Le massime

1. Le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzo e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, s’impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato e non a conseguirlo. Ne consegue che l’inadempimento del medesimo non può essere desunto senz’altro dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti lo svolgimento dell’attività professionale ed in particolare al dovere di diligenza, per la valutazione del quale trova applicazione, in luogo del criterio tradizionale della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall’art. 1176 comma 2 c.c., il quale deve essere commisurato alla natura dell’attività esercitata.

2. La diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella media, a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto non involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso essa è attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave. La violazione del dovere di diligenza comporta inadempimento contrattuale e determina, in applicazione del principio di cui all’art. 1460 c.c., la perdita del diritto al compenso.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE II

SENTENZA 16 novembre 2012, n.20216

Ritenuto in fatto

Con sentenza in data 18-5-2001 il Giudice di Pace di Genova, in accoglimento della domanda proposta dallo Studio Peroni s.r.l., condannava la B.M. Nautica s.r.l. al pagamento della somma di lire 3.400.000, quale compenso per prestazioni professionali.
La B.M. Nautica s.r.l. proponeva appello avverso tale decisione, esponendo di avere incaricato lo Studio Peroni, verso la fine del 1996, della predisposizione del documento di valutazione dei rischi per la salute e la sicurezza dei lavoratori ai sensi degli artt. 3 comma 1 e 4 del d.lgs. 626/1994. L’appellante sosteneva che l’elaborato redatto dallo Studio Peroni era risultato del tutto inadeguato, non fornendo indicazioni specifiche sui rischi e sulle misure da adottare. A conferma del suo assunto, essa evidenziava che il medico aziendale si era rifiutato di sottoscrivere tale elaborato. Aggiungeva che, a causa dell’inadempimento dell’attore, era stata costretta a rivolgersi ad altro studio per la redazione del documento in parola.
L’appellato si costituiva chiedendo il rigetto del gravame e rilevando, in particolare, che dalla consulenza tecnica d’ufficio emergeva che la relazione sui rischi redatta dallo Studio Peroni era adeguata.
Con sentenza depositata il 18-4-2005 il Tribunale di Genova accoglieva il gravame, rigettando la domanda formulata dall’attrice e condannando quest’ultima al pagamento delle spese di appello ed alla restituzione delle somme corrisposte dalla convenuta in forza della sentenza di primo grado.
Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso lo Studio Peroni s.r.l., sulla base di due motivi.
La B.M. Nautica s.r.l. ha resistito con controricorso, proponendo altresì ricorso incidentale, affidato ad un unico motivo.
Il ricorrente ha resistito al ricorso incidentale con controricorso.

Motivi della decisione

1) In via preliminare, va disposta la riunione del ricorso principale e di quello incidentale, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2) Con il primo motivo il ricorrente principale lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 2230, 2236 e 1176 comma 2 c.c., anche in relazione all’art. 1362 c.c..

Deduce che l’obbligazione professionale non è un’obbligazione di risultato, ma di mezzi, e che, pertanto, il mancato raggiungimento del risultato non determina di per sé l’inadempimento, che consiste invece nell’aver tenuto un comportamento non conforme alla diligenza richiesta. Sostiene che nella specie il giudice di appello non si è attenuto a tali principi, in quanto ha attribuito rilevanza decisiva al fatto che il medico aziendale della B.M. Nautica aveva rifiutato di sottoscrivere la documentazione predisposta dallo Studio Peroni, ritenendo in tal modo provato il mancato raggiungimento dell’obiettivo asseritamene prefissato dalla cliente; laddove, ai fini della valutazione dell’inadempimento, si sarebbe dovuto tener conto del grado di diligenza concretamente esigibile in relazione al contenuto della prestazione oggetto dell’incarico professionale. Secondo il ricorrente, inoltre, il giudice del gravame ha erroneamente ritenuto che con il contratto d’opera professionale del dicembre del 16-12-1998 allo Studio Peroni fosse stata richiesta la redazione del documento di valutazione dei rischi ai sensi dell’art. 4 del d.lgs. n. 626U994, dovendo al contrario l’attore prestare una mera attività di assistenza e di collaborazione propedeutica a tal fine.

Con il secondo motivo il ricorrente si duole dell’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione. Deduce, in particolare, che il Tribunale ha basato il proprio convincimento circa la negligenza dell’attore esclusivamente sulle valutazioni espresse in sede testimoniale dal Dott. A. , medico aziendale della B.M. Nautica s.r.l., il quale ha dichiarato di non aver sottoscritto il documento predisposto dallo Studio Peroni. Al contrario, sono state totalmente disattese, senza alcuna confutazione, le opposte considerazioni svolte dal C.T.U..

Con l’unico motivo la ricorrente incidentale denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c., in relazione alla omessa condanna dello Studio Peroni alla rifusione delle spese di primo grado.

3) L’eccezione di inammissibilità del ricorso principale per mancanza della formulazione del quesito di diritto richiesto dall’art. 366 bis c.p.c., sollevata dal controricorrente, deve essere disattesa.

Nella specie, infatti, in considerazione della data di pubblicazione della sentenza di appello, non trova applicazione, ratione temporis, la citata norma codicistica, introdotta dal d.lgs. 2-2-2006 n. 40.

3) I due motivi di ricorso principale, che per ragioni di connessione possono essere esaminati congiuntamente, sono fondati.

Secondo una consolidata giurisprudenza di legittimità, le obbligazioni inerenti all’esercizio di un’attività professionale sono, di regola, obbligazioni di mezzo e non di risultato, in quanto il professionista, assumendo l’incarico, s’impegna a prestare la propria opera per raggiungere il risultato desiderato e non a conseguirlo. Ne consegue che l’inadempimento del medesimo non può essere desunto senz’altro dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal cliente, ma deve essere valutato alla stregua dei doveri inerenti lo svolgimento dell’attività professionale ed in particolare al dovere di diligenza, per la valutazione del quale trova applicazione, in luogo del criterio tradizionale della diligenza del buon padre di famiglia, il parametro della diligenza professionale fissato dall’art. 1176 comma 2 c.c., il quale deve essere commisurato alla natura dell’attività esercitata (Cass. 13-1-2005 n. 583; Cass. 9-11-2006 n. 23918); sicché la diligenza che il professionista deve impiegare nello svolgimento della sua attività è quella media, a meno che la prestazione professionale da eseguire in concreto non involga la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà, nel qual caso essa è attenuata, configurandosi, secondo l’espresso disposto dell’art. 2236 c.c., solo nel caso di dolo o colpa grave (tra le tante v. Cass. 7-4-2006 n. 8291; Cass. 8-8-2000 n. 10431; Cass. 14-8-1997 n. 7618). La violazione del dovere di diligenza comporta inadempimento contrattuale e determina, in applicazione del principio di cui all’art. 1460 c.c., la perdita del diritto al compenso (cfr. Cass. 22-10-2007 n. 22087; Cass. 23-4-2002 n. 5928; n. 499 del 2001).

Nella specie, il Tribunale ha ritenuto che dalla ‘lettura della CTU’ e dalle ‘risultanze istruttorie’ emergeva ‘agevolmente il difetto di diligenza e del necessario livello di competenza professionale messo in evidenza dall’appellato nell’adempiere all’incarico ricevuto’; difetto che, secondo il giudice di appello,, si è tradotto nella ‘sostanziale inutilizzabilità della relazione ai fini per cui la stessa era stata commissionata’, e la cui gravità è ‘denunziata – se ve ne fosse bisogno- dal significativo rifiuto opposto dal medico aziendale di sottoscrivere il documento elaborato dallo Studio Peroni’.

Nel pervenire a tali conclusioni, peraltro, il giudice del gravame, pur avendo fatto riferimento al criterio della diligenza, rapportato alla competenza professionale) non ha specificato su quali ‘risultanze istruttorie’ abbia basato il proprio convincimento; né ha richiamato le parti essenziali della relazione di consulenza tecnica d’ufficio, dalle quali, a suo parere, emergeva pacificamente una valutazione negativa circa la prestazione resa dallo Studio Peroni.

Orbene, premesso che, per le ragioni innanzi esposte, l’inadempimento dell’attore non poteva trarsi di per sé dalla mancata sottoscrizione del documento da parte del medico aziendale, non par dubbio che, ai fini della valutazione della diligenza impiegata nella prestazione, si sarebbe reso necessario un maggiore approfondimento, anche in considerazione dei puntuali rilievi svolti dall’appellato. Come si evince dalla lettura della stessa sentenza impugnata, infatti, nella comparsa di costituzione in appello lo Studio Peroni aveva dedotto, in particolare, che dall’elaborato redatto dal C.T.U. si evinceva l’adeguatezza della relazione sui rischi da esso redatta, avendo il consulente tecnico dato atto che tale relazione era ‘molto ampia ed affronta in modo competente le varie tematiche poste e in particolare quelle relative ai fattori di nocività di rischio’.

Tali rilievi non sono stati presi in alcuna considerazione dal Tribunale, il quale ha riformato la sentenza di primo grado senza minimamente preoccuparsi di confutare le argomentazioni svolte dallo Studio Peroni e di esplicitare il ragionamento seguito nel ritenere sfavorevole all’appellato l’esito della consulenza tecnica d’ufficio.

La motivazione resa, pertanto, si palesa insufficiente e inidonea a fornire un valido supporto argomentativo alla decisione.

Sussiste, infatti, il vizio di motivazione quando il giudice, come nel caso in esame, non indichi affatto le ragioni del proprio convincimento, rinviando, genericamente e ‘per relationem’, al quadro probatorio acquisito, senza alcuna esplicitazione al riguardo, né alcuna disamina logico-giuridica che lasci trasparire il percorso argomentativo seguito (Cass. 20-7-2012 n. 12664).

Di conseguenza, s’impone la cassazione della sentenza impugnata, affinché nel giudizio di rinvio si provveda ad emendare le riscontrate carenze motivazionali. Il giudice di rinvio provvederà anche in ordine alle spese del presente grado di giudizio.

Il ricorso incidentale, avente ad oggetto l’omessa condanna alle spese del giudizio di primo grado, rimane assorbito.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il ricorso principale, assorbito quello incidentale, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese del presente grado ad altra Sezione del Tribunale di Genova.

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