parcheggiatore abusivo

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza  29 aprile 2014, n. 17957

Ritenuto in fatto

1. C.A. propone ricorso per cassazione contro l’ordinanza emessa dal tribunale del riesame di Napoli che ha accolto l’appello proposto dal pubblico ministero avverso l’ordinanza, emessa dal gip del tribunale di Napoli, di rigetto della misura cautelare.
2. Sostiene il ricorrente che il tribunale abbia erroneamente applicato l’articolo 646 del codice penale, ritenendo che la fattispecie contestata integrasse il reato di furto invece che quello di appropriazione indebita; nel caso di specie si trattava di un posteggiatore abusivo che, con la scusa di parcheggiare l’autovettura, aveva sottratto il veicolo alla legittima proprietaria.
3. Il tribunale ha ritenuto che l’assoluta illiceità della causa del contratto intervenuto tra l’indagato e la persona offesa rendesse impossibile l’interversione del possesso che si richiede per la configurabilità dei delitto di cui all’articolo 646 cod. pen..
4. Il ricorrente ritiene che la nozione di possesso accolta dal diritto penale sia più ampia di quella civilistica ed includa anche chi abbia solo la detenzione, a qualsiasi titolo, del bene, purché esplicantesi al di fuori della diretta vigilanza del proprietario; poiché la persona offesa aveva dato spontaneamente e consapevolmente le chiavi della vettura all’indagato, così facendo gli aveva attribuito la piena disponibilità sul bene, per cui nessun rilievo può avere la causa illecita del negozio. Per tali motivi chiede che l’ordinanza cautelare emessa dal giudice di appello venga annullata.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato; come questa Corte ha più volte affermato, ai fini della delimitazione dei confini tra il reato di furto e quello di appropriazione indebita, possono rientrare nella nozione di possesso vari casi di detenzione, ma deve comunque trattarsi di detenzione “nomine proprio” e non in “nomine alieno” (cfr. Sez. 2, n. 4853 del 20/12/1993, Balzaretti, Rv. 197781, ove si afferma che non è sufficiente la detenzione materiale o meramente precaria, al limitato fine di determinate operazioni).
2. D’altronde, il presupposto del delitto di appropriazione indebita è costituito da un preesistente possesso della cosa altrui da parte dell’agente, cioè da una situazione di fatto che si concretizzi nell’esercizio di un potere autonomo sulla cosa, al di fuori dei poteri di vigilanza e di custodia che spettano giuridicamente al proprietario. Laddove, invece, sussista un semplice rapporto materiale con la cosa, determinato da un affidamento temporaneo e condizionato, che non attribuisca all’agente alcun potere di autonoma disponibilità sulla cosa medesima, si versa nell’ipotesi di furto e non in quella di appropriazione indebita (Sez. 2, n. 7079 dei 17/03/1988, Farfarillo, Rv. 178616; Conff. Mass. N. 171928; n. 146563; n. 115755; n. 113017).
3. Si veda anche Sez. 2, n. 11122 dei 03/07/1981, Corrao, Rv. 151323, secondo cui risponde del delitto di furto e non di appropriazione indebita colui che si impossessi della cosa mobile di cui aveva la detenzione e non il possesso (sulla nozione di possesso, inteso come signoria sulla cosa, analoga a quella del proprietario ed esercitabile anche fuori della sfera di vigilanza dei proprietario medesimo, si vedano le seguenti massime RV 115755/70, 113017/69; 131315/75, 128632/74, 125451/74; 122388/72; 127709/74; 146563/80, 113017/69). “I confini tra il reato di furto e quello di appropriazione indebita sono stabiliti in base all’estensione della detenzione: il possesso a qualsiasi titolo implica un potere di fatto sulla cosa, che comprende non tanto la mera esistenza della cosa nelle mani dello agente, quanto almeno qualche facoltà di disporre della cosa stessa. Se l’agente non ha alcuna facoltà idonea ad esercitare il possesso, deve ravvisarsi il delitto di furto e non di appropriazione indebita” (Sez. 2, n. 1392 del 24/10/1977, Leogrande, Rv. 137835).
4. Nel caso di specie, non vi è alcun dubbio che l’imputato non esercitasse alcuna forma di possesso, ma una semplice detenzione qualificata dallo scopo di parcheggio dell’autovettura; nessun potere autonomo di disposizione della cosa, ma un affidamento temporaneo e condizionato, al limitato fine di una singola e semplice operazione, di brevissima durata nel tempo.
5. Ne consegue che, proprio in virtù della giurisprudenza di questa corte, il ricorso debba essere rigettato; ai sensi dell’art. 616 c.p.p., con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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