SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II CIVILE

Sentenza  28 settembre 2012, n. 16583

 

Svolgimento del processo

Dalla narrativa della sentenza impugnata si ricava che M.W. e T.R. , partecipanti al condominio di via Peyron, 52, Torino, impugnavano la delibera 23.5.2001 con la quale l’assemblea condominiale aveva stabilito l’applicazione dell’art.3 del regolamento comune in ordine alle spese di rifacimento dei terrazzi. Il condominio si costituiva in giudizio, resistendo alla domanda.

Il Tribunale di Torino annullava la delibera, ritenendo applicabile alla fattispecie la regola legale di cui all’art. 1126 c.c., avendo il terrazzo di proprietà attorea la funzione di copertura dell’edificio al pari di un lastrico solare.

Tale sentenza era ribaltata dalla Corte d’appello di Torino, che rigettava la domanda.

La Corte subalpina, ritenuto il giudicato interno “in merito alla attinenza del concetto di manutenzione di cui al punto 3 cap. IV del regolamento, alla sola attività di semplice conservazione”, esclusa ogni attività di rifacimento dell’impermeabilizzazione e di successiva ripavimentazione della terrazza a livello, sicché non si poteva più far leva su tale previsione regolamentare per farvi rientrare le spese di manutenzione, attribuendole in via esclusiva ai proprietari dell’alloggio, osservava che non di meno restava valida l’affermazione con la quale si apriva la predetta norma regolamentare, ossia che “i terrazzi esistenti all’ultimo piano fanno parte degli alloggi ad essi prospicienti”. Riteneva, quindi, che in base a detta norma autonoma le spese di imposte e tutte le altre spese sia ordinarie che straordinarie riferite all’interno dei singoli lotti dovevano essere sopportate esclusivamente dai relativi proprietari. Pertanto, concludeva la Corte territoriale, il regolamento era chiaro nel porre le spese straordinarie relative ai terrazzi dell’ultimo piano a carico dei proprietari degli alloggi prospicienti, di guisa che la norma residuale di cui al punto 8 del cap. II del regolamento, pacificamente contrattuale, che rinviava alla disciplina codicistica, non era operante nella specie.

Per la cassazione di detta sentenza ricorrono M.W. e T.R., formulando due motivi d’impugnazione, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il condominio di via (…).

Questa Corte, rilevato il difetto di autorizzazione dell’amministratore del condominio a resistere in sede di legittimità, fissava apposito termine per depositare l’autorizzazione dell’assemblea condominiale, che è stata prodotta nel termine concesso.

Motivi della decisione

1. – Col primo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 346 c.p.c., la difformità tra il chiesto il pronunciato e l’insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia. Mentre in primo grado il condominio aveva dedotto la legittimità della delibera impugnata perché coerente all’applicazione del comma II dell’art. 3 del regolamento condominiale, in grado d’appello ha invece sostenuto che la disposizione in base alla quale i costi delle opere in questione dovrebbero essere sopportati in via esclusiva dai proprietari dell’unità immobiliare di cui è parte il terrazzo, dovrebbe individuarsi nel comma IV del medesimo art. 3, secondo cui i costi per le opere in questione dovrebbero essere sopportati dai proprietari dell’appartamento di cui il terrazzo stesso è prosecuzione. In tal modo, sostiene parte ricorrente, il condominio appellante ha sottoposto al giudice di secondo grado un tema di indagine del tutto diverso, violando il divieto dell’ius novorum in appello. Inoltre, conclude sul punto parte ricorrente, il condominio non aveva appellato la sentenza di primo grado nella parte in cui era stato ritenuto corretto il rinvio per relationem al codice civile operato dall’art.8 cap. II del regolamento condominiale.

1.1. – Il motivo è manifestamente infondato.
Il divieto dello ius novorum in d’appello si riferisce alle domande, alle eccezioni e alle prove (art.345 c.p.c.), e non già indiscriminatamente alle mere difese comunque svolte dalle parti per resistere alle pretese o alle eccezioni di controparte, potendo i fatti su cui esse si basano e che risultano dalle acquisizioni processuali essere rilevati d’ufficio dal giudice alla stregua delle eccezioni “in senso lato” o “improprie” (cfr. fra le tante, Cass. nn. 11015/11, 11774/07 e 18096/05). Pertanto, nell’ambito dell’interpretazione delle norme di un regolamento condominiale e della loro applicazione al caso concreto, la deduzione per la prima volta in appello di una soluzione giuridica diversa da quella precedentemente prospettata, intatti i relativi presupposti fattuali, costituisce una mera difesa, che non determina alcuna variazione del thema decidendum quale si è formato nel primo grado di giudizio.

1.2. – Neppure ha pregio l’assunto secondo cui il condominio non aveva appellato la sentenza del Tribunale nella parte in cui era stato ritenuto corretto il rinvio per relationem al codice civile operato dall’art.8 cap. II del regolamento condominiale.
La nozione di “parte della sentenza”, alla quale fa rifermento l’art.329, cpv. c.p.c., dettato in tema di acquiescenza implicita, e cui si ricollega la formazione del giudicato interno, identifica non già qualsivoglia affermazione, contenuta nella sentenza impugnata, che non sia stata espressamente o implicitamente investita da una censura specifica, bensì soltanto le statuizioni minime suscettibili di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia. Queste ultime sono costituite dalla sequenza fatto, norma ed effetto, intesa come unitaria scansione logica che comprende e supera le singole sue componenti, ancorché ciascuna di esse possa essere, isolatamente considerata, oggetto d’impugnazione (cfr. Cass. n. 10832/98, la quale, premesso che l’inidoneità in astratto di un fatto a produrre un effetto giuridico ovvero l’inesistenza di una norma che al fatto associ l’effetto è rilevabile d’ufficio in ogni stato e grado del giudizio, con il solo limite del giudicato interno, osserva che la statuizione minima suscettibile di rimanere coperta dal giudicato interno è quella avente ad oggetto congiuntamente le decisioni sull’esistenza di un fatto, l’esistenza di una norma, e l’esistenza degli effetti da questa associati al fatto).
Ne consegue che l’appello, motivato con riguardo ad uno soltanto degli elementi della suddetta statuizione minima suscettibile di giudicato, apre il riesame sull’intera questione che essa identifica, ed espande nuovamente il potere del giudice di riconsiderarla e riqualificarla anche relativamente agli aspetti che, sebbene coessenziali alla statuizione impugnata, non siano stati singolarmente coinvolti, neppure in via implicita, dal motivo di gravame.
Diversamente opinando, ove cioè si ritenesse possibile frazionare il giudicato interno estraniando fra loro ciascuna delle componenti della questione controversa, ne soffrirebbe la stessa razionalità della decisione, divisa tra due esigenze non necessariamente esaudibili in contemporanea, ossia non contraddire il singolo dictum della sentenza impugnata che non sia stato oggetto di gravame, ancorché in ipotesi illogico o errato in punto di diritto, e pervenire ad una soluzione finale che sia non di meno giuridicamente corretta. In tal modo, l’errore non censurato finirebbe con l’ipotecare la sentenza del giudice deputato a correggerlo, e ciò solo per l’inavvedutezza della parte appellante incapace di coglierlo quale causa o concausa della decisione che, pure, abbia espressamente criticato sotto altro e consequenziale aspetto.

1.2.1. – Nel caso in esame, l’identificazione della disposizione del regolamento condominiale, sola o integrata da quelle codicistiche espressamente richiamate o ad ogni modo inderogabili, attiene alla norma applicabile, mentre l’illegittimità, ritenuta dal Tribunale, della delibera di attribuzione ai soli M. e R. delle spese di cui si discute ne costituisce l’effetto, il quale ultimo è stato esplicitamente criticato mediante l’atto d’appello. La duplice conseguenza è che non si è prodotto alcun giudicato interno, né sulla norma del regolamento di condominio da applicare nella specie (punto 8 del cap. II, secondo gli odierni ricorrenti), né – contrariamente a quanto affermato nella sentenza della Corte d’appello – sull’attinenza del concetto di manutenzione, di cui al punto 3 del cap. IV stesso regolamento, alla sola conservazione, nel senso di escludere da quest’ultima il rifacimento dell’impermeabilizzazione della terrazza e la successiva ripavimentazione della stessa.

2. – Con il secondo motivo si deduce la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1123, 1117 e 1126 c.c. e dell’art. 116 c.p.c., nonché la contraddittorietà e illogicità della motivazione e l’erronea valutazione delle prove, e l’errata interpretazione della clausola del regolamento condominiale concernente la ripartizione delle spese di manutenzione del terrazzo. I ricorrenti non contestano che ai sensi dell’art. 3 del regolamento condominiale il terrazzo posto all’ultimo piano faccia parte dell’alloggio ad esso prospiciente, ma sostengono che la proprietà esclusiva sia limitata al piano di calpestio, con esclusione, pertanto, di tutte quelle parti sottostanti, tra cui i pannelli d’impermeabilizzazione e le strutture portanti, che servono di protezione, copertura e sostegno agli appartamenti ubicati al di sotto.

2.1. – Il motivo è, nei termini che seguono, fondato.
Premesso che il lastrico solare, anche se attribuito in uso esclusivo a uno dei condomini – ovvero in proprietà esclusiva dello stesso -, svolge funzione di copertura del fabbricato e perciò, ai sensi dell’art. 1126 c.c., le spese per la sua riparazione o ricostruzione sono poste per due terzi a carico del condominio (cfr. Cass. nn. 11029/03, 13858/01, 3542/94, 5125/93 e 1618/87), va osservato che, sempre secondo la giurisprudenza di questa Corte, il criterio di ripartizione fra i condomini di un edificio delle spese di manutenzione e riparazione del lastrico solare o della terrazza a livello che serva di copertura ai piani sottostanti, fissato dall’art. 1126 c.c. (un terzo a carico del condominio che abbia l’uso esclusivo del lastrico o della terrazza; due terzi a carico dei proprietari delle unità abitative sottostanti) riguarda non solo le spese per il rifacimento o la manutenzione della copertura, e cioè del manto impermeabilizzato, ma altresì quelle relative agli interventi che si rendono necessari in via consequenziale e strumentale, sì da doversi considerare come spese accessorie (Cass. n. 11449/92).
Ancor più chiaramente, è stato osservato in materia che a completo carico dell’utente o proprietario esclusivo del lastrico solare, sono soltanto le spese attinenti a quelle parti di esso del tutto avulse dalla funzione di copertura (ad. le spese attinenti ai parapetti, alle ringhiere ecc, collegate alla sicurezza del calpestio); mentre tutte le altre spese, siano esse di natura ordinaria o straordinaria, perché attinenti alle parti del lastrico solare svolgenti, comunque, funzione di copertura, vanno sempre suddivise fra l’utente o proprietario esclusivo del lastrico solare ed i condomini proprietari degli appartamenti sottostanti il lastrico secondo la proporzione indicata nell’art. 1126 c.c. (così, in motivazione, Cass. n. 2726/02).

2.1.1. – La Corte territoriale non ha applicato i suddetti principi, e ciò perché ha erroneamente ritenuto preclusa dal giudicato interno la questione se, ai fini del riparto delle spese, nel concetto di manutenzione rientrasse o non l’impermeabilizzazione e la pavimentazione della terrazza. E opinandosi vincolata da un esito intermedio escludente l’attualità della problematica, ha risolto la controversia altrimenti, invertendone i termini, nel senso che dalla premessa (maggiore) per cui tutte le spese ordinarie e straordinarie riferite all’interno delle singole unità abitative sono sopportate esclusivamente da ogni singolo comproprietario, e da quella (minore) in base alla quale i terrazzi dell’ultimo piano sono parte integrante degli alloggi prospicienti, ha tratto paralogicamente la conclusione che (anche) le spese straordinarie riguardanti i terrazzi dell’ultimo piano sono a carico dei proprietari dei relativi alloggi.

3. – In conclusione la sentenza impugnata va cassata limitatamente al secondo motivo d’impugnazione, respinto il primo, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Torino, che deciderà la controversia nel merito attenendosi al seguente principio di diritto: “in tema di condominio negli edifici, il criterio di ripartizione fra i condomini delle spese di riparazione o di ricostruzione delle terrazze a livello che servano di copertura ai piani sottostanti, fissato dall’art. 1126 c.c. (un terzo a carico del condominio che abbia l’uso esclusivo del lastrico o della terrazza; due terzi a carico dei proprietari delle unità abitative sottostanti), è applicabile in ogni caso di spesa, ordinaria o straordinaria, di manutenzione o di rifacimento, che riguardi la struttura delle terrazze stesse e la loro finalità di copertura, escluse le spese dirette unicamente al miglior godimento delle unità immobiliari di proprietà individuale di cui le terrazze siano il prolungamento”.

4. – Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, respinto il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Torino, che provvederà anche sulle spese del giudizio di cassazione.

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