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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 3 settembre 2013, n. 20143

Ritenuto in fatto

1. – A N.G. , deceduto il (omissis) , sono succeduti, quali eredi ab intestato, i tre figli N.P. , S. e L. .
In vita N.G. , con atto ai rogiti del notaio Antonio Di Prospero in data 28 maggio 1986, aveva donato al figlio P. e alla di lui moglie Ca.An. un terreno con sovrastante fabbricato rurale (sito in (omissis) ), con dispensa da collazione e da imputazione.
N.S. ha introdotto, con atto di citazione notificato il 23 giugno 1988, un’azione di divisione ereditaria, chiedendo “in subordine” la riduzione della donazione fatta in vita dal proprio padre a favore del fratello P. e della di lui moglie Ca.An. .
In quel giudizio N.L. è rimasta contumace.
Il Tribunale di Larino, con sentenza n. 149/96, pubblicata il 14 giugno 1996, premesso che nella domanda di divisione ereditaria proposta dal solo coerede N.S. risulta implicitamente contenuta quella pregiudiziale di riduzione della donazione, ha dichiarato l’inefficacia parziale della donazione, nei limiti occorrenti alla reintegrazione della quota di riserva spettante al solo N.S. , procedendo, quindi, allo scioglimento della comunione ereditaria, dopo avere dato atto che il valore del relictum era pari a lire 30.889.160 e quello del donatum a lire 226.713.000.
Questa sentenza è passata in giudicato.
2. – N.L. , con successivo atto notificato il 13 ottobre 1997, ha, anch’essa, proposto davanti al Tribunale di Larino, sezione distaccata di Termoli, domanda di riduzione della donazione del terreno con sovrastante fabbricato effettuata dal de cuius N.G. in favore di N.P. e di Ca.An. con il citato atto ai rogiti del notaio Di Prospero del 28 maggio 1986.
Nella resistenza dei convenuti, il giudice adito, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria il 10 ottobre 2002, ha rigettato la domanda, sul rilievo che l’attrice non poteva proporre in autonomo giudizio la domanda di riduzione dopo che era passata in cosa giudicata la sentenza n. 149/96 che, all’esito della domanda proposta da altro coerede, aveva accolto la domanda di riduzione con riferimento al medesimo terreno e fabbricato e disposto la divisione dei beni lasciati ab intestato dal de cuius.
3. – Hanno proposto appello C.M. e C.G. , rispettivamente marito e figlio di N.L. ed eredi della stessa, nel frattempo deceduta.
La Corte di Campobasso, con sentenza pubblicata il 21 febbraio 2006, ha rigettato il gravame.
A tale conclusione la Corte d’appello è pervenuta rilevando che la domanda di riduzione non poteva essere esperita dalla N. :
(a) in primo luogo, perché proposta solo dopo il passaggio in giudicato della sentenza resa nel giudizio divisorio, sicché essa pregiudicherebbe irrimediabilmente il principio dell’intangibilità del giudicato, comportando, ove accolta, la necessità di una rideterminazione delle quote materiali (beni e conguagli) spettanti ai condividenti, cosi andando ad incidere necessariamente sulla già effettuata divisione;
(b) in secondo luogo, perché avanzata dopo che nel separato giudizio divisorio l’attore N.S. aveva esperito analoga domanda in relazione allo stesso atto di donazione;
(c) infine, perché la N. era parte (ancorché contumace) nel giudizio divisorio ed era in quel giudizio (o quanto meno, nel corso di esso, sia pure con autonomo procedimento di riduzione da riunirsi poi a quello) che avrebbe potuto e dovuto, costituendosi, proporre anch’essa la domanda pregiudiziale di riduzione, posto che il giudicato copre non solo il dedotto ma anche il deducibile.
4. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello, notificata il 25 luglio 2006, C.G. , in proprio e quale erede di C.M. , ha proposto ricorso, con atto notificato il 3 novembre 2006, sulla base di un motivo.
Hanno resistito, con controricorso, N.P. e Ca.An. .
A seguito dell’ordinanza interlocutoria di questa Corte 22 novembre 2012, n. 20701, il ricorrente ha depositato originale del certificato di morte, con la attestazione dell’avvenuto decesso di C.M. in data (omissis) .

Motivi della decisione

1. – Preliminarmente, deve essere respinta l’eccezione preliminare di carenza di legittimazione attiva del ricorrente C.G. , per non avere costui dato la prova di essere subentrato, iure successionis, nella posizione processuale di C.M. .
Infatti, per un verso, C.G. ha proposto appello, nella dichiarata qualità di figlio ed erede dell’attrice N.L. , nel frattempo deceduta, unitamente al padre C.M. , marito ed erede della stessa, senza che la qualità dell’uno e dell’altro sia stata posta, allora, in contestazione; per l’altro verso, a seguito dell’ordinanza interlocutoria 22 novembre 2012, n. 20701, C.G. ha dato prova, con il deposito dell’originale del certificato di morte, del decesso di C.M. in data (omissis) , e con ciò ha dimostrato di esserne succeduto nella posizione processuale, essendo il ricorrente figlio di costui.
2. – Con l’unico motivo (omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia, nonché violazione e falsa applicazione degli artt. 553, 554, 555, 556, 563, 713 e 2909 cod. civ.) si premette che la sentenza n. 149/96 riguardava un giudizio di scioglimento della comunione ereditaria ed una riduzione parziale proposta dal solo coerede N.S. , nei limiti occorrenti alla reintegrazione della sua quota, laddove il secondo giudizio ha ad oggetto una domanda di riduzione di quella parte della donazione non coinvolta nella prima decisione.
Secondo il ricorrente, tra le due azioni, aventi finalità diverse, non sarebbe ipotizzabile né un contrasto di giudicati né una preclusione da giudicato. Infatti, rispetto all’azione di divisione ereditaria, tendente allo scioglimento della comunione ereditaria nei confronti di tutti i partecipanti alla comunione stessa, con contestuale assegnazione delle porzioni, l’azione di riduzione mirerebbe, indipendentemente dalla divisione, al soddisfacimento dei diritti dei legittimari lesi nei confronti unicamente di coloro che hanno beneficiato delle disposizioni lesive di tali diritti. Tra le due azioni, di riduzione e di divisione, non sussisterebbe identità né della causa petendi, trattandosi di domande basate su due diritti diversi, né del peti tuia, rivolto, in un caso, allo scioglimento della comunione, e, nell’altro, all’inefficacia parziale dell’atto di donazione.
Né vi sarebbe preclusione derivante dal positivo esercizio dell’azione di riduzione da parte di altro legittimario, N.S. , giacché il diritto di agire in riduzione ha natura di diritto potestativo e spetta a ciascuno dei legittimari.
3. – Il motivo è scrutinabile nel merito, non essendo soggetto, ratione temporis, al regime del quesito di diritto, introdotto dall’art. 366-bis cod. proc. civ. con riguardo ai ricorsi avverso provvedimenti pubblicati con decorrenza dal 2 marzo 2006.
È pertanto da rigettare l’eccezione preliminare di inammissibilità sollevata dalla difesa dei controricorrenti.
4. – Nel merito, la doglianza articolata con il motivo è fondata.
Occorre premettere che la domanda di divisione si propone quando, costituitasi la comunione ereditaria in seguito alla apertura della successione legittima o testamentaria, gli eredi chiedono lo scioglimento e le conseguenti assegnazione delle porzioni o attribuzione dei beni. Poiché anche la divisione comporta la collazione e l’imputazione (art. 724 cod. civ.), carattere precipuo della domanda di divisione è che, con questa, nessun erede deduce di aver subito una lesione della quota di riserva: in altre parole, gli eredi tenuti alla collazione ed alla imputazione non affermano che quanto dal defunto, direttamente o indirettamente, è stato donato abbia ecceduto la disponibile. Il petitum, pertanto, consiste nel conseguimento della quota ereditaria, mentre la causa petendi è data dalla semplice qualità di erede legittimo o testamentario.
L’azione di riduzione, invece, si propone nel caso in cui le disposizioni testamentarie o le donazioni siano eccedenti la quota di cui il defunto poteva disporre e ha come scopo, anzitutto, la determinazione dell’ammontare concreto della quota di legittima: vale a dire, della quota di cui il defunto poteva disporre e di stabilire come ed in quale misura le singole disposizioni testamentarie o le donazioni debbano ridursi per integrare la legittima. Essendo stabilito dalla legge il diritto del legittimario ad una determinata quota, con l’azione di riduzione egli mira a conseguire in concreto tale diritto e cioè ad accertare (costitutivamente), nei confronti della successione che lo riguarda, l’ammontare della quota di riserva e, quindi, della lesione che ad essa hanno apportato le disposizioni del de cuius, nonché le modalità e l’ammontare delle riduzioni di dette disposizioni lesive. Contestualmente, l’attuazione della reintegrazione in concreto implica la proposizione delle istanze di restituzione.
Nell’azione di riduzione, quindi, assumono una fisionomia a sé tanto il petitum, quanto la causa petendi. Il primo consiste nel conseguimento della quota di riserva, previa determinazione di essa mediante il calcolo della disponibile e la susseguente riduzione delle disposizioni testamentarie o delle donazioni compiute in vita dal de cuius; la seconda è data dalla qualità di erede legittimario e dalla asserita lesione della quota di riserva. Nel petitum e nella causa petendi dell’azione di riduzione sono presenti elementi ulteriori e più specifici di quelli costituenti il petitum e la causa petendi della domanda di divisione.
Da questo quadro ricostruttivo, i cui tratti sono costantemente delineati nella giurisprudenza di legittimità (Cass., Sez. 2, 16 novembre 2000, n. 14864; Cass., Sez. 2, 23 gennaio 2007, n. 1408; Cass., Sez. 2, 13 gennaio 2010, n. 368), deriva che è da escludere che il giudicato sullo scioglimento della comunione ereditaria in seguito all’apertura della successione legittima, nella specie limitato al relictum essendo stato il coerede donatario dispensato dalla collazione (cfr. Cass., Sez. 2, 6 marzo 1980, n. 1521), comporti un giudicato implicito sulla insussistenza della lesione della quota di legittima, per effetto della donazione compiuta in vita dal de cuius, in capo a ciascun coerede condividente.
Il giudicato implicito postula infatti che tra la questione decisa e quella che si vuole tacitamente risolta sussista un rapporto di dipendenza indissolubile, che determini l’assoluta inutilità di decidere la seconda questione; esso, pertanto, non è configurabile nella specie, in considerazione dell’autonomia e della diversità dell’azione di divisione ereditaria rispetto a quella di riduzione e del fatto che il “meno”, costituito dalla domanda di divisione, non contiene “il più”, rappresentato dalla proposizione della domanda di riduzione.
Ne consegue che il coerede, convenuto nel giudizio di scioglimento della comunione ereditaria, può, dopo il passaggio in giudicato della sentenza di divisione, esperire l’azione di riduzione della liberalità compiuta in vita dal de cuius nei confronti di altro coerede dispensato dalla collazione, lamentando l’eccedenza della donazione rispetto alla disponibile e chiedendo la reintegrazione della quota di riserva, con le conseguenti restituzioni.
È bensì vero che, morto il de cuius, il legittimario leso può rinunciare all’azione di riduzione delle disposizioni lesive della sua quota di riserva, ma è necessario, a tal fine, che egli manifesti positivamente la volontà di rinunciare al suo diritto di conseguire l’integrazione spettantegli. Ove manchi una rinuncia espressa in tal senso, si può giungere a ritenere l’esistenza di una rinuncia tacita solo in base ad un comportamento inequivoco e concludente del soggetto interessato, che sia incompatibile con la volontà di far valere il diritto alla reintegrazione. Ma è da escludere che la mancata costituzione nel giudizio di scioglimento della comunione ereditaria promosso da altro coerede esprima l’inequivoca volontà della parte convenuta contumace di rinunciare a far valere, in separato giudizio, il suo diritto alla reintegrazione della quota di eredità riservatale per legge (cfr. Cass., Sez. 2, 7 maggio 1987, n. 4230; Cass., Sez. 2, 21 maggio 2012, n. 8001).
A ciò aggiungasi che il diritto alla reintegrazione della quota, vantato da ciascun legittimario, è autonomo nei confronti dell’analogo diritto degli altri legittimari, non essendo espressione di un’azione collettiva spettante complessivamente al gruppo dei legittimari (Cass., Sez. 2, 11 luglio 1969, n. 2546; Cass., Sez. 2, 13 dicembre 2005, n. 27414; Cass., Sez. 2, 20 dicembre 2011, n. 27770); sicché il giudicato sull’azione di riduzione promossa vittoriosamente da uno di essi – se non può avere l’effetto di operare direttamente la reintegrazione spettante ad altro legittimario che abbia preferito, pur essendo presente nel processo di divisione contemporaneamente promosso, rimanere per questa parte inattivo (Cass., Sez. 2, 28 novembre 1978, n. 5611) – neppure preclude a quest’ultimo di agire separatamente, nell’ordinario termine di prescrizione, con l’azione di reintegrazione della sua quota di riserva.
Questa conclusione è conforme al principio secondo cui, nel caso di pluralità di legittimare, ciascuno ha diritto ad una frazione della quota di riserva e non già all’intera quota, o, comunque, ad una frazione più ampia di quella che gli spetterebbe se tutti gli altri facessero valere il loro diritto e, quindi, ciascun legittimario può ottenere soltanto la parte a lui spettante della quota di riserva e non pure quella di coloro che sono rimasti inattivi o che hanno rinunciato all’azione di riduzione (Cass., Sez. 2, 22 ottobre 1975, n. 3500; Cass., Sez. 2, 28 novembre 1978, n. 5611).
5. – La sentenza impugnata è cassata.
La causa deve essere rinviata alla Corte d’appello di Campobasso, in diversa composizione.
Il giudice del rinvio provvedere anche sulle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’appello di Campobasso, in diversa composizione.

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