cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 5 ottobre 2015, n. 39881

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENTILE Mario – Presidente

Dott. CAMMINO Matilde – Consigliere

Dott. DE CRESCIENZO Ugo – rel. Consigliere

Dott. RAGO Geppino – Consigliere

Dott. ALMA Marco Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso la sentenza n. 10936/2010 CORTE APPELLO di ROMA, del 30/06/2014;

visti gli atti, la sentenza e il ricorso;

udita in PUBBLICA UDIENZA del 04/06/2015 la relazione fatta dal Consigliere Dott. UGO DE CRESCIENZO;

Udito il Procuratore Generale in persona del Dott. Alfredo Viola Pompeo, che ha concluso per annullamento con rinvio al giudice civile competente.

 

MOTIVI DELLA DECISIONE

 

(OMISSIS), tramite il difensore ricorre per Cassazione avverso la sentenza 30.6.2014 con la quale la Corte d’Appello di Roma “in riforma della sentenza del Tribunale di Roma in data 9.4.2010, emessa nei confronti di (OMISSIS), e appellata dalla sola parte civile, dichiara l’imputato ex articolo 576 c.p.p., responsabile dei danni cagionati alla predetta parte civile e lo condanna al risarcimento degli stessi da liquidarsi in separata sede e alla rifusione delle spese di difesa della parte civile, nei due gradi di giudizio, che liquida in complessivi 1.500 euro, per il primo grado e 1.200 euro per il secondo, oltre agli accessori come per legge”.

La difesa chiede l’annullamento della decisione impugnata deducendo i seguenti motivi cosi’ riassunti nei limiti stabiliti dall’articolo 173 disp. att. c.p.p..

p.1.) inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 185 c.p., articoli 2043, 1218, 1176 comma e 2495 c.c., perche’ manca la descrizione delle compromissioni patite dal danneggiato e della cui verificazione non esiste la prova. In particolare la difesa sostiene che la parte civile non ha fornito alcuna prova dell’avvenuto pagamento della somma di euro 51.462,96 portata dalla cartella esattoriale relativa alla mancata presentazione della dichiarazione Iva per l’anno 2000 e si duole della mancata dimostrazione di un danno economico al quale sarebbe conseguita la liquidazione della societa’.

p.2.) inosservanza ed erronea applicazione dell’articolo 2495 c.c.. La difesa sostiene che la Corte territoriale non ha tenuto conto della norme che regolano gli effetti della liquidazione di una societa’ e della sua cancellazione dal registro delle imprese con consequenziale effetto estintivo dei rapporti giuridici pendenti.

RITENUTO IN DIRITTO

Dalla lettura della sentenza si impugnata si evince che il ricorrente e’ stato tratto a giudizio con l’accusa di appropriazione indebita aggravata (articolo 646 c.p., articolo 61 c.p., n. 11) per non avere restituito tempestivamente, nella sua qualita’ di libero professionista i libri sociali, le scritture contabili alla societa’ SAP ” (OMISSIS)” Srl, omettendo contestualmente di presentare per via telematica il modello unico di dichiarazione IVA 2001, con danno per la predetta (OMISSIS) srl quale conseguenza di una cartella esattoriale gravata di interessi e sanzioni.

All’esito del giudizio di primo grado, il Tribunale ha assolto l’imputato dal reato ascritto con sentenza che veniva impugnata dalla parte civile. La Corte d’Appello, a sua volta, ritenuto, incidenter tantum, consumato il reato contestato, ha condannato l’imputato al risarcimento dei danni patititi dalla parte civile quale conseguenza del reato medesimo, disponendone la relativa liquidazione in un separato giudizio avanti il giudice civile.

Le doglianze della difesa avverso tale ultima decisione sono manifestamente infondate.

Va in primo luogo osservato che non possono essere accolte le censure collegate ad un denunziato vizio di motivazione riconducibile all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera c): le doglianze sono formulate in termini generici, non individuano in modo specifico uno dei vizi tipici della motivazione desumibile dal testo del provvedimento impugnato. Entrambi i motivi di ricorso esulano per il loro contenuto dai limiti dettati dall’articolo 606 c.p.p., e non rispettano il precetto della specificita’ di cui all’articolo 581 c.p.p., conducente, a sua volta, all’inammissibilita’ ex articolo 591 c.p.p..

In secondo luogo neppure possono essere accolte le denunciate violazioni di norme di legge. Invero, in termini generici e astratti la difesa del ricorrente formula censure sul fondamento della domanda risarcitoria, senza peraltro indicare in termini concreti e specifici la violazione di legge riferibile alla decisione. Le doglianze della difesa dell’imputato, per poter essere prese in considerazione, presuppongono la soluzione di questioni di fatto (individuazione del danno risarcibile ex articolo 185 c.p., quantificazione del danno risarcibile, legittimazione della societa’ (OMISSIS) srl a formulare domande risarcitorie) che dovranno essere oggetto vaglio nella competente sede di merito esulando al momento dal giudizio di legittimita’. Va infine considerato che la Corte d’Appello si e’ limitata a dichiarare l’esistenza, in capo all’imputato, dell’obbligo al risarcimento del danno, quale conseguenza della ritenuta consumazione del delitto di appropriazione indebita aggravata come contestato nel capo di imputazione.

La stessa Corte d’Appello peraltro, respingendo la richiesta di pronunciare sulla richiesta di condanna dell’imputato al pagamento di una provvisionale, ha ritenuto opportuno demandare al giudice competente in sede civile ogni questione riguardante la determinazione del danno risarcibile in favore della parte civile costituita. In quella sede l’imputato potra’ far valere ogni ragione in fatto e in diritto connessa alla domanda risarcitoria e alla effettivita’ del danno patrimoniale patito dalla parte offesa.

Per le suddette ragioni il ricorso deve pertanto essere dichiarato inammissibile e il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla cassa delle ammende, cosi’ equitativamente determinata la sanzione amministrativa prevista dall’articolo 616 c.p.p., ravvisandosi nella condotta del ricorrente gli estremi della responsabilita’ ivi stabilita.

 

P.Q.M.

 

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro 1.000,00 alla cassa delle ammende.

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