Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 4 dicembre 2014, n. 25634
Svolgimento del processo
Il condominio Verde Sirente di Rocca di Mezzo chiedeva e otteneva in data 3/3/1995 dal Presidente del Tribunale di Roma un decreto ingiuntivo nei confronti di C.M. per il pagamento spese condominiali come risultanti da preventivo e riparto approvati dall’assemblea.
L’ingiunto proponeva opposizione affermando che il condominio non aveva tenuto conto del suo credito per canoni locatizi (richiesti nell’importo di lire 5.000.000 annue) per l’appartamento dell’interno n. 50, di proprietà dell’opponente e dei suoi fratelli e utilizzato dall’amministrazione condominiale che aveva addebitato nel 1992 ai proprietari le spese condominiali ad esso relative.
L’opponente chiedeva:
– l’annullamento o la revoca del decreto;
– in via riconvenzionale l’accertamento del debito del condominio per canoni di locazione relativi all’appartamento dell’interno n. 50 di esclusiva proprietà dei fratelli C. e la condanna del condominio al pagamento del canone di locazione nella misura dovuta o che risulterà dovuta;
– in via riconvenzionale subordinata la declaratoria di illegittima occupazione da parte del condominio dell’appartamento dell’interno n. 50 e la condanna al rilascio e al risarcimento del danno equivalente al canone determinato o da determinare.
Il Condominio insisteva per la conferma del decreto ingiuntivo non essendo contestato il credito risultante dal preventivo e dal riparto approvati; contestava il controcredito opposto in compensazione negando l’esistenza di un rapporto locatizio e affermando che l’immobile pretesamente locato al condominio era invece di proprietà condominiale perché era stato venduto ai condomini dal padre dell’opponente anteriormente all’atto di donazione sulla base del quale il predetto si affermava proprietario.
Nel giudizio intervenivano in adesione alle deduzioni del condominio i condomini Ca. , P. , S. e M. .
Con sentenza del 2002 il Tribunale di Roma rigettava l’opposizione rilevando che, da un lato, il credito del condominio era certo perché la delibera sulla quale era fondata la pretesa monitoria non era stata impugnata ed era obbligatoria per tutti i condomini e, dall’altro, che non esisteva prova alcuna dell’esistenza del contratto di locazione per il quale fossero sorti crediti da opporre in compensazione o comunque da pagare.
Il C. proponeva appello riconoscendo il credito per spese condominiali, ma insistendo nel vantare il controcredito per canoni di locazione relativi all’alloggio del portiere (l’interno n. 50) del quale si affermava proprietario insieme ai fratelli e contestava che l’immobile in questione fosse condominiale, come invece affermato dal condominio.
Gli appellati (tranne il M. che restava contumace) si costituivano e chiedevano il rigetto del gravame e, in via incidentale condizionata, l’accertamento della condominialità dell’alloggio occupato dal portiere o comunque dell’esistenza di un vincolo di destinazione impresso dal venditore.
La Corte di Appello di Roma disponeva delle due cause (la presente causa oggetto della riconvenzionale e quella di opposizione a decreto ingiuntivo); questa causa era definita con la sentenza (la n. 4989/07) oggetto del presente ricorso con la quale ai sensi dell’art. 354 c.p.c. era disposta la rimessione al giudice di primo grado per l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i condomini del condominio e i comproprietari del bene, ravvisando un’ipotesi di litisconsorzio necessario.
C.M. ha proposto ricorso affidato a cinque motivi.
Il condominio e i condomini Ca.Pa. , P.P. e S.M. hanno resistito con un unico controricorso e hanno depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Con il primo motivo il ricorrente deduce la violazione dell’art. 112 c.p.c. sostenendo che la sentenza sarebbe viziata per omessa pronuncia in quanto la Corte di Appello, erroneamente ritenendo non integro il contraddittorio, sarebbe venuta meno al suo dovere di motivare e accogliere o rigettare una domanda che riguardava solo questioni di contabilità fra il condominio e il condomino, riferibili alla proprietà particolare del condomino non essendo mai insorta controversia sulla titolarità del bene e non avendo, il Condominio, richiesto l’accertamento della proprietà del bene e in tal senso formula il conseguente quesito di diritto.
2. Con il secondo motivo il ricorrente deduce il vizio di omessa pronuncia e la violazione degli artt. 103, 104 e 354 c.p.c. e sostiene che la Corte di Appello non poteva separare le due domande perché l’opposizione era fondata proprio e solo sull’esistenza del controcredito e che comunque la pronuncia non dava risposta a tutta la domanda proposta con l’opposizione a decreto ingiuntivo.
Il ricorrente, formulando il quesito di diritto, chiede se l’opposizione ad ingiunzione, allorché sia motivata da una eccezione di compensazione, sulla quale è stato accettato il contraddittorio, non possa decidersi solo sulla base della prima ammissione o non contestazione del debitore, ma vada decisa in una unica sentenza, emessa a conclusione di un unico procedimento ed unitamente alle domande di merito in tale sede contestualmente proposte dal debitore stesso a supporto dell’opposizione per conseguire il rimborso di quanto dovuto corrispondere in via esecutiva nonché per ottenere il pagamento del suo credito opposto in totale o parziale compensazione, verificandosi in caso contrario la denunciata violazione dell’art. 112 c.p.c..
3. Con il terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1131 c.c. Il ricorrente sostiene che l’amministratore era legittimato a costituirsi in giudizio nell’interesse di tutti i condomini e a tutela di un interesse comune, proprio ai sensi dell’art. 1131 che attribuisce all’amministratore la legittimazione per qualunque azione concernente le parti comuni e che pertanto non v’era alcuna necessità di integrare il contraddittorio nei confronti di tutti i condomini.
Il ricorrente, formulando il quesito di diritto, chiede se l’amministratore di un edificio in condominio sia legittimato passivamente a resistere a qualunque domanda concernente i beni comuni sia nell’ipotesi in cui si pretenda di considerarli tali, sia nell’ipotesi contraria ove si pretenda di riconoscere una destinazione comune ad un bene di proprietà di un singolo condomino dovendosi escludere la necessità dell’integrazione del contraddittorio nei confronti dei condomini perché già rappresentati ex lege dall’amministratore.
4. Con il quarto motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1117 e 1138 c.c. correlati all’art. 2646 c.c. e sostiene che il giudice di appello avrebbe di fatto negato che la porzione immobiliare destinata ad alloggio del portiere e quindi di proprietà comune fosse quella indicata nel regolamento condominiale e non quella di fatto occupata e formulando il quesito chiede se il regolamento condominiale predisposto dal costruttore e trascritto sia opponibile a tutti i successivi acquirenti e se costoro siano tenuti al rispetto delle clausole regolamentari ancorché impongano limitazioni ai diritti, ai poteri e alle facoltà spettanti ai singoli condomini sulle parti comunioni o su quelle di loro esclusiva proprietà.
5. Con il quinto motivo il ricorrente deduce il vizio di motivazione.
Il ricorrente lamenta che la Corte di appello avrebbe confuso l’istituto della compensazione con le norme che disciplinano la proprietà immobiliare senza considerare che non vi era mai stata una formale contestazione sulla esclusiva proprietà del bene che, sulla base di un titolo di acquisto (la donazione del padre ai figli) risultava di proprietà del ricorrente (e dei suoi fratelli).
6. Il terzo motivo di ricorso è fondato.
La Corte di Appello, facendo erronea applicazione dell’art. 1131 c.c. ha dichiarato la nullità della sentenza di primo grado e ha rimesso le parti al primo giudice per un nuovo processo a contraddittorio integro.
Questa Corte ha già ripetutamente affermato il principio per il quale in tema di condominio negli edifici la legittimazione passiva dell’amministratore, prevista dall’art. 1131, secondo comma, cod. civ., ha portata generale, in quanto estesa ad ogni interesse condominiale e sussiste, pertanto, anche con riguardo alla domanda, proposta da un condomino o da un terzo, di accertamento della proprietà esclusiva di un bene, senza che sia necessaria la partecipazione al giudizio di tutti i condomini (Cass. 17/12/2013 n. 28141, anche con riferimento al rapporto tra la questione ivi affrontata e quella decisa da Cass. S.U. 25454/2013; Cass. 13/12/2006 n. 26681).
Militano a favore di questa interpretazione:
– sia un argomento letterale, tenuto conto che per il chiaro disposto dell’art. 1131 cod. civ., comma 2, in base al quale l’amministratore può essere convenuto in giudizio per qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio, appare arbitrario escludere tale legittimazione nel caso in cui un condomino (o un terzo) rivendichi la proprietà esclusiva di parti dell’edificio che in base all’art. 1117 cod. civ. dovrebbero essere comuni.
– sia ratio dell’art. 1131, secondo comma, cod. civ., la quale va individuata nella esigenza di rendere più agevole ai condomini (o ai terzi) la instaurazione di giudizi aventi ad oggetto le parti comuni dell’edificio, considerando legittimato passivo l’amministratore, senza la necessità di chiamare in causa i singoli condomini, e non si comprende perché tale deroga non sarebbe operante allorché il convenuto proponga una domanda riconvenzionale nei confronti del condominio, chiedendo che venga accertato che è proprietario esclusivo di un bene che si dovrebbe considerare comune ai sensi dell’art. 1117 cod. civ..
Ne consegue che non è necessaria neppure l’integrazione del contraddittorio nei confronti dei fratelli del ricorrente, asseritamente comproprietari, in quanto a loro volta condomini, mentre, quanto alla legittimazione attiva, il comproprietario è legittimato all’esercizio delle azioni reali senza necessità di integrare il contraddittorio nei confronti degli altri.
7. La sentenza va cassata con rinvio, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
Restano assorbiti tutti gli altri motivi e le questioni di merito non esaminate dalla Corte di Appello e che dovranno essere esaminate dal giudice del rinvio.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese della presente fase, ad altra sezione della Corte di appello di Roma.
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