La risoluzione

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 3 marzo 2016, n. 4205

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente

Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere

Dott. CORRENTI Vincenzo – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17200/2011 proposto da:

(OMISSIS) SRL (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), in virtu’ di procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrente –

e contro

(OMISSIS) SPA, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), e (OMISSIS), giusta procura speciale a margine del controricorso;

– ricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 437/2010 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 04/05/2010;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 04/02/2016 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito l’Avvocato (OMISSIS) per la ricorrente e l’Avvocato (OMISSIS), per delega dei difensori ella ricorrente incidentale;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DE AUGUSTINIIS Umberto, che ha concluso per l’inammissibilita’ ovvero per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione ritualmente notificato in data 27 novembre 2001, la (OMISSIS) S.r.l. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Salerno – Sezione distaccata di Eboli, il (OMISSIS) scarl deducendo che tra le parti era stato concluso in data 5/7/2001 un contratto con il quale la convenuta si era obbligata a vendere all’attrice un suolo della superficie di circa 8.600 m quadri, sul quale insisteva un complesso composto da stabilimento lattiero caseario con annessa arca, adibito a centro raccolta latte, situato in (OMISSIS), acquistato dalla promittente venditrice con atto pubblico del 1997.

Il contratto prevedeva un prezzo complessivo pari a lire 2.600.000.000 oltre Iva, del quale era stata gia’ corrisposta la somma di lire 600.000.000 a titolo di caparra confirmatoria all’atto della sottoscrizione del preliminare, nonche’ l’ulteriore somma di lire 100.000.000 alla prima scadenza contrattuale convenuta. Il contratto prevedeva poi l versamento di un ulteriore acconto di lire 100.000.000 entro il 30/11/2001, ed il versamento di lire 1.800.000.000 da corrispondere a richiesta della promettente venditrice “per la definizione e la estinzione del debito che essa ha nei confronti dell’ERSAC, come richiamato in premessa e con la relativa cancellazione delle iscrizioni pregiudizievoli attualmente gravanti sull’immobile oggetto della presente vendila, salvo conguaglio sull’effettivo ammontare”. Nel contratto, al punto 4 era altresi’ stabilito che il prezzo concerneva la cessione dell’intera superficie del terreno e dei relativi corpi di fabbrica, liberi da persone e cose, i quali sarebbero stati consegnati contestualmente alla stipula del rogito notarile fissata entro e non oltre il termine del 28/2/2002.

Il Consorzio in data successiva al 31 ottobre 2001 aveva pero’ manifestato la volonta’ di risolvere il contratto per mutuo dissenso ovvero di divenire parte del piano edificatorio della societa’ attrice, ma a fronte del rifiuto, aveva immediatamente richiesto il pagamento del saldo pattuito di lire 1.800.000.000 oltre Iva. Aggiungeva l’attrice che, essendo funzionale tale versamento all’estinzione della debitoria della controparte, aveva condizionato il pagamento alla dimostrazione dell’effettiva estinzione dei debiti stessi, con la contestuale cancellazione delle formalita’ pregiudizievoli.

Conseguentemente, attesa la violazione delle regole di correttezza e di buona fede da parte della convenuta, risultava legittima l’eccezione di inadempimento opposta alla richiesta di pagamento del saldo del corrispettivo.

Alla luce di tali premesse, la (OMISSIS) S.r.l. chiedeva accertare l’inadempimento della controparte e pronunciare sentenza ex articolo 2932 c.c., costitutiva del trasferimento dell’immobile in suo favore, previa determinazione della somma da corrispondere, riducendo altresi’ il prezzo in ragione del costo da sostenere per liberare il bene dall’occupante senza titolo, e delle somme necessarie per l’estinzione dei debiti della controparte, alla quale avrebbe provveduto la stessa attrice, il tutto con la condanna altresi’ al risarcimento dei danni derivanti dal ritardo nell’attuazione del piano edificatorio.

Si costituiva il Consorzio il quale impugnava l’avversa domanda, ed a sua volta proponeva domanda riconvenzionale di risoluzione del contratto per il mancato pagamento del prezzo ai sensi degli articoli 1454 e 1455 c.c., ovvero ex articoli 1453 e 1455 c.c., con la condanna dell’attrice al risarcimento del danno quantificato in lire 600.000.000.

In corso di causa veniva accolta la richiesta di sequestro giudiziario proposta dalla societa’ attrice, sequestro successivamente revocato ed, infine, il Tribunale con la sentenza n. 336 dell’11/11/2004 rigettava la domanda attorca ed, in parziale accoglimento della riconvenzionale, pronunciava la risoluzione del preliminare per inadempimento dell’attrice.

In motivazione evidenziava che l’obbligazione di pagamento del saldo del prezzo era stata prevista senza termine, e soprattutto senza alcuna anteriorita’ logica o giuridica dell’estinzione delle formalita’ gia’ gravanti sul bene rispetto al pagamento del saldo. Per l’effetto, a fronte della richiesta del 9/11/2001 di versamento di tale somma, la promissaria acquirente avrebbe dovuto dare corso al pagamento, sicche’ il suo inadempimento rendeva infondata la domanda principale ex articolo 2932 c.c., ed avvalorava al contrario la bonta’ della domanda riconvenzionale di risoluzione per violazione della diffida ad adempiere. Tuttavia non poteva trovare accoglimento la richiesta di risarcimento del danno nell’importo indicato dalla convenuta, non potendosi qualificare in termini di caparra la somma versata contestualmente alla stipula del preliminare, e mancando in ogni caso la prova dei danni effettivamente subiti.

La (OMISSIS) S.r.l. proponeva appello avverso tale sentenza assumendo che in realta’ era il Consorzio ad essere inadempiente all’obbligo di consegnare entro il 31/12/2001, e quindi prima della ricezione della diffida ad adempiere, la porzione di suolo libera dall’occupante senza titolo. Poiche’ per effetto del rinnovo della diffida ad adempiere, era stata rimessa in termini per l’adempimento della propria prestazione, a fronte della legittima eccezione di inadempimento proposta, incombeva al Consorzio dimostrare di aver adempiuto alle proprie obbligazioni, occorrendo peraltro rilevare che anche in relazione alla prima richiesta del 9/11/2001, si palesava legittimo il rifiuto di adempiere emergendo il rischio di non poter conseguire la controprestazione, ancorche’ la data della sua esecuzione era successiva alla diffida.

Aggiungeva altresi’ che la sentenza difettava di ogni motivazione circa la gravita’ dell’inadempimento, e che, in ogni caso, dalla comparazione tra le condotte tenute dalle parti, certamente non risultava grave il mancato pagamento del saldo del prezzo, occorrendo, in base ad un’integrazione del contratto secondo i principi di correttezza e di buona fede, ritenere necessaria come contestuale al pagamento, l’estinzione dei debiti versoi creditori ipotecari.

Concludeva pertanto per l’integrale riforma della sentenza impugnata con il conseguente accoglimento della domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre.

Si costituiva l’appellata, nelle more trasformatasi in (OMISSIS) S.p.A., deducendo che in realta’ controparte non aveva mai avanzato domande di risoluzione del contratto, di modo che l’appello risultava del tutto privo di fondamento. Evidenziava inoltre che gia’ alla data del 31/12/2001 l’appellante era inadempiente all’obbligo di versamento del saldo del prezzo, laddove la liberazione completa del bene era prevista solamente per la successiva data concordata per la stipula del definitivo.

Concludeva pertanto per il rigetto dell’appello principale, ed in via incidentale, si doleva del mancato accoglimento della richiesta di incameramento della caparra.

La Corte di Appello di Salerno con la sentenza n. 437 del 4/5/2010, rigettava entrambi gli appelli condannando l’appellante principale al rimborso dei due terzi delle spese di lite in favore della controparte.

Nella motivazione, rilevava che dallo stesso tenore del testo contrattuale emergeva che l’obbligo di versamento del saldo del prezzo, per l’importo di lire 1.800.000.000 era stato previsto senza alcuna previsione di contestualita’ ovvero di contemporaneita’ con l’estinzione dei debiti e la cancellazione delle formalita’ ipotecarie, cosicche’ il pagamento doveva avvenire a semplice richiesta della promittente venditrice. L’interpretazione letterale delle espressioni usate dalle parti trovava conforto anche nell’indagine circa la volonta’ effettiva delle stesse, atteso che la consecuzione temporale delle prestazioni era finalizzata a consentire, senza termine alcuno, alla promittente venditrice di poter esigere il saldo e di disporre della provvista al fine – evidentemente ed intuitivamente in un tempo necessariamente successivo – di poter provvedere alla liberazione del compendio immobiliare da pesi e formalita’ pregiudizievoli, onde poter pervenire alla data del 28/2/2002, prevista per la stipula del rogito, alla consegna del bene libero da qualsivoglia formalita’.

Il rifiuto dell’attrice di adempiere a tale richiesta, gia’ in occasione della prima diffida ad adempiere del 9/11/2001, concretava pertanto un grave inadempimento, che si era manifestato ancor prima della scadenza del termine del 31 dicembre 2001, previsto per l’immissione in possesso della promittente acquirente della sola “parte libera” del compendio promesso in vendita.

La gravita’ dell’inadempimento inoltre emergeva sia in relazione all’entita’ del saldo ancora dovuto, sia in considerazione della finalizzazione del pagamento all’estinzione dei debiti ed all’eliminazione dei vizi afferenti il complesso immobiliare, atteso che la mancata corresponsione della somma richiesta impediva di poter far fronte alle successive obbligazioni prodromiche alla stipula del definitivo.

Non appariva nemmeno invocabile l’eccezione di inadempimento da parte dell’appellante principale, atteso che l’attrice non risultava convenuta in giudizio per l’adempimento del preliminare, ma aveva proposto la domanda di esecuzione in forma specifica dell’obbligo a contrarre. In ogni caso, ai fini della legittimita’ dell’eccezione ex articolo 1460 c.c., occorreva verificare, secondo il principio di buona fede e correttezza, se la condotta della parte inadempiente avesse influito sull’equilibrio del sinallagma contrattuale, legittimando pertanto la sospensione dell’adempimento dell’altra parte.

Facendo applicazione di tali principi, la Corte distrettuale ha ritenuto che, in assenza di un espresso termine o di un esplicito collegamento temporale tra il pagamento del saldo e l’estinzione dei debiti con liberazione dei beni, il rifiuto dell’appellante era contrario a buona fede, occorrendo altresi’ tener conto del fatto che la consegna dell’intero complesso immobiliare era prevista per il 28/2/2002 e che non emergevano prove circa la previsione del mancato rilascio del bene per la data fissata per la stipula del definitivo.

Per l’effetto, e previa correzione della sentenza di primo grado, perveniva alla risoluzione del contratto per inadempimento dell’attrice, disattendendo, in quanto domanda nuova, la richiesta della stessa appellante principale di restituzione delle somme corrisposte in virtu’ del preliminare, trattandosi di domanda preclusa ai sensi dell’articolo 345 c.p.c..

Infine disattendeva l’appello incidentale, evidenziando l’incompatibilita’ tra la pretesa di ritenere la caparra confirmatoria e quella d’ottenere il risarcimento del danno, essendo la prima ricollegata necessariamente all’esercizio del diritto di recesso conferito alla parte non inadempiente dalla stessa legge, di modo che, ove la parte preferisca agire per la risoluzione ovvero per l’esecuzione del contratto, e’ tenuta a provare il danno sia nell’an che nel quantum.

Per la cassazione di tale pronunzia la (OMISSIS) S.r.l. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi.

L’intimata ha resistito con controricorso proponendo a sua volta un motivo di ricorso incidentale.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ex articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso principale si deduce la violazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, delle norme in materia di interpretazione dei contratti in riferimento all’articolo 1362 c.c. e ss., nonche’, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, l’omessa valutazione di un fatto decisivo per il giudizio.

Sostiene la ricorrente che, tenuto conto delle previsioni contenute nel contratto preliminare, non appare condivisibile la conclusione alla quale era pervenuto il giudice di appello circa l’assenza di una contestuale finalizzazione del versamento del saldo del prezzo all’estinzione delle formalita’ pregiudizievoli gravanti sul bene oggetto di causa. In particolare sarebbe stata trascurata la previsione di un conguaglio sull’effettivo ammontare, la quale deporrebbe nel senso che l’importo da richiedere da parte del Consorzio non era rappresentato dal mero saldo del prezzo convenuto, ma dalla sola richiesta di quanto effettivamente occorrente per definire il debito nei confronti dei creditori della promittente venditrice.

Si ritiene pertanto che la corretta interpretazione del contratto impone che la richiesta di versamento deve essere limitata al solo importo effettivamente occorrente per la definizione ed estinzione delle formalita’ pregiudizievoli.

Inoltre i giudici di merito avevano effettuato una lettura parziale della clausola, trascurando, ex articolo 1363 c.c., di interpretare la stessa alla luce delle altre previsioni contrattuali, occorrendo tener conto anche dell’obbligo assunto dalla promittente venditrice di assicurare la disponibilita’ materiale della parte non interessata dall’occupazione sine titulo entro la data del 31/12/2001, obbligo che non era stato adempiuto dalla debitrice.

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3, la violazione dei canoni di interpretazione del contratto e di comportamento delle parti anche in riferimento alle norme di cui agli articoli 1175 e 1375 c.c..

In dettaglio, poiche’ i comportamenti delle parti devono essere improntati al rispetto anche delle regole non necessariamente scritte ovvero espressamente convenute, ma soprattutto ai principi di buona fede e correttezza, intese in senso oggettivo, non poteva in alcun modo accedersi all’interpretazione fatta propria dal giudice di merito, secondo cui il versamento del saldo sarebbe stato svincolato dalla contestuale dimostrazione dell’estinzione delle esposizioni debitorie verso terzi, tenuto conto altresi’ del fatto che, a fronte dell’integrale versamento del prezzo, la promittente venditrice non aveva alcuna certezza della successiva liberazione del bene, non avendo conseguito nemmeno la consegna parziale del compendio immobiliare.

Con il terzo motivo del ricorso principale, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 3, si deduce la violazione di legge in relazione agli articoli 1453, 1454 e 1455 c.c..

Si assume in primo luogo che, stante l’interpretazione del contratto, ai fini della valutazione dell’inadempimento, non potrebbe tenersi conto del mancato versamento del saldo del prezzo, ma esclusivamente dell’omesso versamento della somma di lire 100.000.000 alla scadenza contrattuale del 30/11/2001. In ogni caso occorrerebbe tener conto delle varie obbligazioni assunte da parte della convenuta, le quali risultavano non essere state in alcun modo adempiute.

Peraltro la convenuta aveva inoltrato una seconda diffida ad adempiere, pervenuta all’attrice solo in data 7/1/2002, con la quale richiedeva nuovamente il versamento del saldo, ancora una volta senza tuttavia specificare quali fossero le esposizioni debitorie da estinguere, e soprattutto senza dichiarare la propria disponibilita’ all’adempimento dell’obbligazione di consegnare una parte della superficie non occupata da terzi.

Del pari risultava trascurata la circostanza che la diffida ad adempiere era pervenuta alla ricorrente in epoca successiva alla notificazione dell’atto introduttivo del giudizio nonche’ il fatto che il rinnovo della diffida aveva sostanzialmente rimesso in termini la ricorrente, senza peraltro esonerare la diffidante dall’obbligo di adempiere alle obbligazioni assunte.

La Corte distrettuale aveva del tutto omesso di prendere in considerazione l’inadempimento della controparte, inadempimento che in chiave comparativa risultava evidentemente piu’ grave di quello della ricorrente, tanto da legittimare il mancato versamento della somma richiesta.

Ritiene il Collegio che possa procedersi alla disamina congiunta dei primi due motivi di ricorso principale, atteso che la loro formulazione evidenzia l’intima connessione logica tra gli stessi, rivestendo entrambi profili concernenti la pretesa erronea interpretazione del testo contrattuale.

In premessa, va osservato come costituisca principio di diritto del tutto consolidato presso questa Corte di legittimita’ quello secondo il quale, con riguardo all’interpretazione del contenuto di una convenzione negoziale adottata dal giudice di merito, l’invocato sindacato di legittimita’ non puo’ investire il risultato interpretativo in se’, che appartiene all’ambito dei giudizi di fatto riservati appunto a quel giudice, ma deve appuntarsi esclusivamente sul (mancato) rispetto dei canoni normativi di interpretazione dettati dal legislatore all’articolo 1362 c.c. e ss., e sulla (in) coerenza e (il)logicita’ della motivazione addotta (cosi, tra le tante, Cass., Sez. 3, 10 febbraio 2015, n. 2465): l’indagine ermeneutica, e’, in fatto, riservata esclusivamente al giudice di merito, e puo’ essere censurata in sede di legittimita’ solo per inadeguatezza della motivazione o per violazione delle relative regole di interpretazione (vizi entrambi impredicabili con riguardo alla sentenza oggi impugnata), con la conseguenza che non puo’ trovare ingresso la critica della ricostruzione della volonta’ negoziale operata dal giudice di merito che si traduca nella prospettazione di una diversa valutazione ricostruttiva degli stessi elementi di fatto esaminati dal giudice a quo.

In tal senso deve reputarsi inammissibile il motivo di ricorso che, ancorche’ si fondi sulla pretesa violazione di regole ermeneutiche ovvero sulla sussistenza di un vizio della motivazione, sia in realta’ finalizzato a proporre un’interpretazione diversa da quella fatta propria dal giudice di merito (cfr. ex multis Cass. 31 maggio 2010 n. 13242; Cass. 31 luglio 2009 n. 17893).

Nel caso in esame la sentenza impugnata, chiamata a valutare la sussistenza dell’obbligazione asseritamente inadempiuta di versare il saldo del prezzo, pari a lire 1.800.000.000, a seguito della richiesta della promittente venditrice, ha correttamente evidenziato come la conclusione alla quale era pervenuto anche il giudice di primo grado, che cioe’ tale obbligo fosse unicamente ricollegato alla presentazione della richiesta da parte del Consorzio, risultava confortata, oltre che dalle espressioni letterali utilizzate in contratto, anche dalla comparazione con le ulteriori previsioni contrattuali, mostrando quindi di avere adeguatamente fatto uso anche del canone interpretativo di cui all’articolo 1363 c.c., che viceversa parte ricorrente ritiene essere stato violato.

Con motivazione logica e coerente, e quindi immune dalle censure mosse, ha evidenziato le ragioni per le quali non poteva sostenersi la tesi secondo cui la concreta esigibilita’ della prestazione relativa al saldo del prezzo doveva accompagnarsi alla contestuale estinzione delle formalita’ pregiudizievoli, avvalendosi non solo del senso letterale delle espressioni utilizzate ma altresi’ del complesso delle ulteriori previsioni negoziali, risalendo in tal modo a quella che doveva essere intesa quale comune intenzione dei contraenti.

Ed infatti, risultano nella motivazione adeguatamente valorizzati sia il testo del contratto, quale evincibile dal senso letterale delle parole utilizzate, sia la considerazione di tutti gli ulteriori elementi testuali ed extratestuali, al fine di pervenire ad una compiuta ricostruzione della volonta’ delle parti. Ed infatti costituisce principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte (confronta Cass. 9/12/2014 n. 25840) quello secondo cui, ancorche’ sia necessario muovere dal testo contrattuale, occorre in ogni caso verificare se lo stesso sia coerente con la causa del contratto, con le dichiarate intenzioni delle parti ovvero con le altre parti del testo, non potendo il giudice arrestare la propria indagine, allegando semplicemente una pretesa chiarezza del significato letterale del contratto (Cass. 1/6/2004 n. 10484). A tale compito non risulta essersi sottratto il giudice del merito il quale, oltre a segnalare il chiaro tenore letterale della clausola che prevedeva l’obbligo di pagamento del saldo a semplice richiesta della promittente venditrice, ha altresi’ in fatto proceduto all’indagine circa la volonta’ effettiva dei contraenti, rimarcando come l’esigibilita’ del saldo prezzo a semplice richiesta fosse finalizzata all’obiettivo finale dei contraenti di assicurare la liberazione dell’immobile dai pesi che lo gravavano entro la data prevista per la stipula del definitivo, mettendo in tal modo a disposizione del Consorzio i mezzi finanziari per ottenere la cancellazione di tutte le formalita’ pregiudizievoli.

La pretesa di parte ricorrente di condizionare il versamento del saldo all’immediata e contestuale liberazione delle formalita’ in esame, oltre a non trovare riscontro alcuno nelle espressioni letterali di cui le parti si sono avvalse, piu’ che suggerire una diversa interpretazione, che in ogni caso non potrebbe trovare accoglimento in questa sede, stante la coerenza e logicita’ degli argomenti di cui si sono avvalsi i giudici di merito per pervenire all’esegesi fatta propria dalla sentenza impugnata, mira in realta’ ad arricchire il contenuto del contratto con obblighi di comportamento che viceversa avrebbero dovuto essere espressamente concordati.

In tal senso, lo stesso richiamo alla previsione del conguaglio di cui all’articolo 3, lettera d), in esame, lungi dal confortare la diversa interpretazione propugnata nel motivo di ricorso, appare in realta’ confermativa della correttezza della soluzione fatta propria dal giudice di merito, in quanto se, come sostenuto dalla ricorrente, il diritto ad esigere la somma necessaria ad estinguere le formalita’ pregiudizievoli presupponeva altresi’ la previa cancellazione delle stesse ovvero la concreta determinazione della somma effettivamente necessaria a tal fine, sarebbe esclusa a priori la possibilita’ di effettuare un conguaglio, in quanto la richiesta di pagamento non potrebbe che concernere le somme gia’ impiegate per la cancellazione ovvero l’esatto ammontare di quanto occorrente a tale scopo, essendo quindi esclusa ogni possibilita’ di successivo conguaglio.

I primi due motivi vanno pertanto disattesi.

Anche il terzo motivo di ricorso appare infondato.

La ricorrente assume l’erronea valutazione in ordine all’individuazione della parte inadempiente, ed alla possibilita’ di attribuire al mancato versamento della somma dovuta a titolo di saldo l’idoneita’ a produrre la risoluzione del contratto.

In particolare, oltre a ribadire la non esigibilita’ della somma in oggetto sulla base delle argomentazioni gia’ disattese in occasione della disamina dei precedenti motivi di ricorso, sottolinea che in realta’ sarebbe la controparte ad essere inadempiente, e cio’ in considerazione del fatto che, avendo la promittente venditrice notificato una diffida ad adempiere, il cui termine veniva a scadere in data successiva a quella prevista per la consegna della parte del compendio non occupata (31/12/2001), quest’ultima non avrebbe procurato detta consegna, incorrendo in tal modo in un inadempimento che giustificava il rifiuto di adempimento della predetta obbligazione, anche ai sensi dell’articolo 1460 c.c..

Il motivo non coglie appieno le considerazioni della sentenza impugnata, la quale, pur in presenza di una seconda diffida ad adempiere, ha correttamente reputato che, attesa l’immediata esigibilita’ della somma dovuta a titolo di saldo del prezzo, ed in conseguenza della sola formulazione della richiesta della venditrice, l’inadempimento della ricorrente si era gia’ manifestato in tutta la sua rilevanza alla scadenza del termine fissato dalla prima diffida ad adempiere, e cioe’ alla data del 24 novembre 2001, anteriore sia alla data prevista per la consegna della parte del fondo libera, sia alla data di notifica dell’atto di citazione da parte della (OMISSIS).

A tal fine deve ritenersi che sebbene nei contratti a prestazioni corrispettive, qualora la parte adempiente, dopo aver ritualmente intimato alla controparte diffida ad adempiere, ai sensi dell’articolo 1454 c.c., non domandi la risoluzione di diritto per l’inutile decorso del termine assegnato, ma intimi nuova diffida assegnando nuovo termine, la risoluzione di diritto consegue solo quale effetto della seconda diffida e, quindi, a condizione che la stessa sia valida anche in relazione alla congruita’ del termine (Cass. 25 novembre 1983 n. 7079; Cass. 6 luglio 2011 n. 14877), la reiterazione stessa non esclude che l’inadempimento del diffidato si sia gia’ manifestato alla scadenza del primo termine, potendo ricondursi alla rinnovazione della diffida l’interesse del diffidante ad un tardivo adempimento della controparte, con la concessione quindi di un nuovo termine entro il quale adempiere, impedendo l’effetto risolutorio di diritto ricollegabile alla prima diffida.

Tuttavia, l’inadempimento continua ad essere tale, e si e’ manifestato, anche nella sua oggettiva gravita’, a far data dalla scadenza del termine assegnato con la prima diffida.

Posta tale premessa, l’intero apparato argomentativo a sostegno del ricorso perde di fondamento.

Ed, infatti, atteso che il primo termine veniva a scadere oltre un mese prima della scadenza della prima obbligazione posta a carico della promittente venditrice (consegna della parte del fondo non occupata), non puo’ trovare accoglimento la tesi della ricorrente secondo cui la mancata corresponsione del saldo sarebbe una legittima reazione all’inadempimento della controparte.

In tal senso, occorre richiamare il costante orientamento di questa Corte per il quale (Cass. 4 novembre 2010 n. 22464) la possibilita’ di eccepire, nel legittimo esercizio del potere di autotutela che l’articolo 1460 c.c., comma 1, espressamente attribuisce a ciascuno dei contraenti nei contratti a prestazioni corrispettive, al fine di paralizzare la pretesa avversaria chiedendone il rigetto, l’inadempimento o l’imperfetto adempimento dell’obbligazione assunta da controparte, trova un limite nella ipotesi in cui siano stabiliti termini diversi per l’adempimento in relazione ai diversi contraenti (nello stesso senso Cass. 24 settembre 2009 n. 20614; Cass. 16 luglio 2004 n. 13271; Cass. 26 maggio 2003 n. 8314; Cass. 14 ottobre 1970 n. 2026).

A fronte di un inadempimento della ricorrente che riguardava una percentuale del prezzo totale pari al 69,23 %, cosi’ come rimarcato dalla Corte distrettuale, e che soprattutto, attesa la finalizzazione della somma da versare all’estinzione delle passivita’ che incidevano sulla liberta’ del bene venduto, risultava tale da influenzare negativamente la successiva attuazione del programma negoziale concordato, la soluzione alla quale e’ pervenuta la sentenza impugnata non risulta in alcun modo censurabile.

Peraltro, anche in presenza di obbligazioni da adempiere in tempi diversi, la giurisprudenza consente l’opponibilita’ dell’exceptio inadimpleti contractus di cui all’articolo 1460 c.c., alla parte che debba adempiere entro un termine diverso e successivo, qualora la controparte o abbia dichiarato di non voler adempiere, ovvero sia certo o altamente probabile che essa non sia in grado di adempiere, indipendentemente dall’imputabilita’ dell’inadempimento (Cass. 14/03/2003, n. 3787; Cass. 09/06/1993, n. 6441). Deve escludersi che nel caso in esame ricorressero tali condizioni, manifestandosi invece del tutto legittima la mancata consegna ancorche’ parziale del bene compravenduto alla scadenza del 31 dicembre 2001, allorche’ si era gia’ manifestata invece la ben piu’ grave inadempienza della ricorrente, la quale oltre a non avere adempiuto all’obbligo di saldare il prezzo, era anche venuta meno all’obbligo di pagamento dell’ulteriore tranche di 100 milioni di lire, previsto per la data del 30 novembre 2001.

Anche tale motivo deve quindi essere rigettato.

Con un unico motivo di ricorso incidentale la (OMISSIS) S.p.A. lamenta la violazione di legge, ex articolo 360 c.p.c., n. 3, in relazione alle previsioni di cui agli articoli 1385, 1453 e 1223 c.c., e articolo 112 c.p.c..

Deduce che erroneamente i giudici di merito non avrebbero accolto la domanda risarcitoria, quantificata nell’importo corrispondente a quello della caparra a suo tempo ricevuta.

Anche tale motivo non e’ meritevole di accoglimento.

In realta’, contrariamente a quanto erroneamente sostenuto nel motivo di ricorso incidentale, e precisamente nei primi righi della pag. 33, la Corte salernitana ha rigettato la domanda risarcitoria della convenuta, evidenziando che la stessa non avendo esercitato il diritto di recesso di cui all’articolo 1385 c.c., mai avendo proposto un’ordinaria domanda di risoluzione per inadempimento, era onerata di fornire la prova sia &Iran che del quantum del danno subito, non potendo quindi trattenere la somma a suo tempo ricevuta, quale preventiva liquidazione convenzionale del danno.

Pertanto, avendo la convenuta proposto in via riconvenzionale domanda di risoluzione per inadempimento, domanda poi accolta da parte dei giudici di merito, ed avendo la stessa ribadito a pag. 34 del controricorso di non avere mai esercitato il diritto di recesso ex articolo 1385 c.c., appaiono richiamabili i principi espressi da Cass. S.U. 14 gennaio 2009 n. 553, circa la differenza tra la domanda di risoluzione giudiziale e quella finalizzata ad ottenere la declaratoria dell’intervenuto recesso, che invece attribuisce il diritto alla ritenzione della caparra a titolo di liquidazione anticipata e convenzionale del danno.

Per l’effetto poiche’ la parte non inadempiente, e cioe’ la controricorrente, non ha esercitato il potere di recesso conferitole dalla legge, ma ha preferito agire per la risoluzione del contratto, il diritto al risarcimento del danno doveva essere provato nell'”an” e nel “quantum” (Cass. 22/03/2011, n. 6555; Cass. 23/8/2007 n. 17923), cosi’ come appunto statuito dalla sentenza impugnata, confermandosi in tal modo l’infondatezza del motivo proposto.

Le spese del presente vanno poste integralmente a carico della ricorrente attesa la sua prevalente soccombenza, ed a tanto si provvede come da dispositivo che segue.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale ed il ricorso incidentale e condanna la ricorrente principale al rimborso in favore della controricorrente delle spese del grado che liquida in 8.200,00, di cui 200,00 per spese vive, oltre spese generali ed accessori come per legge.

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