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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza  8 ottobre 2013, n. 22888

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 16.7.1993 S.G. conveniva in giudizio, innanzi al Tribunale di Oristano, P.G. esponendo di essere proprietaria, pro indiviso, assieme alle germane So.Gi. e T.A. , di un immobile sito nel Comune di (omissis) , composto di alcuni garage al piano terra e di un appartamento al primo piano, adiacente alla stabile di proprietà del convenuto.
Assumeva l’attrice che il P. aveva realizzato alcune opere lesive del suo diritto dominicale ed, in particolare: a) aveva costruito una scala esterna alla sua abitazione in aderenza alla proprietà S. ; b) aveva innalzato una canna fumaria sul confine senza il rispetto delle distanze legali tra costruzioni; c) aveva piantato sul confine alcuni alberi anche di alto fusto; d) aveva installato una caldaia e dei servizi igienici nel muro di confine.
Tanto esposto, la S. chiedeva la condanna del convenuto alla eliminazione di dette opere ed il risarcimento dei danni.
Si costituiva in giudizio il P. che, a sua volta, denunciava la realizzazione, da parte dell’attrice, di alcune aperture sul muro di confine tra le due proprietà, prive di rete ed inferriate ed,in via riconvenzionale, chiedeva la condanna dell’attrice alla chiusura di tutte le finestre aperte sul proprio fondo.
Integrato il contraddittorio nei confronti di So.Gi. e T.A. ed espletata C.T.U. con sentenza 20.2.2003, il Tribunale di Oristano rigettava le domande di entrambe le parti compensando le spese del giudizio. Avverso tale decisione P.G. proponeva appello cui resisteva S.G. che, in via incidentale, censurava le statuizioni sulla propria domanda. Con sentenza depositata il 1.2.2007 la Corte d’Appello di Cagliari, in riforma della sentenza di primo grado, condannava le appellate alla chiusura delle vedute esistenti sulla parete dell’immobile frontistante la proprietà del P. ; accoglieva, per quanto di ragione, l’appello incidentale proposto da S.G. e condannava il P. ad estirpare le piante esistenti sul confine con la proprietà S. ; compensava fra le parti le spese dei due gradi di giudizio per un terzo, ponendo la restante parte a carico della S. .
Osservava la Corte territoriale, per quanto ancora rileva nel presente giudizio, che in relazione al bruciatore della caldaia, non era applicabile l’art. 889 c.c. in quanto riguardante solo le distanze dei tubi adducenti il gas alla caldaia senza che al riguardo la S. avesse svolto appello, essendosi la stessa limitata a lamentare unicamente l’ubicazione della centrale termica (per la quale era intervenuta in corso di causa concessione in sanatoria) e la distanza del bruciatore dal muro di confine; le aventi causa del S. , per poter usufruire della possibilità di mantenere l’apertura delle finestre,avrebbero dovuto dimostrare che le condizioni pattuite a tal fine, con la scrittura privata 8.9.1977, intervenuta tra P.G. e S.M. , dante causa dell’appellante incidentale, erano state realizzate e non solo sostenere che la condizione prevista sarebbe stata sempre realizzabile, stante l’assenza di un termine per il relativo adempimento.
Per la cassazione di tale decisione propone ricorso S.G. formulando tre motivi con i relativi quesiti. Gli intimati non hanno svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

La ricorrente deduce:
1) violazione e falsa applicazione degli artt. 889 ed 890 c.c.; erroneamente la Corte di merito aveva escluso l’applicabilità del disposto di cui all’art. 889 c.c. in relazione al bruciatore della caldaia, posizionato a distanza di soli 50 cm. dalla proprietà S. , affermando che tale norma era applicabile solo riguardo alle tubazioni adducenti il gas od il gasolio per le quali l’attrice non aveva sollevato alcuna doglianza; tale assunto non aveva tenuto conto che il bruciatore è collegato proprio alle tubazioni del gasolio che, per regola di comune esperienza, dal locale caldaia e dal bruciatore si diramano all’interno dell’abitazione;
2) violazione e falsa applicazione dell’art. 1183 c.p.c., nonché omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, laddove il giudice di appello aveva condannato S.G. alla chiusura di tre vedute al primo piano e di un’altra al piano terreno, avendo ravvisato la inefficacia giuridica della scrittura privata 8.9.1977, conclusa tra S.M. , dante causa di S.G. e P.G. il quale aveva espressamente concesso al confinante il diritto di mantenere le vedute già esistenti, frontistanti l’immobile di sua proprietà, a condizione che il S.M. trasformasse le vedute in luci e dotasse le stesse di inferriate, versando la somma di L. 400.000, corrisposta al momento della sottoscrizione di detto accordo; la Corte di merito aveva erroneamente ritenuto che il termine di adempimento di detta obbligazione doveva ritenersi scaduto, avuto riguardo agli interessi avuti di mira dalle parti con la stipulazione dell’accordo ed al notevole lasso di tempo da esso intercorso rispetto alla instaurazione della controversia (nel 1993), non considerando che, in mancanza di un termine di adempimento prefissato dalle parti, il debitore S.M. non poteva considerarsi inadempiente se non dopo la scadenza del termine fissato dal giudice su istanza del P. , ex art. 1183 c.c. o del temine fissato dal debitore ex art. 1454 c.c.; ne conseguiva che, non avendo il P. preliminarmente richiesto la risoluzione del contratto stipulato tra le parti in data 8.7.1977, il contratto stesso era ancora efficace; peraltro, alla data di instaurazione del giudizio, nell’anno 1993, gli eredi di S.M. avrebbero maturato l’acquisto per usucapione della servitù prediale di mantenere le vedute in questione a distanza inferiore a quella legale dalla proprietà del P. ;
3)violazione e falsa applicazione dell’art. 1135 c.c., posto che secondo detta scrittura privata, l’adempimento di tutte le obbligazioni a carico del S.M. costituiva condizione risolutiva meramente potestativa, rimessa all’arbitrio del debitore e, quindi, da considerarsi come non apposta al contratto 8.9.1977.
Il ricorso è infondato.
In ordine al primo motivo si osserva che la Corte di merito ha escluso l’applicabilità dell’art. 889 c.c. al bruciatore della caldaia, evidenziando che la S. si era lamentata unicamente della collocazione della centrale termica e della distanza del bruciatore dal muro di confine, senza che su quest’ultimo punto fosse stato espletato alcun accertamento, posto che la doglianza della S. non aveva riguardato tale aspetto, essendosi essa lamentata di una generica situazione di pericolo.
La censura in esame è, quindi, priva di fondamento dovendosi comunque ribadire che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, negli impianti di riscaldamento, la caldaia, il bruciatore ed il deposito di carburante non sono soggetti al disposto dell’art. 889 c.c., prevista per la distanza dei tubi di adduzione di gas alla caldaia (Cass. n. 5492/78; n. 432/85); in particolare, il bruciatore é esente dalla presunzione assoluta di pericolosità e dall’obbligo di osservanza della distanza in tema di “flusso costante di sostanza liquida o gassosa” (Cass. n. 7152/1995; n. 145/93).
Priva di fondamento è pure la seconda censura.

La Corte di merito ha correttamente rilevato che, con la scrittura privata del 1977, P.G. aveva consentito a S.M. (dante causa di S.G. ) l’apertura di una finestra a piano terra e di tre finestre al primo piano, a condizione che le aperture fossero munite di un’inferriata e di una grata in metallo (in modo che le finestre non potessero essere utilizzate per affacciarsi, gettare oggetti ecc.) con la previsione che, in caso di inadempimento a tali prescrizioni, il S. sarebbe decaduto dall’autorizzazione concessagli; che, nonostante non fosse stato previsto un termine per l’adempimento, esso doveva ritenersi connaturato alle esigenze avute di mira dalle parti e, pertanto, era da considerarsi scaduto alla data di instaurazione del giudizio de quo.
Ritiene il Collegio del tutto condivisibile tale statuizione in quanto in linea con la giurisprudenza di questa Corte secondo cui, nel caso in cui le parti abbiano condizionato l’efficacia o la risoluzione di un contratto al verificarsi di un evento senza indicare il termine entro il quale questo può utilmente avverarsi, può essere ottenuta la dichiarazione giudiziale di inefficacia del contratto stesso per il mancato avveramento della condizione sospensiva o risolutiva,senza che ricorra l’esigenza della previa fissazione di un termine da parte del giudice, ai sensi dell’art. 1183 c.c., allorché lo stesso giudice ritenga essere trascorso un lasso di tempo congruo entro il quale l’evento previsto dalle parti si sarebbe dovuto verificare (Cass. n. 22811/2010; n. 13519/1991 n. 19414/2010; n. 1149/2003).
Nella specie il giudice di appello ha dato conto, con apprezzamento di merito insindacabile in sede di legittimità in quanto congruamente motivato, del considerevole lasso di tempo trascorso dalla data di conclusione del contratto, risalente al 1977, sicché doveva ritenersi superato ogni limite di normale tolleranza con riferimento al mancato adempimento della pattuizione suddetta.
Costituisce una questione nuova, come tale inammissibile, il dedotto acquisto per usucapione della servitù di mantenere le vedute in questione a distanza inferiore a quella legale rispetto alla proprietà P. .
Quanto al terzo motivo è sufficiente rilevare che attiene ad un profilo nuovo la natura della condizione apposta a detta scrittura privata e, comunque, tale aspetto non coglie la “ratio decidendi”, laddove il giudice di appello, ha ritenuto scaduto il termine per l’adempimento.
Il ricorso va, pertanto, rigettato.
Nulla per le spese processuali, stante il difetto di attività difensiva da parte degli intimati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Nulla per le spese.

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