Cassazione 4

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 5 maggio 2015, n. 8935

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Luigi – Presidente

Dott. NUZZO Laurenza – Consigliere

Dott. PETITTI Stefano – Consigliere

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere

Dott. ABETE Luigi – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21792/2009 R.G. proposto da:

(OMISSIS) c.f. (OMISSIS), (OMISSIS) c.f. (OMISSIS), rappresentati e difesi in virtu’ di procura speciale a margine del ricorso dall’avvocato (OMISSIS) ed elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS);

– ricorrenti –

contro

(OMISSIS) c.f. (OMISSIS), (OMISSIS) c.f. (OMISSIS), (OMISSIS) c.f. (OMISSIS), rappresentati e difesi in virtu’ di procura speciale a margine del controricorso dall’avvocato (OMISSIS) ed elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS);

– controricorrenti –

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS).

– intimati –

Avverso la sentenza n. 404 dell’11/26.3.2009 della corte d’appello di Catania;

Udita la relazione della causa svolta all’udienza pubblica del 12 febbraio 2015 dal Consigliere Dott. Luigi Abete;

Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CELESTE Alberto, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilita’ ed, in subordine, per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto in data 26.1.1991 (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), proprietari di distinti fabbricati in (OMISSIS), e, secondo i rispettivi titoli, unici comproprietari del cortile antistante i loro immobili, citavano a comparire innanzi al tribunale di Catania i coniugi (OMISSIS) e (OMISSIS), comproprietari a loro volta di un tratto di terreno posto a sud del predetto cortile.

Esponevano che i convenuti sul loro terreno – ricadente in zona agricola E/1 – avevano negli anni immediatamente precedenti realizzato una cannicciata circolare munita di copertura in legno, cosi’ dando vita ad un ambiente rustico pavimentato adibito a ristorante – pizzeria; che nel 1989 avevano costruito dei locali in muratura destinati a servizi igienici limitrofi alla cannicciata; che nel 1999 avevano intrapreso, tra il muro di contenimento del cortile ed il lato esterno della cannicciata, la costruzione di un muro avente le caratteristiche di una parete finestrata, avevano demolito in alcuni punti la porzione superiore del muro di contenimento del cortile, avevano aperto due varchi all’interno dello stesso muro onde creare un ulteriore accesso al loro terreno, avevano realizzato a ridosso della parete esterna dell’immobile di proprieta’ di (OMISSIS) una piazzuola sopraelevata, in tal guisa ricavandone un cortiletto interno.

Esponevano inoltre che le opere erano state eseguite in assenza di concessione edilizia, in violazione delle distanze legali e del loro diritto di fruire di luce ed aria nonche’ con aggravamento della servitu’ di passaggio che essi subivano.

Esponevano infine che alcun diritto di comproprieta’ sul cortile spettava ai coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS), benche’ costoro lo rivendicassero sulla scorta di una sentenza del pretore di Paterno del 27.5.1978.

Chiedevano che si acclarasse l’esclusiva loro comproprieta’ della sezione est del cortile sito in (OMISSIS), tra la via (OMISSIS), e che si desse atto che i convenuti erano titolari esclusivamente della servitu’ di passaggio sulla medesima sezione del cortile, che le opere realizzate erano illegittime e poste a distanza inferiore a quella legale ed, in subordine, che valevano a privare gli immobili di essi attori di luce ed aria, che il muro edificato nel fondo occupava illegittimamente parte del muro di contenimento del cortile, che comunque le medesime opere costituivano aggravamento della servitu’ di passaggio ovvero uso illegittimo della cosa comune.

Chiedevano quindi che i convenuti fossero condannati alla demolizione delle opere eseguite ed al risarcimento del danno cagionato, quantificato in lire 50.000.000.

Costituitisi, i convenuti instavano per il rigetto dell’avversa domanda.

Deducevano che la sentenza del pretore di Paterno’ del 27.5.1978, nella parte in cui li aveva dichiarati comproprietari del cortile, esplicava autorita’ di giudicato e che in ogni caso avevano usucapito la comproprieta’ del cortile.

Disposta ed espletata c.t.u., all’esito dell’istruzione probatoria con sentenza n. 816/2003 il tribunale adito accoglieva parzialmente le domande di parte attrice e condannava i convenuti a rimborsare agli attori i 2/3 delle spese di lite nonche’ a farsi carico dei 2/3 delle spese di c.t.u..

Interponevano appello (OMISSIS) e (OMISSIS).

Interponevano separato appello (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) (quali eredi di (OMISSIS) e quali aventi causa dei germani (OMISSIS) e (OMISSIS)), (OMISSIS) (quale coniuge ed erede di (OMISSIS)), (OMISSIS) (quale erede di (OMISSIS)), (OMISSIS) (quale coniuge ed erede di (OMISSIS)) e (OMISSIS) (quale erede di (OMISSIS)).

Riuniti gli appelli, con sentenza n. 404 dell’11/26.3.2009 la corte d’appello di Catania in parziale riforma della gravata sentenza, in ogni altra parte confermata, cosi’ statuiva: “dichiara che (OMISSIS) ha sul cortile e sul cancello indicati in motivazione soltanto il diritto di servitu’ di passaggio per raggiungere lo stacco di terreno contestualmente alienato con atto rogato il (OMISSIS) dal Dott. (OMISSIS) (…). Compensa per 1/4

le spese processuali di entrambi i gradi e condanna (OMISSIS) e (OMISSIS) a rifondere alle altre parti la rimanente porzione (…)” (cosi’ sentenza d’appello, pagg. 15 -16).

Esplicitava la corte territoriale, in ordine al primo motivo dell’appello esperito dai coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS), che, “ai fini dell’osservanza delle norme, anche regolamentari, sulle distanze sono costruzioni non soltanto edifici o fabbriche in muratura ma anche ogni altra opera che possegga i caratteri della stabilita’ e dell’immobilizzazione rispetto al suolo al pari di quelli, ancorche’ eretti con diverso materiale” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 7); che “la concessione in sanatoria (…) e’ del tutto irrilevante in relazione al diritto del proprietario del fondo vicino all’osservanza delle norme concernenti le distanze” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 7).

Esplicitava altresi’, in ordine al terzo motivo dell’appello esperito dai (OMISSIS), da (OMISSIS), da (OMISSIS), da (OMISSIS) e da (OMISSIS), che la sentenza n. 57/1978 pronunciata dal pretore di Paterno’ nella controversia intercorsa tra (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), da un lato, e l’appellato (OMISSIS), dall’altro, non esplicava autorita’ ed efficacia alcuna di giudicato in ordine alla comproprieta’ del cortile pretesa dai coniugi (OMISSIS) – (OMISSIS); che invero il giudizio definito con la sentenza n. 57/1978 aveva avuto “ad oggetto (…) la verifica della legittimita’ o meno, alla luce delle norme regolanti la comunione, di un determinato uso del cortile” (cosi’ sentenza d’appello, pagg. 12 – 13), sicche’ la comproprieta’ rivendicata da (OMISSIS) e (OMISSIS) non era stata “oggetto di alcun accertamento effettivo, specifico e concreto da parte del giudice” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 13); che al contempo neppure l’affermazione contenuta nel ricorso introduttivo del giudizio definito con la sentenza n. 57/1978, ovvero che anche (OMISSIS) fosse comproprietario del cortile, valeva a fondare la comproprieta’ affermata dal giudice di primo grado; che difatti “la sussistenza del diritto di (com)proprieta’ non puo’ discendere ne’ da un asserto difensivo svolto in un diverso giudizio cui era estraneo l’oggetto dell’odierna contesa ne’ (…) la proprieta’ puo’ acquisirsi in base a meri atti ricognitivi (soprattutto se unilaterali)” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 13); che d’altra parte la disamina del titolo contrattuale vantato dal (OMISSIS), ovvero dell’atto pubblico in data 7.10.1920 con cui l’omonimo padre aveva provveduto all’acquisto del terreno, valeva a chiarire sufficientemente che all’originario acquirente “non fu attribuito il diritto di comproprieta’ del cortile ma soltanto la servitu’ attiva di passaggio sullo stesso, tramite il cancello che vi dava accesso, al fine di raggiungere lo stacco di terreno che gli era stato contestualmente venduto in proprieta’ esclusiva” (cosi’ sentenza d’appello, pag. 14).

Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso (OMISSIS) e (OMISSIS); ne hanno chiesto sulla scorta di cinque motivi la cassazione con ogni conseguente statuizione in ordine alle spese.

(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno depositato controricorso; hanno chiesto dichiararsi inammissibile ovvero rigettarsi l’avverso ricorso con il favore delle spese del giudizio di legittimita’.

Gli intimati (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) non hanno svolto difese.

(OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo i ricorrenti deducono “omessa e insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio ex articolo 360 c.p.c., n. 5, in relazione agli articoli 871 e 873 c.c.” (cosi’ ricorso, pag. 11).

Adducono che la corte di merito non ha sufficientemente motivato il rigetto del primo motivo dell’appello da essi esperito; che, nonostante gli esiti della c.t.u., ha del tutto trascurato “la circostanza che i manufatti (…), oltre ad essere precari in quanto strutture prefabbricate, non hanno privato affatto di aria e di luce gli edifici di proprieta’ delle parti (…) resistenti” (cosi’ ricorso, pag. 11).

Adducono inoltre che la corte di merito “ha omesso di motivare sul fatto che per il c.d. 1 ambiente, come accertato dal C.T.U. (…), e’ stata rispettata la distanza legale prevista dallo strumento urbanistico, operante in quel momento, di 20 metri tra edifici posti su fondi diversi (…) e che i c.d. servizi igienici (…) sono stati realizzati a distanza di oltre 10 metri dal confine delle parti resistenti” (cosi’ ricorso, pag. 12).

Il motivo non merita seguito.

In relazione al primo profilo e’ sufficiente evidenziare quanto segue.

Per un verso, che ai fini dell’osservanza della norma generale sulle distanze di cui all’articolo 873 c.c., la nozione di costruzione non si identifica con quella di edificio, ma si estende a qualsiasi opera non completamente interrata avente i requisiti della solidita’, della immobilizzazione rispetto al suolo anche mediante appoggio, incorporazione o collegamento fisso con una preesistente fabbrica, e cio’ indipendentemente dal livello di posa e di elevazione, dai caratteri del suo sviluppo aereo, dall’uniformita’ e continuita’ della massa e dal materiale impiegato per la sua realizzazione (cfr. Cass. 5.11.1990, n. 10608; cfr. altresi’ Cass. sez. un. 9.6.1992, n. 7067, secondo cui, ai fini dell’osservanza delle distanze di cui all’articolo 873 c.c., la nozione di costruzione comprende qualunque opera non completamente interrata avente i requisiti della solidita’ e della immobilizzazione rispetto al suolo).

Per altro verso, che, qualora sia accertata la violazione delle distanze tra costruzioni, e’ preclusa al giudice ogni indagine sull’idoneita’ dell’intercapedine ad arrecare il pregiudizio per l’igiene e la salubrita’ dello ambiente, che le norme sulle distanze intendono impedire, in quanto la legge, imponendo l’osservanza di determinate distanze, ha ritenuto che soltanto queste valgano presuntivamente a soddisfare le esigenze di sicurezza e di igiene (cfr. Cass. 7.4.1986, n. 2402).

hi relazione al secondo profilo e’ sufficiente evidenziare quanto segue.

Da un canto, che, in ossequio al canone di cosiddetta autosufficienza del ricorso per cassazione, quale positivamente sancito all’articolo 366 c.p.c., comma 1, n. 6), (al riguardo cfr. Cass. 20.1.2006, n. 1113), ben avrebbero dovuto i ricorrenti riprodurre piu’ o meno testualmente gli esiti delle indagini del c.t.u. e, segnatamente le “risposte alle deduzioni parti attrici del 14/02/1998 a firma ing. (OMISSIS) c.t.u.”.

Dall’altro, che e’ propriamente inammissibile il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio di motivazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), qualora esso prospetti un preteso migliore e piu’ appagante coordinamento dei dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito di discrezionalita’ di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione citata; in caso contrario, infatti, tale motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e percio’ in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, estranea alla natura ed alle finalita’ del giudizio di cassazione (cfr. Cass. 26.3.2010, n. 7394; altresi’ Cass. sez. lav. 7.6.2005, n. 11789).

In ogni caso in relazione ad ambedue i profili si rappresenta che difetta del tutto l’assolvimento dell’onere di cui alla seconda parte dell’articolo 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis al caso di specie (cfr. Cass. sez. un. 1.10.2007, n. 20603).

Con il secondo motivo i ricorrenti deducono “violazione e falsa applicazione di legge dell’articolo 2909 c.c. e dell’articolo 342 c.p.c.” (cosi’ ricorso, pag. 13).

Adducono che la corte distrettuale ha erroneamente disatteso l’eccezione di giudicato correlata alla sentenza del pretore di Paterno’ n. 57/1978; che invero il pretore di Paterno, “sia nella parte motiva che nel dispositivo, ha dichiarato la comproprieta’ del cortile comune in capo all’allora resistente (OMISSIS), facendo di tale assunto il presupposto logico giuridico della statuizione finale” (cosi’ ricorso, pag. 14); che dalla lettura della motivazione della sentenza n. 57/1978 si evince chiaramente che il pretore aveva radicato il suo convincimento non gia’ su mere asserzioni delle parti ricorrenti, ma sulla specifica disamina del rogito notarile in data 7.10.1920; che dunque, contrariamente a quanto affermato dalla corte distrettuale, la questione della comproprieta’ era stata “oggetto preciso e attento di accertamento” (cosi’ ricorso, pag. 14), tant’e’ che su tale scorta il pretore aveva dichiarato legittimo in applicazione dell’articolo 1101 c.c., il varco aperto da (OMISSIS) nel muro comune; che sarebbe stato onere degli allora ricorrenti, danti causa degli attori, impugnare la statuizione pretorile, sicche’ in difetto il giudicato conseguentemente formatosi valeva a coprire il dedotto ed il deducibile ed, evidentemente, tutte le questioni che del decisum costituivano l’implicito presupposto.

Il motivo e’ immeritevole di seguito.

Si puntualizza ulteriormente che il motivo in disamina involge le quaestiones oggetto del terzo motivo dell’appello che (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) ebbero ad esperire, terzo motivo che la corte di merito ha accolto, in tal guisa riformando sul punto il primo dictum, che, viceversa, aveva statuito per il rigetto della specifica domanda dagli originari attori, al riguardo, spiegata nei confronti degli attuali ricorrenti allora convenuti.

In questi termini si rappresenta che, in ossequio al canone di cosiddetta autosufficienza del ricorso per cassazione, ben avrebbero dovuto i ricorrenti riprodurre piu’ o meno testualmente il dettato della sentenza del pretore di Paterno’ n. 57/1978 (cfr. Cass. 11.2.2015, n. 2617, secondo cui nel giudizio di legittimita’, il principio della rilevabilita’ del giudicato esterno deve essere coordinato con l’onere di autosufficienza del ricorso, per cui la parte ricorrente che deduca il suddetto giudicato deve, a pena d’inammissibilita’ del ricorso, riprodurre in quest’ultimo il testo della sentenza che si assume essere passata in giudicato, non essendo a tal fine sufficiente il riassunto sintetico della stessa; cfr. Cass. sez. lav. 13.12.2006, n. 26627).

E cio’ tanto piu’ se si tiene conto che questa Corte spiega che l’accertamento e l’interpretazione del giudicato (cosiddetto esterno) formatosi fra le stesse parti in un giudizio diverso da quello in cui ne e’ invocata l’efficacia, costituiscono attivita’ istituzionalmente riservate al giudice di merito e possono essere oggetto di ricorso per cassazione solo sotto il profilo della violazione e falsa applicazione della norma dell’articolo 2909 c.c. e dei principi di diritto in tema di elementi costitutivi della cosa giudicata nonche’ per vizi attinenti alla motivazione, i quali, peraltro, vanno specificamente dedotti, non essendo sufficiente il mero richiamo all’articolo 2909 c.c. o all’articolo 324 c.p.c. e non possono comunque sollecitare – essendo i poteri della Suprema Corte limitati al sindacato di legittimita’ – indagini circa il contenuto sostanziale della pronuncia, la cui ricostruzione, risolvendosi in un apprezzamento di fatto, e’ demandata in via esclusiva al giudice di merito e resta incensurabile in sede di legittimita’ (cfr. Cass. 12.12.2006, n. 26523).

Nel solco teste’ enunciato si rappresenta in ogni caso che i rilievi motivazionali, in parte qua agitur, della corte di merito risultano in foto ineccepibili sul piano della correttezza giuridica ed assolutamente congrui e coerenti sul piano logico-formale.

Con il terzo motivo i ricorrenti deducono “violazione e falsa applicazione dello strumento urbanistico vigente al momento della realizzazione delle opere oggetto di richiesta di demolizione. Violazione del principio tempus regit actum. Violazione e falsa applicazione articoli 871, 873 c.c. e del combinato disposto con le norme urbanistiche relative alle distanze vigenti al 1976. Violazione e falsa applicazione articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3” (cosi’ ricorso, pag. 16).

Adducono che il c.tu. nominato in prime cure aveva rilevato che i lavori di costruzione erano stati ultimati negli anni 1965 e 1966; che conseguentemente il medesimo ausiliario avrebbe dovuto acquisire presso l’ufficio tecnico comunale riscontro certificato delle prescrizioni urbanistiche relative alla zona di ubicazione del terreno vigenti all’epoca di ultimazione dei lavori e non gia’ all’epoca – 1993 – di redazione della relazione di consulenza; che inoltre il comune di Paterno’, di cui (OMISSIS) era frazione, aveva approvato nel corso dello stesso anno 1966 piano regolatore che, per la zona ove e’ ubicato il terreno di proprieta’ di (OMISSIS) e (OMISSIS), fissava la distanza minima, rispettata nel caso di specie, di cinque metri tra pareti finestrate.

Con il quarto motivo i ricorrenti deducono “violazione e falsa applicazione della legge sulla abolizione del contenzioso. Insufficiente motivazione della sentenza impugnata su un fatto controverso e decisivo per il giudizio” (cosi’ ricorso, pag. 17).

Adducono che gli attori in prime cure non avevano mai domandato la disapplicazione della concessione edilizia in sanatoria; che dunque la concessione in sanatoria e’ stata disapplicata d’ufficio.

Con il quinto motivo i ricorrenti deducono “violazione norme di attuazione strumento urbanistico del 1991. Omessa o insufficiente motivazione in sentenza d’appello su fatto controverso e decisivo per il giudizio” (cosi’ ricorso, pag. 19).

Adducono che il consulente ha del tutto omesso di considerare che i manufatti prospettano su un cortile; che all’epoca dell’instaurazione del giudizio di primo grado per le costruzioni realizzate su cortili era prevista dall’articolo 34 del regolamento edilizio una deroga in tema di distanze, piu’ esattamente, era prevista una distanza pari alla meta’ della media delle altezze dei muri che si fronteggiano ed in ogni caso una distanza non inferiore a 5 m.; che la distanza tra i fabbricati di parte attrice e il manufatto precario di essi ricorrenti e’ pari a cinque metri.

Si giustifica la contestuale disamina del terzo e del quinto motivo.

Invero e l’uno e l’altro motivo si svelano immeritevoli di qualsivoglia seguito sulla scorta dei medesimi rilievi.

Piu’ esattamente ambedue i profili in cui e’ articolato il terzo motivo e l’argomentazione addotta con il quinto motivo fuoriescono, siccome emerge dal riscontro puntuale del tenore e del primo e del secondo motivo d’appello (vedasi atto di appello, pagg. 7, 8, 9 e 10), dalle doglianze che (OMISSIS) e (OMISSIS) ebbero ad addurre con l’atto di gravame.

E’ appena il caso di soggiungere, ovviamente, che nel giudizio di legittimita’ non puo’ essere proposto nessun motivo, ne’ di fatto ne’ di diritto, che comporti l’allargamento della materia del contendere – con la modificazione delle azioni o delle eccezioni gia’ proposte, o con la deduzione di nuove azioni o eccezioni – oppure che presupponga l’accertamento di nuovi elementi di fatto, ulteriori rispetto a quelli gia’ dedotti nelle fasi di merito (cfr. in tal senso Cass. 12.8.2004, n. 15673).

Del pari non merita seguito il quarto motivo.

La censura in tal guisa spiegata non e’ pertinente.

E’ sufficiente rimarcare che, in tema di rapporti di vicinato, l’illiceita’ di una costruzione realizzata a distanza inferiore di quella prescritta dalle norme regolamentari, e la conseguente facolta’ del proprietario del fondo confinante di chiedere la riduzione in pristino, secondo la previsione dell’articolo 872 c.c., non restano escluse dal fatto che la costruzione medesima sia stata eseguita in conformita’ di licenza o concessione edilizia, ovvero, nelle zone sismiche, di progetto approvato dall’ufficio del genio civile ai sensi della Legge 25 novembre 1962, n. 1684, articolo 25, poiche’ tali provvedimenti amministrativi non incidono sui suddetti rapporti, ne’ pregiudicano i diritti soggettivi dei terzi, i quali rimangono tutelabili davanti al giudice ordinario, senza che si renda necessaria da parte di detto giudice una delibazione incidentale della legittimita’ o meno di quei provvedimenti (cfr. Cass. 30.3.1985, n. 2230).

I ricorrenti, giacche’ soccombenti, vanno condannati in solido a rimborsare ai controricorrenti le spese del presente grado di legittimita’. La liquidazione segue come da dispositivo.

Nessuna statuizione in ordine alle spese va assunta, nonostante il rigetto del ricorso, nei confronti degli intimati che non hanno svolto difese.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna in solido i ricorrenti, (OMISSIS) e (OMISSIS), a rimborsare ai controricorrenti, (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) le spese del giudizio di legittimita’ che si liquidano nel complesso in euro 3.200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre rimborso forfetario delle spese generali, I.V.A. e cassa come per legge.

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