condominio quater

La massima

In materia di condominio di edifici, con riguardo al ripristino dei danni ascrivibili ad uno od alcuni dei partecipanti al condominio, pur sussistendo l’obbligo del responsabile di assumere il relativo onere, fino a quando il singolo condomino non abbia riconosciuto la propria responsabilità o essa non sia stata accertata in sede giudiziale, l’assemblea, nel deliberare sulla ricostruzione o sulla riparazione delle parti comuni, ha il potere di ripartire le relative spese secondo le regole generali, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, tra tutti i condomini, fermo restando il diritto di costoro di agire, singolarmente o per mezzo dell’amministratore, contro il condomino ritenuto responsabile, per ottenere il rimborso di quanto anticipato.

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II

SENTENZA 24 aprile 2013, n. 10053

 

Ritenuto in fatto

Con atto di citazione del 29 aprile 1999, M.E.M. convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano G.E. , Ma.Do. , Ma.An.Lu. , T.R. e Ma.Ad. , chiedendo che fosse pronunciato l’annullamento o accertata e dichiarata la nullità delle delibere dai convenuti assunte nelle sedute del 21 maggio 1998, del 23 novembre 1998 e del 18 marzo 1999 nella loro qualità di partecipanti al condominio dell’edificio sito in via (omissis) .
L’attrice considerò in particolare illegittime: (a) la decisione di effettuare opere di rifacimento del tetto dello stabile condominiale e di ripartire le relative spese tra i condomini M.E.M. , G.E. , Ma.Do. , Ma.An.Lu. e T.R. , in quanto tali opere – a suo dire – e-rano da considerare illecite e finalizzate solo a realizzare l’interesse degli altri partecipanti al condominio; (b) la deliberazione di ripartire le spese dell’acqua in base al criterio di consumo “presuntivo” basato sul numero degli occupanti le singole unità immobiliari, essendo invece il consumo ricavabile direttamente, sulla base di un criterio di effettività, da un contatore posto in ciascuna unità immobiliare; (c) la decisione, infine, di ripartire tra i predetti condomini le spese di rifacimento della facciata dello stabile condominiale, essendo stata la convocazione per la partecipazione alla relativa assemblea effettuata senza rispettare il termine di cinque giorni prescritto dall’art. 66, terzo comma, disp. att. cod. proc. civ..
L’impugnante, peraltro, dedusse l’invalidità di tutte e tre le suddette delibere anche per la mancata convocazione di Ma.Ad. e per la mancata conseguente attribuzione anche a lui delle spese di sua competenza, essendo anch’egli da considerare condomino a tutti gli effetti.
Nel contraddittorio con i convenuti, che si costituirono tutti – con la sola eccezione di Ma.Ad. , rimasto contumace – resistendo all’avversa impugnativa, l’adito Tribunale, esperita una c.t.u. in ordine alle opere fatte eseguire sul tetto e sulla facciata dello stabile in oggetto, all’udienza del 7 ottobre 2003, a seguito di discussione orale, pronunciò ex art. 281-sexies cod. proc. civ. sentenza con cui rigettò l’impugnativa attorea, dichiarando interamente compensate tra le parti le spese processuali.
2. – La Corte d’appello di Milano, con sentenza resa pubblica mediante deposito in cancelleria l’8 gennaio 2007, ha respinto sia il gravame principale della M. sia il gravame incidentale del G. , del T. e di D. e di Ma.An.Lu. , ponendo a carico della M. le spese di lite.
2.1. – La Corte territoriale ha confermato la statuizione di tardività dell’impugnativa delle prime due delibere esercitata dalla M. , rilevando che i vizi denunciati, riguardando i criteri di riparto delle spese di manutenzione straordinaria dell’immobile (con riguardo al tetto) o delle spese ordinarie di erogazione dell’acqua, non rientravano tra quelli che possono dar luogo ad un’ipotesi di nullità assoluta e dovevano essere fatti valere nel termine decadenziale di trenta giorni.
Quanto alla mancata convocazione di Ma.Ad. , la Corte d’appello ha rilevato che l’appellante in via principale non ne aveva dimostrato la presunta appartenenza al condominio o alla comunione e che, in ogni caso, la pretesa illegittimità della di lui mancata convocazione costituiva un’ipotesi di annullabilità, che non poteva eliminare l’effetto decadenziale conseguito alla mancata impugnativa delle due delibere nel termine di trenta giorni.
In ordine alla terza delibera, con cui fu deciso il riparto delle spese di rifacimento della facciata, impugnata per il mancato rispetto del termine di cinque giorni prescritto dall’art. 66, terzo comma, disp. att. cod. civ., la Corte di Milano ha ritenuto che sull’accertamento, non tempestivamente impugnato, compiuto dal primo giudice in ordine alla qualificazione del contesto proprietario come di semplice comunione e non di condominio, era intervenuto il giudicato, con la conseguente immutabilità dell’accertamento stesso. Esclusa l’applicabilità tout court del termine di cinque giorni all’assemblea della comunione ordinaria, la Corte d’appello ha osservato che il termine di due giorni, nella specie effettivamente intercorso tra la data di ricezione dell’avviso di convocazione e la data di svolgimento dell’assemblea, ben poteva consentire di prendere adeguata visione del punto di vista all’ordine del giorno e valutarne la portata, eventualmente partecipando all’assemblea anche solo al fine di chiedere un aggiornamento della stessa per meglio valutare i termini economici del punto in discussione.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello la M. ha proposto ricorso, con atto notificato il 16 aprile 2007, sulla base di tre motivi.
Il G. e gli altri consorti intimati indicati in epigrafe hanno resistito con controricorso.
Ma.Ad. non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Memorie illustrative ex art. 378 cod. proc. civ. sono state depositate, in prossimità dell’udienza pubblica, dalla ricorrente e dai controricorrenti.

Considerato in diritto

1. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 1135 e 2043 cod. civ.) la ricorrente deduce che i lavori di rifacimento del tetto erano stati deliberati come opere di ripristino resesi necessaria in conseguenza del precedente intervento sul tetto condominiale, unilateralmente ed illecitamente disposto dai coniugi G. – Ma. e T. – Ma. ; e che il Tribunale aveva espressamente statuito che dalla c.t.u. era possibile desumere che la causa reale di rifacimento del tetto andava individuata sostanzialmente nell’esigenza dei convenuti di rimediare a un illecito amministrativo (innalzamento del colmo del tetto) commesso esclusivamente dai convenuti. Di qui il quesito se ‘può ritenersi compresa tra le attribuzioni dell’assemblea condominiale ex art. 1135 cod. civ. la deliberazione che stabilisca l’esecuzione di lavori di manutenzione del condominio realizzati per eliminare le conseguenze di un fatto illecito ascrivibile soltanto ad alcuni dei comproprietari’.

Il terzo motivo (motivazione omessa o contraddittoria o insufficiente circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio) deduce che la ragione adottata dalla Corte milanese per respingere l’appello sia errata nella sua premessa e non abbia alcuna idoneità a confutare il vizio effettivamente dedotto dall’appellante (secondo cui l’oggetto delle delibere sarebbe estraneo ai poteri dell’assemblea condominiale).

1.1. – I due motivi – i quali, in ragione della loro stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati.

È esatto che sin dall’atto di citazione la M. ha impugnato le delibere dell’assemblea del 21 maggio 1988 (il punto n. 4) e del 23 novembre 1988 (i punti nn. 2, 3, 4 e 5), relative al rifacimento del tetto, nella parte in cui hanno addossato una quota della spesa anche a carico di essa comproprietaria; e le ha impugnate sul rilievo che detti lavori rappresentavano in realtà un’opera di ripristino resasi necessaria in conseguenza del precedente intervento sul tetto condominiale, unilateralmente e illecitamente disposto, anche sotto il profilo urbanistico, dai comproprietari G. – Ma. e T. – Ma. .

Sennonché, il rifacimento del tetto di un immobile di proprietà comune non esorbita dai poteri dell’assemblea, rientrando tra le materie sulle quali questa può deliberare.

Il fatto che quei lavori di rifacimento siano stati deliberati per porre rimedio ad un precedente intervento sul tetto medesimo, realizzato ponendo in essere un illecito amministrativo (innalzamento del colmo del tetto), e che le spese siano state ripartite tra tutti secondo i millesimi di proprietà, anziché accollandole esclusivamente a chi, tra i comproprietari, vi aveva dato causa mediante l’approvazione dell’opera iniziale, non rende la delibera stessa nulla.

Infatti, il principio secondo cui, con riguardo al ripristino dei danni ascrivibili ad uno od alcuni dei partecipanti al condominio, sussiste l’obbligo del responsabile di assumere il relativo onere, non osta a che, anche in questo caso, fino a quando il singolo condomino non abbia riconosciuto la propria responsabilità o essa non sia stata accertata in sede giudiziale, l’assemblea, nel deliberare sulla ricostruzione o sulla riparazione delle parti comuni, abbia il potere di ripartire le relative spese secondo le regole generali, in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno, tra tutti i condomini, fermo restando il diritto di costoro di agire, singolarmente o per mezzo dell’amministratore, contro il condomino ritenuto responsabile, per ottenere il rimborso di quanto anticipato (Cass., Sez. 2, 27 giugno 1978, n. 3176; Cass., Sez. 2, 22 luglio 1999, n. 7890).

2. – Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 2909 cod. civ. e 112 cod. proc. civ.) si sostiene che l’accertamento operato dal Tribunale in ordine alla sussistenza di un semplice regime di comunione anziché di condominio non aveva, nel corso del giudizio di primo grado, formato oggetto di disputa tra le parti, sicché avrebbe errato la Corte d’appello ad affermare che su tale punto si fosse formato il giudicato.

2.1. – Il motivo è infondato.

Risulta dagli atti di causa (ai quali è possibile accedere, essendo denunciato un vizio in procedendo):

che la M. ha impugnato le deliberazioni assunte nell’assemblea del 18 marzo 1999 per la mancata convocazione dell’assemblea nel termine prescritto dall’art. 66, terzo comma, disp. att. cod. civ.;

che i convenuti, nel loro atto di costituzione in giudizio dinanzi al Tribunale, hanno dedotto che nella specie si versava in fattispecie di assemblea dei comproprietari dell’immobile (cosi a pagg. 2 e 5), specificando, tra l’altro, che questa ‘avrebbe dovuto provvedere alla costituzione del condominio’ (cosi a pag. 5);

che il Tribunale di Milano, con la sentenza in data 7 ottobre 2003, ha premesso che ‘nell’edificio non si è mai costituito un condominio’ e ne ha fatto discendere la conseguenza della insussistenza del denunciato vizio di ‘intempestività della convocazione per mancato rispetto del termine di cinque giorni previsto nell’art. 63 (recte 66) disp. att. cod. civ., non applicabile al caso della comunione’.

La statuizione del primo giudice è stata appellata dalla M. (pag. 14 e ss. dell’atto introduttivo del gravame): sottolineando che la convocazione era pervenuta soltanto il 16 marzo 1999 e che un termine di uno o due giorni è assolutamente inadeguato, ‘soprattutto per un ordine del giorno di rilievo come quello in questione, avente ad oggetto il rifacimento delle facciate’, con conseguente impossibilità per la M. ‘di acquisire non solo altri preventivi da raffrontare a quello proposto, ma anche quei minimi pareri tecnici necessari per verificare sia la congruità dei conti esposti, sia, ancor prima, l’effettiva necessità di provvedere al divisato rifacimento’; richiamando il principio secondo cui ‘anche nell’ipotesi di cosiddetto piccolo condominio, composto di due soli partecipanti, per la convocazione dell’assemblea dei condomini, come della comunione in generale, non sono prescritte particolari formalità, ma è pur sempre necessario che tutti i partecipi siano stati posti in grado di conoscere l’argomento della deliberazione per cui la preventiva convocazione costituisce requisito essenziale per la sua validità’;

censurando che il Tribunale si sia limitato ‘ad affermare l’inapplicabilità al caso del disposto di cui all’art. 66, terzo comma, disp. att. cod. civ., senza dare alcun conto della presunta congruità del termine concretamente concesso’.

Soltanto con la comparsa conclusionale l’appellante ha contestato che si trattasse di semplice comunione e non piuttosto di condominio.

Ad avviso del Collegio, correttamente la Corte d’appello ha ritenuto che sull’accertamento, non tempestivamente impugnato, compiuto dal primo giudice in ordine alla qualificazione del contesto proprietario come di semplice comunione e non di condominio, è intervenuto il giudicato, con la conseguente immutabilità dell’accertamento stesso.

Il giudicato, infatti, può formarsi anche sulla qualificazione giuridica di un rapporto se, come nella specie, la qualificazione stessa abbia formato oggetto di specifica contestazione tra le parti (in primo grado avendo l’attrice invocato l’applicazione dell’art. 66, terzo comma, disp. att. cod. civ. a sostegno della proposta impugnativa, laddove i convenuti si sono difesi discorrendo di assemblea della comunione ed escludendo che il condominio si fosse già costituito) e sul punto deciso, costituente antecedente necessario ed indispensabile della pronuncia sulla domanda (di annullamento della delibera assembleare per la mancata comunicazione al partecipante dell’avviso di convocazione almeno cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza), la parte interessata non abbia proposto impugnazione (Cass., Sez. 1, 9 febbraio 1995, n. 1473; Cass., Sez. 2, 27 agosto 2002, n. 12562).

3. – Il ricorso è rigettato.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al rimborso delle spese processuali sostenute dai controricorrenti, che liquida in complessivi Euro 2.700, di cui Euro 2.500 per compensi, oltre ad accessori di legge.

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