Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 18 novembre 2015, n. 45711

Ritenuto in fatto

 

1. Con sentenza del 07.2.2014 la Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma di quella emessa il 26.06.2012 dal tribunale della stessa città nei confronti di L.H., assolveva costui dal reato di cui all’art.474 cod. pen. ascritto al capo A) – commercio di articoli di pelletteria con segni falsi – perché il fatto non sussiste, rideterminando la pena – sospesa alle condizioni di legge – per il reato di ricettazione degli stessi beni pure ascritto al capo A), previo riconoscimento dell’ipotesi di cui al comma secondo dell’art.648 cod. proc. pen. e delle attenuanti generiche, in mesi sei di reclusione ed euro duecento di multa. 2. Avverso la sentenza ha proposto appello il difensore dell’imputato articolando tre motivi:
– violazione ed erronea applicazione dell’art.648 cod. pen. con riferimento alla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato (lett. b dell’art.606, primo comma cod. proc. pen.);
– inosservanza di norme processuali per omessa motivazione sulla contestazione relativa alla mancanza dell’elemento soggettivo (lett. c, art. 606, 1° comma cod. proc. pen.);
– mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione ex art.606, 1° comma lett. e) cod. proc. pen. meramente apparente sull’elemento soggettivo del reato.

Considerato in diritto

 

1. Deve premettersi che i tre motivi di ricorso riguardano sostanzialmente, sia pure sotto diversi profili, l’accertamento nella fase di merito dell’elemento soggettivo del reato di ricettazione di beni di provenienza delittuosa (articoli di pelletteria) detenuti per il commercio da parte dell’imputato. Ritiene infatti la difesa che la corte territoriale non avrebbe applicato i principi di diritto elaborati a riguardo dalla Suprema Corte anche a sezioni uniti sulla consapevolezza della provenienza delittuosa dei beni omettendo la motivazione sul punto e fornendo solo un apparente riscontro ai rilievi mossi in appello .
2. II ricorso è manifestamente inammissibile e, quindi, infondato.
E’ stato accertato che l’imputato in data 27.12.2007 fu fermato dai carabinieri mentre usciva dal portone di un edificio assieme ad un altro uomo portando con sé un grosso borsone che conteneva capi di pelletteria (borse, portafogli, cinture) con marchi di note aziende risultati contraffatti. E’ principio acquisito nella giurisprudenza di legittimità che il delitto di commercio di prodotti con segni falsi può concorrere con il delitto di ricettazione, in quanto la fattispecie astratta dell’art. 474 cod. pen. non contiene tutti gli elementi costitutivi della ricettazione previsti dall’art. 648 cod. pen. Ed invero il reato (ex art.474 cod. pen.) può essere commesso dallo stesso autore della contraffazione o dell’alterazione o da un soggetto che ha acquistato i prodotti, successivamente commerciati, senza la consapevolezza iniziale della falsità del marchio o dei segni distintivi. Solo in questi casi manca un elemento costitutivo della fattispecie della ricettazione: nel primo caso dell’acquisto da terzi di cose provenienti da delitto e nel secondo caso dell’elemento soggettivo del dolo (Cass. sez. 5^ 5.11.1999 n.14277).
La difesa dei ricorrente, pur non contestando il possesso per la vendita di merce con segni distintivi non autentici, ritiene che nel processo di primo grado non sia stata acquisita la prova che l’imputato fosse consapevole della falsità dei marchi e che il giudizio di appello non abbia fornito un’adeguata motivazione sulla censura proposta sul punto.
Non considera tuttavia che in tema di ricettazione, la prova dell’elemento psicologico del reato può desumersi da qualsiasi elemento di fatto e da qualunque indizio giuridicamente apprezzabile, compreso il comportamento dell’imputato in relazione alla specifica attività posta in essere. Il giudice del merito ha a riguardo valorizzato, con argomentazioni logiche ed immuni da censure, la evidente contraffazione della merce che non poteva essere ignorata e che non poteva attribuirsi all’imputato; le modalità del possesso, estranee ai canali di distribuzione per la vendita e tipiche invece dei mercato parallelo dei capi non originali (ricezione della merce contraffatta e vendita illegale al dettaglio); la mancata giustificazione del possesso di tali beni.
3. Per le considerazioni esposte, dunque, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
Segue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al pagamento a favore della Cassa delle Ammende, non emergendo ragioni di esonero, della somma ritenuta equa di € 1.000,00 (mille) a titolo di sanzione pecuniaria.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di € 1.000,00 alla Cassa delle ammende.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *