Cassazione toga nera

Suprema CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II

SENTENZA 17 febbraio 2014, N. 7491

Considerato in fatto

1. Con ordinanza in data 9 aprile 2013 il Tribunale di Bari, pronunciandosi sull’appello del pubblico ministero avverso l’ordinanza emessa l’8 marzo 2012 dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bari con la quale era stata rigettata la richiesta di applicazione della misura cautelare personale nei confronti di D.V. , disponeva nei confronti del predetto la misura del divieto temporaneo di esercizio di attività imprenditoriale per due mesi in ordine al reato di associazione per delinquere finalizzata alla commissione di una serie indeterminata di delitti contro la fede pubblica, la pubblica amministrazione e il patrimonio diretti a favorire le società del gruppo D. in illecite aggiudicazioni da parte di enti pubblici di appalti per la realizzazione ed, eventualmente, per la gestione di tre grandi opere pubbliche realizzate in (…) (parcheggio di piazza (omissis) , parcheggio di piazza (omissis), (omissis)) nonché in ordine ad una serie di reati-fine (frode nelle pubbliche forniture, art. 356 c.p.: capo 2.2.1-G.C; falso ex artt.476, 479 c.p. nei documenti amministrativi e contabili di cantiere: capo 2.2.9 e nella richiesta di rilascio del certificato prevenzione incendi: capo 2.2.11; corruzioni ex artt.318, 319, 319 bis, 321 c.p. nelle commissioni di collaudo S. e L. – capi 2.2.12 e 2.2.14 – e, inoltre, corruzione DL – CB D.C. e DL – SP C. : capi 2.3.3 e 2.4.12 corruzione C. ; truffa e falso CB: capo 2.3.2; truffa ex artt. 640 e 640 bis c.p. SP: capo 2.4.2.; turbata libertà degli incanti e abuso di ufficio ex artt. 353 e 323 c.p.: capo 2.6.1).
2. Avverso la predetta ordinanza l’indagato ha proposto, tramite i difensori avv. Gaetano Castellaneta e avv. Stefano Preziosi, ricorso per cassazione. Sono stati depositati in data 28 ottobre 2013 motivi aggiunti.
2.1. Con un unico indistinto motivo, qui sintetizzato nei limiti strettamente necessari per la motivazione (art.173 disp. att. cod.proc.pen.), si deduce quanto segue circa la ritenuta gravità indiziaria in violazione dell’art.273 c.p.p..
In ordine al reato di associazione per delinquere (capo 2.1.), si deduce la violazione dell’art. 416 c.p. e la mancanza o manifesta illogicità della motivazione non avendo il giudice dell’appello cautelare tenuto conto della argomentazioni difensive circa l’insussistenza degli estremi del reato di cui all’art. 416 c.p. ed omesso, inoltre, di indicare, nelle quasi quaranta pagine di motivazione dedicate a detto reato (ff.18-56) nell’ambito di un’analisi limitata alla prospettazione accusatoria, come sulla struttura preesistente della DEC s.p.a., destinata ad agire lecitamente a livello nazionale nel settore degli affari pubblici, i fratelli D. avessero innestato l’accordo criminoso operante non nella fase dell’aggiudicazione, ma in quella esecutiva degli appalti, e realizzatosi attraverso la nomina dei direttori dei lavori C. e D.C. . Il ricorrente si duole anche che gli indizi in ordine al reato associativo siano stati essenzialmente desunti dalle relazioni dei consulenti tecnici del pubblico ministero (St. , Cl. , Du. , P. , Co. , F. , Ch. , D.M. ) i quali avevano erroneamente ritenuto che l’aggiudicazione degli appalti fosse avvenuta in violazione della disciplina vigente, che le società di progetto per il finanziamento delle opere fossero state costituite al solo fine di conseguire finalità illecite, che il calcolo della spesa stimato e approvato dal committente Comune di Bari per l’affidamento dei lavori fosse fittizio (senza considerare tuttavia i costi di produzione, le spese generali e la rimunerazione dell’impresa di costruzione), che quanto alla realizzazione del Centro direzionale (OMISSIS) il corrispettivo riconosciuto dal Comune di Bari fosse da intendersi come trasferimento da parte del Comune del contributo ricevuto al concessionario con consequenziali oneri e obblighi di rendicontazione, che le varianti in corso d’opera non corrispondessero a fatti sopravvenuti alla conclusione del contratto e all’avvio dei lavori.
In ordine ai rapporti con la P.A. e alle corruzioni dei funzionari pubblici, nel ricorso si sostiene che il c.d. sistema D. -secondo il quale gli indagati attraverso la costituzione delle società di progetto (società veicolo) avrebbero incrementato il costo del Centro Direzionale (OMISSIS) rendicontando in corso di esecuzione le opere realizzate in modo da includere quali voci di costo spese non effettivamente sostenute, l’utile degli stessi D. e l’IVA corrisposta sui costi apparentemente sostenuti- sarebbe il frutto di congetture e il risultato di un’errata considerazione del particolare sistema di finanziamento di opere pubbliche costituite dal project financing. Nel caso di specie la costituzione della società veicolo, (omissis) , da parte dei D. , che si erano visti aggiudicare la gara, costituiva un meccanismo normativamente previsto in cui la società di costruzione viene sostituita dalla società veicolo che dovrà in futuro gestire l’opera; i rapporti tra pubblici ufficiali e il concessionario erano normali in relazione agli interessi convergenti nella realizzazione di opere pubbliche, né dalle risultanze investigative era possibile riscontrare un progetto preordinato di nomina dei direttori dei lavori finalizzato a conseguire profitti illeciti in danno del Comune di Bari. D.V.M. è stato indicato come promotore dell’associazione criminosa, ma le conversazioni intercettate confermavano il limitato tempo da lui riservato, tra i suoi numerosi impegni, agli interventi pubblici del Comune di Bari.
In ordine al reato contestato al capo 2.2.1 (art.356 c.p.), si sostiene che i gravi indizi di colpevolezza sono stati desunti unicamente dal ruolo attribuito all’indagato nell’ambito dell’associazione criminosa.
Quanto al capo capo 2.2.12 (corruzione S. ) il Tribunale avrebbe valorizzato due conversazioni telefoniche intercettate in cui si faceva riferimento al “signor V. ” e ad una possibilità di incontro con il S. , il quale aveva effettivamente ricevuto l’incarico di direttore tecnico in un cantiere e di progettista in relazione ad un altro lavoro, senza tuttavia concreti elementi circa l’attribuzione a tali incarichi e all’iscrizione del figlio del S. al terzo anno dell’istituto universitario L.U.M. della natura di corrispettivi per atti contrari ai doveri di ufficio.
Quanto al capo 2.3.1 (frode nelle pubbliche forniture C.B.), il pubblico ministero non aveva richiesto la misura cautelare in ordine a detto reato (come riconosciuto dal Tribunale con riferimento a f.891 della richiesta) e nessun rigetto era stato pronunciato al riguardo; comunque unico criterio di valutazione era che “il ricorrente non poteva non sapere”.
In ordine al capo 2.3.2 (truffa e falso C.B.) il Tribunale si sarebbe limitato a recepire le conclusioni dell’informativa della Guardia di Finanza in data 30 marzo 2010 e del consulente del pubblico ministero S. , senza tener conto che non sussistevano gli estremi della truffa contrattuale nella fase dell’aggiudicazione e che con l’approvazione del progetto esecutivo non veniva riconosciuto alcun maggior onere al concessionario, tranne la valutazione dei maggiori oneri derivanti dall’adeguamento delle strutture alla nuova normativa antisismica entrata in vigore con D.M. 14 settembre 2005, che comunque dovevano essere sottoposti al preventivo esame del RUP da parte del concessionario e dalle emergenze dell’attività di scavo.
Quanto al capo 2.3.3 (corruzione D.C. ), si osserva che il D.C. , nominato direttore dei lavori nel 2004, sin dal 2001, quale dipendente e consulente della DEC s.p.a., riceveva pagamenti in nero e che non vi era nesso causale tra le dazioni ricevute e gli atti contrari ai doveri di ufficio.
In relazione al capo 2.4.2 (truffa ai danni del Comune di Bari per Direzionale S. Paolo) il Tribunale, senza tener conto della memoria difensiva e della consulenza dell’ing. Ca.Ru. , aveva erroneamente ritenuto che il gruppo D. attraverso la costituzione della società di progetto (società veicolo) avesse incrementato il costo dell’opera da realizzare da 33.000.000,00 di Euro circa a 49.000.000,00 di Euro circa, comprensivi di IVA, e che la società concessionaria Area Bersaglio avesse ricevuto dal comune di Bari una sorta di contributo pari al 30% del valore stimato dell’opera; i gravi indizi consisterebbero nella costituzione della società di progetto, con il successivo affidamento dei lavori alla DEC s.p.a., al solo fine di rendicontare costi mai sostenuti e nella consapevolezza sin dall’inizio della gara dell’indicazione di un budget previsionale inferiore a quello previsto dal Piano economico finanziario; la gara, l’aggiudicazione e il contratto di concessione erano invece del tutto regolari, come poteva desumersi dalla corretta interpretazione testuale dell’avviso di gara, della lettera di prequalificazione, dal capitolato speciale prestazionale e dallo schema di contratto di concessione; il Tribunale avrebbe interpretato in maniera abnorme gli atti e il contratto; quanto all’esecuzione del contratto di concessione arbitrariamente il consulente del pubblico ministero aveva ritenuto che il progetto realizzato non fosse conforme al progetto di contratto, ignorando le variazioni autorizzate ed approvate dal comune di Bari nell’osservanza delle norme di riferimento.
In relazione al capo 2.4.12 (corruzione C. ), l’ipotesi accusatoria sarebbe stata ritenuta fondata su un quadro di gravità indiziaria solo in relazione alla correlazione temporale tra i reati contestati al C. , direttore dei lavori del Direzionale (OMISSIS), e l’anomala consegna ritardata allo stesso di un immobile (per il quale il contratto preliminare di vendita era stato stipulato anni prima) con conseguente decurtazione di 55.000,00 Euro (il 5%) sul prezzo concordato, senza tuttavia individuare il nesso causale tra l’accordo corruttivo, per il quale la sola individuazione dell’utilità pervenuta al pubblico ufficiale non costituisce una solida base indiziaria, e la condotta del pubblico ufficiale; il Tribunale si sarebbe fermato, su questo punto, solo ad una congettura.
2.2. Quanto, infine, alle esigenze cautelari, nel ricorso si deduce la violazione dell’art. 274 co. 1 lett. c) c.p.p. in quanto non si sarebbe tenuto adeguato conto del tempo trascorso dai fatti, ai sensi dell’art. 292 co. 2 lett. c) c.p.p., né, quanto al reato di associazione per delinquere, della circostanza che il D. si era dimesso da anni da tutti gli incarichi societari, in particolare dalla carica di amministratore della DEC s.p.a., ammessa al concordato preventivo; anche il suo comportamento collaborativo con la polizia giudiziaria e con i consulenti del pubblico ministero avrebbero dovuto far escludere la sussistenza del pericolo concreto di reiterazione della condotta criminosa.
2.3. Con il primo e il terzo dei motivi aggiunti depositati in data 28 ottobre 2013 si deduce quanto segue, ad integrazione dei motivi relativi all’applicazione della misura cautelare personale (il secondo motivo aggiunto si riferisce esclusivamente alla misura cautelare reale applicata con separata ordinanza, autonomamente impugnata, nei confronti del ricorrente).
Con il primo motivo aggiunto si deduce, in relazione al reato di associazione per delinquere, l’erroneità della ritenuta sussistenza degli estremi del reato associativo evidenziando l’assenza nel caso in esame dello scopo di commettere una serie indeterminata di delitti in quanto, come aveva affermato il giudice per le indagini preliminari, la pluralità delle condotte criminose si iscriveva nell’ambito di una vicenda definita e determinata, mentre la stabilità (ovvero la durata nel tempo) della stessa condotta era stata confusa dal Tribunale con l’indeterminatezza degli illeciti che gli associati intendevano realizzare; si rileva, inoltre, la mancanza di qualsiasi autonomia organizzativa della pretesa associazione per delinquere rispetto alla struttura societaria, non avendo il Tribunale indicato in quale modo fosse avvenuta l’integrazione dell’ipotizzata compagine criminosa con la struttura societaria lecita della DEC s.p.a.; si sostiene, infine, che la nomina di direttori dei lavori compiacenti non era idonea a dimostrare l’autonomia dell’organizzazione criminale rispetto a quella lecita.
Con il terzo motivo aggiunto si deduce la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione relativamente alla vicenda della realizzazione del parcheggio Cesare Battisti (capo 2.3.2); ripetuto e apodittico sarebbe il rinvio alle conclusioni del consulente del pubblico ministero quanto al riconoscimento di un preteso incremento dei costi che non risulta essere stato riconosciuto rimanendo a esclusivo carico e spese del concessionario, mentre le varianti erano state tutte determinate da fatti sopravvenuti durante l’esecuzione dei lavori per l’entrata in vigore della nuova normativa antisismica e dai problemi emersi durante lo scavo.

Ritenuto in diritto

3. Il ricorso è infondato quanto alla ritenuta sussistenza della gravità indiziaria.
3.1. In particolare in ordine al reato di associazione per delinquere, va premesso che la menzione della memoria difensiva depositata dalla difesa nel testo dell’ordinanza impugnata non consente di affermare che la stessa memoria non sia stata esaminata e valutata nel suo contenuto dal giudice di merito, ben potendo peraltro gli argomenti esposti in una memoria presentata ai sensi dell’art. 121 cod.proc.pen. essere disattesi anche per implicito dal giudice, pur in presenza di una omessa espressa disamina, per essere le argomentazioni difensive incompatibili con la struttura della motivazione del provvedimento (Cass. sez. I 6 luglio 2007 n. 34531, Gangemi; sez. V 16 dicembre 2008 n.11752, Quaranta). L’eventuale omessa valutazione di memorie difensive può pertanto influire solo sulla congruità e correttezza logico-giuridica della motivazione della decisione che definisce la fase o il grado nel cui ambito siano state espresse le ragioni difensive (Cass. sez. VI 28 febbraio 2012 n. 18453, Cataldo).
Sulla gravità indiziaria in ordine al reato di associazione per delinquere, oggetto anche del primo motivo aggiunto, il giudice di merito nell’ordinanza impugnata ha dato conto adeguatamente delle ragioni della propria decisione, all’esito di un approfondito vaglio degli elementi concreti che consentivano di ravvisare gli estremi del reato in questione e di puntuali richiami alla giurisprudenza di legittimità in materia, con una motivazione congrua, immune da manifesta illogicità e contenuta entro i confini della plausibile opinabilità di apprezzamento e valutazione. Non si ravvisano carenze argomentative circa la sussistenza, sul piano indiziario, dei tre fondamentali elementi che caratterizzano il delitto previsto dall’art. 416 c.p., costituiti da un vincolo associativo tendenzialmente permanente, o comunque stabile, destinato a durare anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati, dall’indeterminatezza del programma criminoso che distingue il reato associativo dall’accordo che sorregge il concorso di persone nel reato, e dall’esistenza di una struttura organizzativa, sia pur minima, ma idonea e soprattutto adeguata a realizzare gli obiettivi criminosi presi di mira (Cass. sez. II 17 gennaio 2013 n.16339, Burgio; sez. VI 7 novembre 2011 n. 3886, Papa; sez. I 14 luglio 1998 n. 10107, Rossi).
Con il ricorso si tende in realtà a sottoporre al giudizio di legittimità aspetti attinenti alla ricostruzione del fatto e all’apprezzamento del materiale indiziario rimessi alla esclusiva competenza del giudice di merito. Infatti si formulano essenzialmente censure di merito improponibili in sede di legittimità, prospettando una rilettura in fatto degli elementi indiziari già presi in considerazione e analiticamente valutati nella loro complessiva gravità dal giudice dell’appello cautelare, che ha adeguatamente giustificato le conclusioni circa la sussistenza della gravità indiziaria attraverso una puntuale valutazione delle emergenze investigative e una motivazione coerente e lineare, conforme ai principi di diritto che governano le risultanze probatorie ed esente da contraddizioni e manifeste illogicità (Cass. Sez. Un. 22 marzo 2000 n. 11, Audino; sez. IV 3 maggio 2007 n. 22500, Terranova; sez. V 8 ottobre 2008 n. 46124, Pagliaro; sez. VI 8 marzo 2012 n. 11194, Lupo). Va ribadito, infatti, che il controllo di legittimità sulla motivazione delle ordinanze in materia di provvedimenti restrittivi della libertà personale è diretto a verificare, da un lato, la congruenza e la coordinazione logica dell’apparato argomentativo che collega gli indizi di colpevolezza al giudizio di probabile colpevolezza dell’indagato e, dall’altro lato, la valenza sintomatica degli indizi senza coinvolgere il giudizio ricostruttivo del fatto e gli apprezzamenti del giudice di merito circa l’attendibilità delle fonti e la rilevanza e la concludenza dei risultati del materiale probatorio, quando la motivazione sia adeguata, coerente ed esente da errori logici e giuridici. (Cass. Sez. Un. 30 aprile 1997 n. 6402, Dessimone; sez. I 20 marzo 1998 n. 1700, Barbaro). In sede di ricorso proposto ai sensi dell’art. 311 co. 2 c.p.p. la motivazione del provvedimento che dispone una misura coercitiva è, pertanto, censurabile solo quando sia priva dei requisiti minimi di coerenza, completezza e logicità al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidonea a rendere comprensibile il filo logico seguito dal giudice di merito o talmente priva di coordinazione e carente dei necessari passaggi logici da far risultare incomprensibili le ragioni che hanno giustificato l’applicazione della misura (Cass. sez. I 7 dicembre 1999 n. 6972, Alberti).
Nell’ordinanza impugnata vengono invece puntualmente posti in evidenza – attraverso un’organica e consequenziale ricostruzione degli indizi, emergenti principalmente dalle intercettazioni telefoniche e ambientali, dalla documentazione sequestrata, dalle indagini della Guardia di Finanza, dall’esito delle consulenze tecniche disposte dal pubblico ministero in relazione agli appalti dei parcheggi di piazza (omissis) , del parcheggio di piazza (OMISSIS) , del c.d. Direzionale (omissis) – circa il preordinato sistema operativo messo in atto dalle imprese facenti parte del gruppo D. sia nella fase di aggiudicazione di appalti pubblici, di rilevante importo finanziario, negli anni 2004-2007, sia nella fase esecutiva in cui si realizzava l’anticipata programmazione -attraverso il sistematico contributo di direttori dei lavori che erano di fatto dipendenti del gruppo imprenditoriale, di pubblici ufficiali come i responsabili unici del procedimento (RUP) e di componenti delle commissioni di collaudo – della non osservanza del capitolato o comunque della richiesta di varianti non corrispondenti a situazioni imprevedibili. Il Tribunale ha evidenziato la costituzione di società diverse, aventi anche la forma di società di progetto (project financing) tutte collegate sotto il profilo personale, operativo e finanziario; l’utilizzo di legami con coloro che occupavano posti-chiave nella pubblica amministrazione (rapporti, emergenti dalle conversazioni intercettate, con l’ing. N.V. , direttore della Ripartizione edilizia Pubblica del Comune di Bari, formalmente responsabile unico del procedimento del parcheggio di piazza (omissis) ma interessato anche agli altri due appalti del gruppo Degennaro); la pianificazione delle spese della commessa in misura di gran lunga inferiore a quelle risultanti dai piani economico-finanziari e nei computi metrici (sulla base di documentazione anche informatica relativa al budget interno, inferiore rispetto ai costi dichiarati per aggiudicarsi l’appalto, e di conversazioni intercettate circa l'”accomodamento” dei dati contabili); l’introduzione di varianti strutturali (dagli accertamenti tecnici disposti dal pubblico ministero era risultato che per tutti gli appalti monitorati le varianti progettuali o in corso d’opera avevano l’unico scopo di ridurre i costi di realizzazione dell’opera e aumentare i profitti dell’impresa ed erano predeterminate, oltre che illegittime dal punto di vista formale); l’alterazione di registri di cantiere e dei verbali di collaudo (risultante dalle conversazioni intercettate e dagli accertamenti svolti dalla Guardia di Finanza); la scelta dei direttori dei lavori (l’ing. C.R. , direttore dei lavori per il Direzionale (omissis), e l’ing. D.C.F. , direttore dei lavori del parcheggio di piazza Cesare Battisti e cognato del ricorrente, erano sostanzialmente dipendenti della DEC s.p.a. come risultava dagli accertamenti della Guardia di Finanza e dalle intercettazioni telefoniche); l’influenza sulle commissioni di collaudo (sulla cui nomina, come risultava dalle intercettazioni telefoniche, il gruppo D. era solito intervenire).
Il giudice di merito non ha mancato di rilevare come, in relazione agli appalti relativi alle tre opere analizzate dai consulenti tecnici del pubblico ministero, le medesime procedure operative e la suddivisione dei ruoli tra diversi soggetti – componenti delle commissioni di collaudo, dirigenti di uffici pubblici statali e delle stazioni appaltanti – che a vario titolo avevano contribuito alla realizzazione di opere diverse qualitativamente rispetto ai progetti esecutivi si configuravano come un vero e proprio sistema attraverso il quale una struttura societaria lecita (la DEC s.p.a.), integrata da uomini di fiducia e pubblici ufficiali compiacenti, operava di fatto con modalità illecite. Tale conclusione, adeguatamente motivata nel caso concreto con riferimento a precisi elementi fattuali emergenti dalla ricostruzione effettuata dalla Guardia di Finanza della composizione del gruppo Degennaro e dal contenuto significativo delle conversazioni intercettate, trova corrispondenza nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo il quale ai fini della configurabilità di una associazione a delinquere, il cui programma criminoso preveda un numero indeterminato di delitti contro la pubblica amministrazione finalizzati al controllo illecito dell’assegnazione di appalti e forniture, non si richiede l’apposita creazione di una organizzazione, sia pure rudimentale, ma è sufficiente una struttura che può anche essere preesistente alla ideazione criminosa e già dedita a finalità lecita, né è necessario che il vincolo associativo assuma carattere di stabilità, essendo sufficiente che esso non sia a priori circoscritto alla consumazione di uno o più reati predeterminati, né occorre il notevole protrarsi del rapporto nel tempo (Cass. sez. VI 16 dicembre 2011 n.9117, Tedesco; sez. V 5 maggio 2009 n. 31149, Occioni; sez. I 3 ottobre 1989 n. 134, Pintacuda). Nel provvedimento impugnato si è evidenziato peraltro come dalle indagini della Guardia di Finanza risultava che in relazione al parcheggio di piazza Giulio Cesare e di piazza Cesare Battisti la ATI DEC s.p.a. con analogo modus operandi aveva partecipato alle gare, si era aggiudicata i lavori di realizzazione delle opere con la formula del project financing, creando successivamente per i due parcheggi società di gestione ad hoc (la Gestipark Giulio Cesare s.r.l. e la Gestipark Cesare Battisti s.r.l.) di cui la stessa DEC era socia; che dette società di gestione erano subentrate successivamente nel rapporto di concessione e avevano appaltato i lavori di realizzazione delle opere alla stessa DEC s.p.a.; che per il Direzionale San Paolo la costituzione di un’apposita società di progetto aveva consentito alla DEC s.p.a. di poter fatturare costi non sostenuti effettivamente.
Quanto alla stabilità e all’indeterminatezza dell’accordo criminoso, il giudice di merito l’ha correttamente desunto, sul piano indiziario, dalla ripetitività del modulo operativo adottato in occasione dei vari appalti che il gruppo imprenditoriale si era aggiudicato nell’arco temporale di circa quattro anni. La tendenziale durata nel tempo, anche oltre la realizzazione dei delitti concretamente programmati, è stata ritenuta, con argomentazione logicamente coerente, anche dall’indispensabile contributo di una solida “rete” di collaboratori-direttori dei lavori, di funzionari pubblici e di componenti delle commissioni di collaudo cui era demandata la competenza sulla corretta esecuzione dell’opera pubblica, “rete” che non poteva essere costituita occasionalmente ma costituiva la base di un sodalizio durevole e non legato al mero concorso di persone nel reato.
Deve ritenersi, pertanto, che nell’ordinanza impugnata siano stati individuati con motivazione esaustiva i plurimi e convergenti elementi che consentivano, nei limiti della valutazione di gravità indiziaria, di individuare nella condotta del D. e dei coindagati gli estremi del reato associativo. Le doglianze del ricorrente sono fondate su una diversa lettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione la cui valutazione è compito esclusivo del giudice di merito ed è inammissibile in questa sede, essendo stato comunque l’obbligo di motivazione esaustivamente soddisfatto nell’ordinanza impugnata con valutazione critica di tutti gli elementi offerti dall’istruttoria dibattimentale e con indicazione, pienamente coerente sotto il profilo logico-giuridico, degli argomenti a sostegno dell’affermazione di responsabilità.
In ordine ai rapporti con la pubblica amministrazione e alle corruzioni dei funzionari pubblici le doglianze del ricorrente si appuntano sulla pretesa errata considerazione dell’assoluta legittimità nel caso di specie del particolare sistema di finanziamento di opere pubbliche costituite dal project financing e si concentrano, in particolare, sulla costituzione della società veicolo, Area Bersaglio, da parte dei D., che si erano visti aggiudicare la gara per il c.d. Direzionale (omissis). A questo proposito la Corte rileva che nel provvedimento impugnato non si nega la legittimità in astratto del meccanismo della costituzione delle società di progetto (c.d. società veicolo) in cui la società di costruzione viene sostituita dalla società veicolo che dovrà in futuro gestire l’opera, ma si afferma in via indiziaria – sulla base non solo degli accertamenti contabili svolti dalla Guardia di Finanza ma anche di significative conversazioni intercettate tra C.R. , direttore dei lavori, e tale T. , direttore dell’area finanziaria del gruppo Degennaro – l’artificiosa costituzione della società di progetto Area Bersaglio s.r.l. per poter fatturare costi non sostenuti effettivamente e ottenere il contributo da parte del Comune nella misura massima, condotta contestata come truffa al capo 2.4.2.. Quanto ai rapporti tra pubblici ufficiali e il concessionario, secondo il ricorrente normali in relazione agli interessi convergenti nella realizzazione di opere pubbliche, e alla ritenuta preordinazione delle nomine di direttori dei lavori compiacenti, oggetto di ulteriori doglianze difensive, la Corte rileva che si tratta di mere affermazioni dirette a sostenere la tesi difensiva, che non tengono conto degli elementi indiziari ritenuti gravi dal giudice di merito o tengono esclusivamente a proporne una diversa lettura. Quanto al ruolo di promotore dell’associazione attribuito a D.V.M. e al suo limitato intervento nelle conversazioni intercettate, nel provvedimento impugnato è dedicato ampio spazio al ruolo svolto dal ricorrente (ff.51 ss.) evidenziandone la posizione apicale, non soltanto formale, nell’ambito del gruppo imprenditoriale facente capo alla sua famiglia “con un potere di supervisione che lo rende attivamente partecipe della gestione di tutte le vicende più rilevanti dell’attività di impresa oltre che della risoluzione delle problematiche più delicate tessendo la trama delle relazioni esterne (politici, membri delle commissioni di collaudo, dirigenti pubblici”.
In ordine al reato contestato al capo 2.2.1 (art.356 c.p., in relazione alla realizzazione del parcheggio di piazza Giulio Cesare), la gravità indiziaria circa la consapevolezza della realizzazione di un’opera diversa per qualità e quantità, con la finalità di rispettare i budget interni e i costi effettivamente preventivati, è stata desunta dal ruolo in concreto svolto dal ricorrente, in stretta collaborazione con i fratelli D. e G. , amministratori di fatto, e alla fungibilità dei ruoli tra gli stessi. Peraltro la sua partecipazione alla corruzione di S.S. (capo 2.2.12.), presidente della commissione di collaudo del parcheggio di piazza (omissis) – desunta con adeguata argomentazione da significative conversazioni intercettate del S. sulle promesse ricevute direttamente dal D. in ordine ad altri incarichi – è stata motivatamente ritenuta rivelatrice del personale coinvolgimento del ricorrente della gestione dell’appalto in questione.
Quanto corruzione del S. , il Tribunale ha in particolare posto in evidenza che il presidente della commissione di collaudo del parcheggio di piazza (omissis) ottenne effettivamente nel febbraio 2007 un incarico di prestazione professionale a (…) dalla DEC s.pa. nonché la garanzia che il figlio avrebbe potuto iscriversi al terzo anno della Libera Università Mediterranea, università privata di proprietà e gestita da un nipote dei D. (iscrizione che era puntualmente avvenuta il 23 aprile 2007). Inoltre nell’ordinanza impugnata si precisa, quanto agli atti contrari ai doveri di ufficio remunerati con dette utilità, che tra le condotte contestate vi era anche quella omissiva protrattasi fino al luglio 2007 e che anche sotto il profilo temporale era evidente la correlazione tra la perpetrazione dei falsi e dette utilità. Il Tribunale inoltre ha richiamato puntualmente la giurisprudenza di questa Corte secondo la quale, in tema di corruzione propria, l’atto contrario ai doveri di ufficio oggetto dell’accordo illecito non deve essere individuato nei suoi connotati specifici, essendo sufficiente che esso sia individuabile in funzione della competenza e della concreta sfera di intervento del pubblico ufficiale.
In ordine al capo 2.3.1 (frode nelle pubbliche forniture C.B.), le doglianze difensive sono infondate in quanto nell’ordinanza impugnata si da correttamente atto che in relazione a tale reato il pubblico ministero non aveva richiesto l’applicazione della misura cautelare personale e che l’appello sul punto, “non chiarissimo”, doveva intendersi proposto al solo fine di chiedere al giudice dell’appello cautelare una pronunzia sulla piattaforma indiziaria posta a base di questa ipotesi delittuosa per meglio delineare tutte le condotte ascritte a coloro che l’accusa ritiene partecipi dell’associazione per delinquere delineata al capo 2.1.. L’esame di tale ipotesi delittuosa, nell’ambito della motivazione dell’ordinanza impugnata, rileva pertanto al solo al fine di connotare meglio l’ipotesi associativa e non risulta che l’ordinanza di applicazione della misura cautelare personale nei confronti del ricorrente riguardi anche il reato ascritto al capo 2.3.1..
Relativamente al capo 2.3.2 (truffa e falso C.B.), oggetto anche del terzo motivo aggiunto, il Tribunale ha posto in risalto quali elementi indiziari componenti il quadro di gravità indiziario il contenuto delle numerose conversazioni intercettate, la significativa documentazione acquisita e la relazione del consulente del pubblico ministero circa le numerosissime voci di costo approvate nella perizia di variante redatta dall’ing. D.C. , direttore dei lavori, che non nascevano da fattori sopravvenuti e non imputabili all’impresa e che giustificavano infondatamente il riconoscimento di nuovi costi in favore della concessionaria Gestipark Cesare Battisti s.r.l.. Sul punto il ricorrente si limita a prospettare una lettura alternativa delle risultanze investigative che non può avere rilevanza in sede di legittimità.
Quanto alla corruzione D.C. (capo 2.3.3.) del tutto adeguata appare la motivazione dell’ordinanza impugnata nella parte in cui si collegano le elargizioni (pagamenti “in nero” e acquisto a condizioni di favore di due appartamenti da parte delle figlie) ricevute dal D.C. , il quale già versava in una situazione di incompatibilità stante i suoi rapporti di affinità con il ricorrente e di dipendente “in nero” della DEC s.p.a., con lo svolgimento a partire dal 2004 dell’incarico di direttore dei lavori dell’appalto per la realizzazione del parcheggio di piazza (omissis) , tenuto conto dei vantaggi economici assicurati dalle relazioni a sua firma cui si faceva esplicito riferimento nelle conversazioni intercettate puntualmente riportate nell’ordinanza impugnata.
In relazione al capo 2.4.2 (truffa ai danni del Comune di Bari per Direzionale (…)) il ricorrente propone una ricostruzione personale della vicenda contrattuale in cui sostanzialmente si disconosce da un lato l’attendibilità delle conclusioni del consulente del pubblico ministero quanto al riconoscimento di un preteso incremento dei costi da 33.000.000,00 di Euro circa a 49.000.000,00 di Euro circa, comprensivi di IVA e dall’altro lato si deduce sostanzialmente un’erronea interpretazione della vicenda contrattuale, affermandosi che le varianti erano state tutte determinate da fatti sopravvenuti durante l’esecuzione dei lavori per l’entrata in vigore della nuova normativa antisismica e dai problemi emersi durante lo scavo. Si tratta all’evidenza di di valutazioni di merito non proponibili in questa sede, coinvolgendo peraltro aspetti di natura anche tecnica risolvibili solo in sede di accertamenti peritali.
In relazione al capo 2.4.12 (corruzione C. ), vale quanto detto in ordine alla corruzione D.C. circa la stretta correlazione, anche temporale, individuata nell’ordinanza impugnata tra i reati attribuiti al C. quale direttore dei lavori del Direzionale (omissis) e l’anomala consegna ritardata dell’immobile acquistato dalla società del gruppo Degennaro con un consistente sconto. Detta correlazione giustifica ampiamente la ritenuta gravità indiziaria in capo al ricorrente, anche per i rapporti avuti con il C. personalmente, in ordine al reato di corruzione.
3.2. Quanto, infine, alle esigenze cautelari, la Corte rileva che nell’ordinanza impugnata è stata ritenuta sussistente l’esigenza cautelare prevista dall’art. 274 lett.c) c.p.p. “in considerazione del dimostrato collaudato modus operandi delle condotte illecite poste in essere dall’indagato”, ponendo altresì in rilievo che, quanto al reato di associazione per delinquere, la risalenza nel tempo degli indizi non fosse rilevante attesa la natura permanente del reato. Il Tribunale ha tuttavia ritenuto, a fronte della richiesta del pubblico ministero appellante di applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari, di disporre la misura del divieto temporaneo di esercizio di attività imprenditoriali per la durata massima prevista dalla legge di mesi due, pur affermando che “il radicamento capillare del sodalizio promosso dal D. e l’appoggio su cui lo stesso, unitamente ai suoi fratelli, ha dimostrato di poter contare all’interno dei pubblici uffici, oltre che i rapporti coltivati in ambito politico, unitamente alla scaltrezza con la quale il management dell’impresa dallo stesso rappresentata ha sempre operato, sono tutti fattori che rendono assolutamente concreto il pericolo di reiterazione di condotte analoghe”. A questo proposito la Corte rileva, tuttavia, che il ricorrente assume di essersi dimesso da anni da tutti gli incarichi societari, in particolare dalla carica di amministratore della DEC s.p.a., ammessa al concordato preventivo, e che tale circostanza viene riconosciuta anche dal giudice di merito allorché afferma che “la prosecuzione dell’attività criminosa…ben potrebbe avvenire anche con la costituzione di persone giuridiche diverse da quelle oggi soggette a concordato preventivo”. La Corte ritiene detta motivazione carente e comunque contraddittoria in quanto il grado di gravità dell’esigenza cautelare come rappresentato e la ritenuta irrilevanza del decorso del tempo solo quanto al reato associativo non sembrano giustificare adeguatamente, sotto il profilo della proporzionalità e dell’adeguatezza, l’applicazione della misura interdittiva, la cui limitata durata nel tempo in una situazione in cui non risulta che il ricorrente eserciti attualmente attività imprenditoriali appare superflua.
4. Conseguono l’annullamento senza rinvio dell’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari e il rigetto nel resto del ricorso.

P.Q.M.

annulla senza rinvio l’ordinanza impugnata limitatamente alle esigenze cautelari. Rigetta nel resto.

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