale striscia, in quanto nell’atto (OMISSIS) si specificava che i beni acquistati confinavano ad ovest con la “strada privata da crearsi larga metri sei meta’ compresa” e l’acquirente aveva sottoscritto il tipo planimetrico che indicava il confine ovest della proprieta’ nella mezzeria della futura strada” (cosi’ sentenza impugnata, pag. 14); che “anche la realizzazione della strada e’ atto non univoco…, e l’averla costruita anche sull’altra meta’ puo’ essere ascritto a ragioni tecniche… o ad altre ragioni diverse dall’animus rem sibi habendi” (cosi’ sentenza impugnata, pag. 14); che le prove orali invocate dagli originari attori non miravano in alcun modo a fornir dimostrazione di atti o comportamenti diretti “ad escludere o a limitare il transito nei confronti degli altri aventi diritto e in particolare del (OMISSIS) e poi del (OMISSIS)” (cosi’ sentenza impugnata, pag. 15).
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), chiedendone, sulla sorta di tre motivi, la cassazione; con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di lite.
(OMISSIS) ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso, con il favore delle spese del giudizio di legittimita’.
Chiedevano all’adito tribunale di acclarare il confine della loro proprieta’ siccome comprendente anche l’intera strada privata, di condannare (OMISSIS) alla demolizione – rimozione a sue spese delle opere realizzate, nel sottosuolo, nell’esclusiva proprieta’ di essi attori ed, in superficie, a distanza inferiore a sei metri dal confine, di dichiarare l’intervenuta estinzione per prescrizione della servitu’ di passaggio pedonale e carraio e di sottopasso sulla strada privata denomina (OMISSIS).
Costituitosi, (OMISSIS) chiedeva rigettarsi le avverse domande ed accertarsi il confine est della sua proprieta’ “come coincidente con l’asse della strada privata (OMISSIS), nella posizione assunta da quest’ultima in base alle quote risultanti dai tipi planimetrici allegati agli atti di compravendita” (cosi’ ricorso, pag. 7).
Disposta ed espletata c.t.u., con sentenza n. 156/1999 il tribunale di Monza, alla stregua del tipo planimetrico sottoscritto dalle parti del rogito (OMISSIS) – (OMISSIS) del (OMISSIS), acclarava che la proprieta’ degli attori si estendeva sino alla linea di mezzeria di via (OMISSIS) e respingeva le domande tutte da costoro proposte.
Interponevano appello gli attori soccombenti.
Riproponevano le precedenti istanze e deducevano, in subordine, di aver usucapito l’intera porzione di terreno ove correva la strada privata (OMISSIS).
Si costituiva e resisteva l’originario convenuto.
Con sentenza n. 1668/2001 la corte d’appello di Milano dichiarava inammissibile ex articolo 345 c.p.c. la domanda di usucapione e rigettava l’esperito gravame.
Gli appellanti spiegavano ricorso a questa Corte di legittimita’.
Con sentenza n. 9499/2005 questa Corte disattendeva i primi due motivi, accoglieva il terzo, reputava assorbiti il quarto ed il quinto; segnatamente rilevava che la domanda volta a conseguire la declaratoria di acquisto per usucapione del diritto di proprieta’, giacche’ afferente ad un diritto “autodeterminato”, non era da considerare nuova.
(OMISSIS) e (OMISSIS) riassumevano il giudizio in sede di rinvio dinanzi alla corte d’appello di Milano.
Si costituiva e resisteva (OMISSIS).
Con sentenza n. 1488 dei 13.5/22.5.2008 la corte d’appello di Milano respingeva le domande esperite dal (OMISSIS) e dalla (OMISSIS) e li condannava a rimborsare a controparte le spese del giudizio d’appello, di cassazione e di rinvio.
A fondamento della statuizione il giudice del rinvio esplicitava, tra l’altro, che (OMISSIS) aveva, nel 1963, realizzato a sua cura e spese la strada privata (OMISSIS) utilizzando pur una porzione della particella n. 167, poi divenuta di proprieta’ del (OMISSIS); che, nondimeno, “non puo’ ritenersi pienamente provato che il (OMISSIS) agisse in buona fede e con l’animo di proprietario anche di tale striscia, in quanto nell’atto (OMISSIS) si specificava che i beni acquistati confinavano ad ovest con la “strada privata da crearsi larga metri sei meta’ compresa” e l’acquirente aveva sottoscritto il tipo planimetrico che indicava il confine ovest della proprieta’ nella mezzeria della futura strada” (cosi’ sentenza impugnata, pag. 14); che “anche la realizzazione della strada e’ atto non univoco…, e l’averla costruita anche sull’altra meta’ puo’ essere ascritto a ragioni tecniche… o ad altre ragioni diverse dall’animus rem sibi habendi” (cosi’ sentenza impugnata, pag. 14); che le prove orali invocate dagli originari attori non miravano in alcun modo a fornir dimostrazione di atti o comportamenti diretti “ad escludere o a limitare il transito nei confronti degli altri aventi diritto e in particolare del (OMISSIS) e poi del (OMISSIS)” (cosi’ sentenza impugnata, pag. 15).
Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), chiedendone, sulla sorta di tre motivi, la cassazione; con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese di lite.
(OMISSIS) ha depositato controricorso; ha chiesto rigettarsi l’avverso ricorso, con il favore delle spese del giudizio di legittimita’.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo i ricorrenti deducono, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 4), la violazione e falsa applicazione degli articoli 99, 112, 115, 336 e 384 c.p.c. e degli articoli 1140, 1158, 1159 e 2907 c.c.; in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio.
All’uopo e peraltro adducono che il giudice del rinvio ha “erroneamente ritenuto le deduzioni istruttorie fondate su circostanze nuove e quindi inammissibili, con cio’ contraddicendo quanto affermato dalla Cassazione” (cosi’ ricorso, pag. 19); che la mancata ammissione dei mezzi istruttori si e’ tradotta in un vizio di motivazione della sentenza, giacche’ loro tramite si ambiva “a dimostrare la ricorrenza di tutti i presupposti… decisivi per ottenere una pronuncia di titolarita’ del diritto di proprieta’ sulla strada de qua” (cosi’ ricorso, pag. 20).
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), il vizio di omessa e insufficiente motivazione in ordine alla domanda di demolizione per mancato rispetto delle distanze legali e di intervenuta estinzione per prescrizione della servitu’ di passaggio.
All’uopo adducono che al riguardo la “motivazione della sentenza di rinvio… si e’ limitata a riprodurre le stesse statuizioni della sentenza d’appello cassata, senza articolare un proprio, logico e coerente sviluppo logico – normativo che facesse buon governo della sentenza di annullamento” (cosi’ ricorso, pagg. 26 – 27); che, segnatamente, in ordine all’invocata declaratoria di estinzione per prescrizione della servitu’, la decisione del giudice del rinvio “parte dal presupposto errato della novita’ delle richieste probatorie… ritenendole preliminarmente inammissibili” (cosi’ ricorso, pag. 27).
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione degli articoli 385, 91 e 92 c.p.c.; in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
All’uopo adducono che il giudice del rinvio “ha condannato i resistenti a rimborsare al (OMISSIS) le spese di appello, cassazione e giudizio di rinvio” (cosi’ ricorso, pag. 28); che nondimeno il giudice del rinvio non e’ esonerato “dall’obbligo di motivazione in ordine al quantum ed al modus della ripartizione delle spese in relazione a quella fase o grado del giudizio, nel quale il soccombente finale e’ risultato parzialmente o totalmente vittorioso, a causa di errores in procedendo o in judicando commessi dal Giudice del merito, che lo hanno visto costretto a impugnare la relativa decisione” (cosi’ ricorso, pag. 28).
Si reputa opportuno attendere alla disamina congiunta del primo e del secondo motivo di ricorso.
Entrambi in ogni caso non meritano seguito.
Non possono che ribadirsi, ovviamente, i principi secondo cui la proprieta’ e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei diritti “autodeterminati”; secondo cui, conseguentemente, nelle azioni ad essi relative la causa petendi si identifica con i diritti stessi e non con il titolo (contratto, successione ereditaria, usucapione, etc.) che ne costituisce la fonte, la cui deduzione non ha la funzione di specificazione della domanda, ma e’ necessaria ai soli fini della prova; secondo cui, ulteriormente, non da luogo alla proposizione di una domanda nuova in appello, preclusa dall’articolo 345 c.p.c., la deduzione da parte dell’attore in rivendicazione di avere acquistato la proprieta’ del bene controverso per usucapione (cfr. Cass. 10.10.1997, n. 9851).
Gli insegnamenti teste’ reiterati, tuttavia, non implicano che, limitatamente ai diritti “autodeterminati”, si possa portar deroga al sistema delle preclusioni che regola l’ammissibilita’ della prova in grado di appello, ammissibilita’ che resta comunque assoggettata alla disciplina dell’articolo 345 c.p.c., ove e’ vietata l’ammissione di nuovi mezzi di prova, salva la valutazione, da parte del giudice, dell’eventuale indispensabilita’ degli stessi o dell’esistenza delle condizioni per la rimessione in termini della parte che sia incorsa nella decadenza relativa alla formulazione delle necessaire istanze istruttorie (cfr. Cass. 23.12.2010, n. 26009).
Alla luce di tale rilievo si dimostrano, da un lato, del tutto corrette le affermazioni di inammissibilita’, quali operate dal giudice del rinvio, dei capitoli di prova di cui all’atto di appello in data 20.5.1999 poi richiamati nell’atto di riassunzione del giudizio (cfr. sentenza impugnata pagg. 15 e 17), dall’altro, del tutto ingiustificate la prospettazione dei ricorrenti – reiterata e per il primo e per il secondo motivo di ricorso – secondo cui la corte milanese “non avrebbe potuto motivare il rigetto della domanda… sulla inammissibilita’ per novita’ delle richieste istruttorie” (cosi’ ricorso, pag. 19) ed il corollario dell’asserito difetto di motivazione che i medesimi (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno inteso trarre.
E cio’ tanto piu’, a tal ultimo riguardo, che la corte distrettuale ha puntualizzato che, in ogni caso, quanto ai capitoli richiamati nell’atto di riassunzione, solo il capitolo n. 5 “sarebbe pertinente, ma il suo tenore, e il tenore della fotografia sub doc. 13, depongono per la sua totale irrilevanza, concernendo una pretesa “recinzione” in ferro di due metri posta non sulla strada privata… quindi del tutto defilata” (cosi’ sentenza impugnata, pag. 15).
E’ innegabile, d’altro canto, che i motivi fondanti il ricorso per cassazione devono connotarsi, a pena di inammissibilita’, alla stregua dei requisiti della specificita’, completezza e riferibilita’ alla decisione impugnata (cfr. Cass. 17.7.2007, n. 15952).
Su tale scorta si rimarca che l’assunto dei ricorrenti, secondo cui in modo del tutto incongruo il giudice del rinvio avrebbe incentrato “il proprio ragionamento sulla sussistenza o meno del requisito della buona fede e del titolo idoneo, come se fosse chiamata a decidere su una domanda di usucapione decennale” (cosi’ ricorso, pagg. 22 e 23; da tale assunto i ricorrenti traggono il corollario secondo cui la corte sarebbe incorsa nella violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato), per nulla si correla alla ratio decidendi.
La corte milanese, al di la’ del riferimento alla buona fede, ha categoricamente escluso (siccome emerge dai passaggi salienti della motivazione in precedenza riprodotti) che (OMISSIS), dapprima, ed i ricorrenti dipoi (i “signori (OMISSIS) – (OMISSIS)… proseguirono la relazione di fatto con la porzione in parola con le medesime caratteristiche oggettive e soggettive, positive e negative, del loro dante causa”: cosi’ sentenza impugnata, pag. 15), abbiano agito con l’animus rem sibi habendi. E, disconosciuto qualsivoglia fondamento alla domanda di usucapione, ha piu’ che coerentemente, con motivazione esaustiva ex se, denegato ogni seguito alla domanda di demolizione spiegata dagli originari attori, “in quanto pacificamente il (OMISSIS), nel sottosuolo, ha realizzato dei box senza invadere la proprieta’ dei signori (OMISSIS) – (OMISSIS), spingendosi legittimamente fino alla mezzeria della stessa…, in superficie, ha edificato la palazzina a distanza dal confine con il mappale 169… superiore ai mt 6 previsti dal piano regolatore” (cosi’ sentenza impugnata, pagg. 16-17).
E’ innegabile, d’altronde, che, ai fini di una corretta decisione, il giudice del merito non e’ tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, ne’ a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. 10.5.2000, n. 6023).
Su tale scorta si stempera significativamente la valenza della prospettazione di parte ricorrente secondo cui il giudice del rinvio non avrebbe per nulla tenuto conto del rogito del 12.1.1995, rogito ove alcun riferimento si rinviene al trasferimento della meta’ della strada privata (OMISSIS) dal (OMISSIS) al (OMISSIS).
La corte distrettuale ha viceversa ancorato il suo dictum a motivazione ampia, articolata, congrua e coerente.
E cio’ tanto piu’ che ha avuto cura di puntualizzare che dalla medesima allegazione documentale dei ricorrenti e’ dato evincere un elemento di valutazione eloquentemente contrario alla loro prospettazione.
La corte, invero, ha precisato che “fin da quando fu completata la costruzione da parte del (OMISSIS) della casa iniziata nel 1963, il (OMISSIS) stesso provvide a recingere la sua proprieta’ collocando la recinzione in fregio al ciglio est della strada privata quindi escludendo la stessa dal suo diretto dominio, inibendosi cosi’ di goderne in modo pregnante ed esclusivo” (cosi’ sentenza impugnata, pag. 15).
E’ indubitabile, per altro verso, che la servitu’ di passaggio non e’ servitu’ negativa, di guisa che, ai fini della decorrenza del termine di sua prescrizione, nel segno dell’articolo 1073 c.c., prima parte comma 2 rileva il mero fatto della cessazione del suo esercizio.
Sicche’ l’affermazione del giudice del rinvio, secondo cui, in relazione all’invocata declaratoria di estinzione per prescrizione della servitu’ di passaggio, i capitoli di prova “non risultano idonei a suffragare la domanda, in quanto, per affermare la prescrizione di una servitu’ di passaggio, non e’ sufficiente dimostrare il non uso da parte degli aventi diritto, ma occorre provare che si verifico’ un fatto o fu compiuto un atto impeditivo dell’esercizio” (cosi’ sentenza impugnata, pag. 17), non e’ a rigore corretta, secundum ius.
Nondimeno la corte milanese ha affermato che, “nella fattispecie, e’ pacifico che alla strada privata si accedeva e si accede liberamente da nord a sud e nei capitoli non si deduce che il (OMISSIS) o i signori (OMISSIS) – (OMISSIS) abbiano apposto sbarramenti, cancelli o formulato divieti con cartelli o altro” (cosi’ sentenza impugnata, pag. 17).
Ebbene, alla luce di tal ultime pregnanti ed univoche risultanze questa Corte di legittimita’ reputa – ed in tal guisa si avvale della prerogativa che l’articolo 384 c.p.c., all’u.c. le accorda – che possa correttamente presumersi che l’avente diritto non abbia per nulla cessato di esercitare ed utilizzare la servitu’ il passaggio (cfr. Cass. 5.7.1990, n. 7084, secondo cui nella prova per presunzioni, ai sensi degli articoli 2727 e 2729 c.c., non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessita’ causale, ma e’ sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalita’).
Inammissibile e’ il terzo motivo di ricorso.
La corte distrettuale ha condannato i ricorrenti a rifondere a controparte le spese del giudizio di appello, di cassazione e di rinvio in aderenza al criterio di cui alla prima parte dell’articolo 91 c.p.c., comma 1 (“il giudice… condanna la parte soccombente…”).
In questi termini e’ sufficiente il rinvio all’insegnamento di questo giudice del diritto, secondo cui e’ insindacabile in sede di legittimita’ la statuizione sulle spese adottata dal giudice di merito, ove il giudice, pur se in assenza di qualsiasi motivazione, le abbia poste a carico del soccombente, anche disattendendo l’espressa sollecitazione a disporne la compensazione (cfr. Cass. 10.6.1997, n. 5174).
Il rigetto del ricorso giustifica la solidale condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’.
La liquidazione segue come da dispositivo.
All’uopo e peraltro adducono che il giudice del rinvio ha “erroneamente ritenuto le deduzioni istruttorie fondate su circostanze nuove e quindi inammissibili, con cio’ contraddicendo quanto affermato dalla Cassazione” (cosi’ ricorso, pag. 19); che la mancata ammissione dei mezzi istruttori si e’ tradotta in un vizio di motivazione della sentenza, giacche’ loro tramite si ambiva “a dimostrare la ricorrenza di tutti i presupposti… decisivi per ottenere una pronuncia di titolarita’ del diritto di proprieta’ sulla strada de qua” (cosi’ ricorso, pag. 20).
Con il secondo motivo i ricorrenti deducono, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), il vizio di omessa e insufficiente motivazione in ordine alla domanda di demolizione per mancato rispetto delle distanze legali e di intervenuta estinzione per prescrizione della servitu’ di passaggio.
All’uopo adducono che al riguardo la “motivazione della sentenza di rinvio… si e’ limitata a riprodurre le stesse statuizioni della sentenza d’appello cassata, senza articolare un proprio, logico e coerente sviluppo logico – normativo che facesse buon governo della sentenza di annullamento” (cosi’ ricorso, pagg. 26 – 27); che, segnatamente, in ordine all’invocata declaratoria di estinzione per prescrizione della servitu’, la decisione del giudice del rinvio “parte dal presupposto errato della novita’ delle richieste probatorie… ritenendole preliminarmente inammissibili” (cosi’ ricorso, pag. 27).
Con il terzo motivo i ricorrenti deducono, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3), la violazione e falsa applicazione degli articoli 385, 91 e 92 c.p.c.; in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione.
All’uopo adducono che il giudice del rinvio “ha condannato i resistenti a rimborsare al (OMISSIS) le spese di appello, cassazione e giudizio di rinvio” (cosi’ ricorso, pag. 28); che nondimeno il giudice del rinvio non e’ esonerato “dall’obbligo di motivazione in ordine al quantum ed al modus della ripartizione delle spese in relazione a quella fase o grado del giudizio, nel quale il soccombente finale e’ risultato parzialmente o totalmente vittorioso, a causa di errores in procedendo o in judicando commessi dal Giudice del merito, che lo hanno visto costretto a impugnare la relativa decisione” (cosi’ ricorso, pag. 28).
Si reputa opportuno attendere alla disamina congiunta del primo e del secondo motivo di ricorso.
Entrambi in ogni caso non meritano seguito.
Non possono che ribadirsi, ovviamente, i principi secondo cui la proprieta’ e gli altri diritti reali di godimento appartengono alla categoria dei diritti “autodeterminati”; secondo cui, conseguentemente, nelle azioni ad essi relative la causa petendi si identifica con i diritti stessi e non con il titolo (contratto, successione ereditaria, usucapione, etc.) che ne costituisce la fonte, la cui deduzione non ha la funzione di specificazione della domanda, ma e’ necessaria ai soli fini della prova; secondo cui, ulteriormente, non da luogo alla proposizione di una domanda nuova in appello, preclusa dall’articolo 345 c.p.c., la deduzione da parte dell’attore in rivendicazione di avere acquistato la proprieta’ del bene controverso per usucapione (cfr. Cass. 10.10.1997, n. 9851).
Gli insegnamenti teste’ reiterati, tuttavia, non implicano che, limitatamente ai diritti “autodeterminati”, si possa portar deroga al sistema delle preclusioni che regola l’ammissibilita’ della prova in grado di appello, ammissibilita’ che resta comunque assoggettata alla disciplina dell’articolo 345 c.p.c., ove e’ vietata l’ammissione di nuovi mezzi di prova, salva la valutazione, da parte del giudice, dell’eventuale indispensabilita’ degli stessi o dell’esistenza delle condizioni per la rimessione in termini della parte che sia incorsa nella decadenza relativa alla formulazione delle necessaire istanze istruttorie (cfr. Cass. 23.12.2010, n. 26009).
Alla luce di tale rilievo si dimostrano, da un lato, del tutto corrette le affermazioni di inammissibilita’, quali operate dal giudice del rinvio, dei capitoli di prova di cui all’atto di appello in data 20.5.1999 poi richiamati nell’atto di riassunzione del giudizio (cfr. sentenza impugnata pagg. 15 e 17), dall’altro, del tutto ingiustificate la prospettazione dei ricorrenti – reiterata e per il primo e per il secondo motivo di ricorso – secondo cui la corte milanese “non avrebbe potuto motivare il rigetto della domanda… sulla inammissibilita’ per novita’ delle richieste istruttorie” (cosi’ ricorso, pag. 19) ed il corollario dell’asserito difetto di motivazione che i medesimi (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno inteso trarre.
E cio’ tanto piu’, a tal ultimo riguardo, che la corte distrettuale ha puntualizzato che, in ogni caso, quanto ai capitoli richiamati nell’atto di riassunzione, solo il capitolo n. 5 “sarebbe pertinente, ma il suo tenore, e il tenore della fotografia sub doc. 13, depongono per la sua totale irrilevanza, concernendo una pretesa “recinzione” in ferro di due metri posta non sulla strada privata… quindi del tutto defilata” (cosi’ sentenza impugnata, pag. 15).
E’ innegabile, d’altro canto, che i motivi fondanti il ricorso per cassazione devono connotarsi, a pena di inammissibilita’, alla stregua dei requisiti della specificita’, completezza e riferibilita’ alla decisione impugnata (cfr. Cass. 17.7.2007, n. 15952).
Su tale scorta si rimarca che l’assunto dei ricorrenti, secondo cui in modo del tutto incongruo il giudice del rinvio avrebbe incentrato “il proprio ragionamento sulla sussistenza o meno del requisito della buona fede e del titolo idoneo, come se fosse chiamata a decidere su una domanda di usucapione decennale” (cosi’ ricorso, pagg. 22 e 23; da tale assunto i ricorrenti traggono il corollario secondo cui la corte sarebbe incorsa nella violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato), per nulla si correla alla ratio decidendi.
La corte milanese, al di la’ del riferimento alla buona fede, ha categoricamente escluso (siccome emerge dai passaggi salienti della motivazione in precedenza riprodotti) che (OMISSIS), dapprima, ed i ricorrenti dipoi (i “signori (OMISSIS) – (OMISSIS)… proseguirono la relazione di fatto con la porzione in parola con le medesime caratteristiche oggettive e soggettive, positive e negative, del loro dante causa”: cosi’ sentenza impugnata, pag. 15), abbiano agito con l’animus rem sibi habendi. E, disconosciuto qualsivoglia fondamento alla domanda di usucapione, ha piu’ che coerentemente, con motivazione esaustiva ex se, denegato ogni seguito alla domanda di demolizione spiegata dagli originari attori, “in quanto pacificamente il (OMISSIS), nel sottosuolo, ha realizzato dei box senza invadere la proprieta’ dei signori (OMISSIS) – (OMISSIS), spingendosi legittimamente fino alla mezzeria della stessa…, in superficie, ha edificato la palazzina a distanza dal confine con il mappale 169… superiore ai mt 6 previsti dal piano regolatore” (cosi’ sentenza impugnata, pagg. 16-17).
E’ innegabile, d’altronde, che, ai fini di una corretta decisione, il giudice del merito non e’ tenuto a valutare analiticamente tutte le risultanze processuali, ne’ a confutare singolarmente le argomentazioni prospettate dalle parti, essendo invece sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter seguito nella valutazione degli stessi e per le proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli logicamente incompatibili con la decisione adottata (cfr. Cass. 10.5.2000, n. 6023).
Su tale scorta si stempera significativamente la valenza della prospettazione di parte ricorrente secondo cui il giudice del rinvio non avrebbe per nulla tenuto conto del rogito del 12.1.1995, rogito ove alcun riferimento si rinviene al trasferimento della meta’ della strada privata (OMISSIS) dal (OMISSIS) al (OMISSIS).
La corte distrettuale ha viceversa ancorato il suo dictum a motivazione ampia, articolata, congrua e coerente.
E cio’ tanto piu’ che ha avuto cura di puntualizzare che dalla medesima allegazione documentale dei ricorrenti e’ dato evincere un elemento di valutazione eloquentemente contrario alla loro prospettazione.
La corte, invero, ha precisato che “fin da quando fu completata la costruzione da parte del (OMISSIS) della casa iniziata nel 1963, il (OMISSIS) stesso provvide a recingere la sua proprieta’ collocando la recinzione in fregio al ciglio est della strada privata quindi escludendo la stessa dal suo diretto dominio, inibendosi cosi’ di goderne in modo pregnante ed esclusivo” (cosi’ sentenza impugnata, pag. 15).
E’ indubitabile, per altro verso, che la servitu’ di passaggio non e’ servitu’ negativa, di guisa che, ai fini della decorrenza del termine di sua prescrizione, nel segno dell’articolo 1073 c.c., prima parte comma 2 rileva il mero fatto della cessazione del suo esercizio.
Sicche’ l’affermazione del giudice del rinvio, secondo cui, in relazione all’invocata declaratoria di estinzione per prescrizione della servitu’ di passaggio, i capitoli di prova “non risultano idonei a suffragare la domanda, in quanto, per affermare la prescrizione di una servitu’ di passaggio, non e’ sufficiente dimostrare il non uso da parte degli aventi diritto, ma occorre provare che si verifico’ un fatto o fu compiuto un atto impeditivo dell’esercizio” (cosi’ sentenza impugnata, pag. 17), non e’ a rigore corretta, secundum ius.
Nondimeno la corte milanese ha affermato che, “nella fattispecie, e’ pacifico che alla strada privata si accedeva e si accede liberamente da nord a sud e nei capitoli non si deduce che il (OMISSIS) o i signori (OMISSIS) – (OMISSIS) abbiano apposto sbarramenti, cancelli o formulato divieti con cartelli o altro” (cosi’ sentenza impugnata, pag. 17).
Ebbene, alla luce di tal ultime pregnanti ed univoche risultanze questa Corte di legittimita’ reputa – ed in tal guisa si avvale della prerogativa che l’articolo 384 c.p.c., all’u.c. le accorda – che possa correttamente presumersi che l’avente diritto non abbia per nulla cessato di esercitare ed utilizzare la servitu’ il passaggio (cfr. Cass. 5.7.1990, n. 7084, secondo cui nella prova per presunzioni, ai sensi degli articoli 2727 e 2729 c.c., non occorre che tra il fatto noto e quello ignoto sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessita’ causale, ma e’ sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalita’).
Inammissibile e’ il terzo motivo di ricorso.
La corte distrettuale ha condannato i ricorrenti a rifondere a controparte le spese del giudizio di appello, di cassazione e di rinvio in aderenza al criterio di cui alla prima parte dell’articolo 91 c.p.c., comma 1 (“il giudice… condanna la parte soccombente…”).
In questi termini e’ sufficiente il rinvio all’insegnamento di questo giudice del diritto, secondo cui e’ insindacabile in sede di legittimita’ la statuizione sulle spese adottata dal giudice di merito, ove il giudice, pur se in assenza di qualsiasi motivazione, le abbia poste a carico del soccombente, anche disattendendo l’espressa sollecitazione a disporne la compensazione (cfr. Cass. 10.6.1997, n. 5174).
Il rigetto del ricorso giustifica la solidale condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del giudizio di legittimita’.
La liquidazione segue come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido i ricorrenti a rimborsare al controricorrente le spese del presente giudizio, che si liquidano in euro 2.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi.
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