Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 16 dicembre 2014, n. 26426
Svolgimento del processo
Il Condominio (omissis) , con atto di regolarmente notificato ai condomini C.B. e Cr.Fi. , riassumendo avanti al tribunale di Roma il giudizio proposto con citazione nel 1990, esponeva che i convenuti, avevano indebitamente tamponato e chiuso, senza alcuna autorizzazione condominiale, i pilastri di sostegno dell’autorimessa condominiale posti a confine con il loro posto auto, che in tal modo trasformavano in box, che quindi congiungevano alla loro confinante cantina, apponendovi altresì una saracinesca ancorata alle colonne della stessa autorimessa; precisava che detti interventi avevano comportato l’inglobamento di alcuni beni di proprietà comune, quali: un chiusino d’ispezione della rete fognate, n. 2 saracinesche dell’acqua potabile, un interruttore di comando temporizzato dell’illuminazione e un punto luce del garage comune. Il condominio chiedeva quindi la condanna dei convenuti in specie alla demolizione delle opere in questione, ripristinando il preesistente stato dei luoghi, oltre al risarcimento dei danni.
Radicatosi il contraddite rio, i convenuti contestavano la domanda deducendo, in modo particolare, la totale legittimità delle opere e dei lavori eseguiti.
L’adito Tribunale di Roma, con sentenza n. 4264/2010, riteneva invece illegittime le opere stesse e condannava di conseguenza i convenuti in via solidale a demolirle in modo da ripristinare l’originaria situazione dei luoghi.
Per la riforma della decisione proponevano appello il C. e la Cr. insistendo sul fatto che le opere da essi realizzate erano legittime, non violando alcuna norma di legge o regolamentare; resisteva il Condominio e l’adita Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 5086/12 depositata in data 17 ottobre 2012, in parziale accoglimento dell’impugnazione, dichiarava l’illegittimità delle opere oggetto del giudizio limitatamente al varco aperto nel muro a confine con il posto auto n. 20 e la cantina n. 18, di proprietà esclusiva degli appellanti, nonché alla porta basculante posta all’ingresso di tale posto auto; condannava pertanto gli appellanti in solido al ripristino dell’integrità dell’indicata parete di confine a propria cura e spese. Secondo la Corte capitolina doveva ritenersi legittima la chiusura a box del posto auto, non ostandovi alcun divieto negoziale, né avendo ciò comportato un situazione oggettiva di danno nei confronti del condominio o dei condomini, né essendo in contrasto con le norme del regolamento condominiale in quanto entrato in vigore successivamente all’esecuzione dei lavori stessi. Riteneva invece illegittimo, in quanto in contrasto con l’art. 1122 c.c. il varco creato nel muro per eccedere al retrostante locale cantina, atteso che il locale derivato da tale trasformazione era stato posto in collegamento diretto con altro ambiente condominiale in violazione del D.M. 1/2/86.
Per la cassazione di tale sentenza ricorre il Condominio sulla base di n. 2 mezzi; resistono con controricorso il C. e la Cr. , formulando ricorso incidentale, a cui ha replicato con controricorso il Condominio. Il C. e la Cr. , infine, hanno depositato memorie illustrative.
Motivi della decisione
A) RICORSO PRINCIPALE.
1 – Con un unico mezzo articolato in varie doglianze, il condominio ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 948 e 1102 c.c. art. 115 c.p.c. ; l’omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti; omesso esame di documenti decisivi; ed infine la “nullità della sentenza per mancanza di motivazione o motivazione non corretta”.
La doglianza contesta la sentenza per avere dichiarato legittima la chiusura a box del posto auto in base alla fattispecie di cui all’art. 948 c.c., atteso che ciò non avrebbe arrecato danno agli altri condomini né sarebbe vietato dal regolamento comunale, in quanto non ancora vigente all’epoca in cui vennero eseguiti i lavori in questione.
In realtà la sentenza omette totalmente di considerare le risultanze della CTU, secondo cui le opere eseguite dal C. , in particolare la tamponatura del box, arrecava pregiudizio agli altri condomini. In effetti ogni posto auto costituisce anche spazio di manovra per gli altri condomini, per cui la chiusura a box dei posto macchina finisce per limitare il diritto degli altri condomini. Tra l’altro le risultanze della CTU sono rimaste incontestate per cui in forza dell’art. 115 c.p.c. nuovo testo (che ha codificato il principio di non contestazione), le stesse dovevano aversi per acquisite.
Quanto alle norme del regolamento condominiale, esse trovavano applicazione nel caso in esame in quanto in vigore nel 1983, quando i lavori di costruzione del box dovevano ritenersi completati in linea di massima; le opere stesse “iniziarono nel 1982 (sfondamento del muro divisorio tra posto auto e cantina), ma, quelle decisive, di tamponatura del box furono eseguite per tabulas…solo nel 1989.
Insomma i relativi lavori sarebbero stati effettuati in più riprese e comunque dopo l’entrata in vigore del regolamento condominiale che li vietava.
La costruzione del box poi ha creato gravi problemi in materia di sicurezza, mettendo in comunicazione due locali di tipologie completamente diverse ed ha comportato anche l’inglobamento, nei nuovo spazio, di cose comuni di proprietà del condominio (chiusino d’ispezione della rete fognante, 2 saracinesche dell’acqua potabile; un interruttore temporizzato e un punto luce del garage).
Va infine rilevato che la realizzazione del box in luogo dei posti auto potrebbe comportare la decadenza della necessaria autorizzazione dei vigili del fuoco.
2 – Le doglianze di cui sopra, non hanno pregio.
Non è ravvisarle alcuna delle violazioni di legge eccepite, mentre le altre doglianze in buona sostanza afferiscono a pretesi vizi di motivazione della sentenza (vecchio testo dell’art. 360 n. 5), la cui denuncia ormai non è più consentita a mente dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convenuto in legge 7 agosto 2012, n. 134, pubblicato sulla G.U. dell’11.8.2012, in vigore dal 12.8.2012 (applicabile nella fattispecie in esame ex art. 54, comma 3 D.L. n. 83 cit.).
Invero in linea di principio, dev’essere condivisa la pronuncia adottate dal tribunale nel punto in cui ha ritenuta legittima la tramezzatura del posto auto nell’autorimessa comune che è stato così trasformato in box, avendo la corte fatto utile riferimento alla facoltà concessa al proprietario, a norma dell’art. 841 c.c. di recintare (chiudere) il proprio fondo “in qualunque tempo”.
Questa S.C. ha invero precisato che: “Il condominio che abbia acquistato in proprietà esclusiva lo spazio destinato al parcheggio di un autoveicolo, ancorché sito nel locale adibito ad autorimessa comune del condominio, ha facoltà a norma dell’art. 841 cod. civ. di recintarlo anche con la struttura di un cosiddetto box, sempre che non gliene facciano divieto l’atto di acquisto o il regolamento condominiale avente efficacia contrattuale e non derivi un danno alle parti comuni dell’edificio ovvero una limitazione al godimento delle parti comuni dell’autorimessa” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 5933 del 25/05/1991).
La corte d’appello ha escluso che nella fattispecie vi fossero i suddetti elementi ostativi, esaminando nel dettaglio le varie problematiche che al riguardo erano state sollevate in riferimento ad all’inglobamento di alcune “cose” di proprietà del condominio (chiusino d’ispezione della rete fognante, 2 saracinesche dell’acqua potabile e tubature passanti; un interruttore temporizzato e un punto luce del garage). Al riguardo la soluzione proposta dal giudice distrettuale
potrebbe ritenersi adeguata e giuridicamente corretta (“… il diritto degli appellanti di recingere il fondo ex art. 948, 1122 c.c. sia da contemperare con il concorrente diritto di servitù degli altri condomini ed il concreto esercizio della stessa ai fini della manutenzione degli impianti”), né è stata oggetto di una specifica contestazione in riferimento al principio di diritto richiamato nella sentenza. La Corte ha inoltre adeguatamente valutato la questione della non applicabilità del regolamento condominiale, con riferimento all’epoca di entrata in vigore. Le censure mosse in proposito, non possono più trovare ingresso perché non è più censurabile la motivazione della sentenza.
3 – Invero si è prima fatto cenno che, a mente dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., come novellato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, convertito in legge 7 agosto 2012, n. 134, deve ormai escludersi la sindacabilità in sede di legittimità della correttezza logica della motivazione, di idoneità probatoria di una determinata risultanza processuale, non avendo più autonoma rilevanza il vizio di contraddittorietà o insufficienza della motivazione (Cass. Ordinanza n. 16300 del 16/07/2014).
Le S.U. al riguardo hanno precisato che: “La riformulazione dell’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c….. deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 delle preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionaie che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sé, purché il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione( Cass. S. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014).
Le S.U. hanno ulteriormente precisato in merito, che “L’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ., riformulato dall’art. 54 del d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv. in legge 7 agosto 2012, n. 134, introduce nell’ordinamento un vizio specifico denunciarle per cassazione, relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia). Ne consegue che, nel rigoroso rispetto delle previsioni degli artt. 366, primo comma, n. 6, e 369, secondo comma, n. 4, c.p.c. il ricorrente deve indicare il “fatto storico”, il cui esame sia stato omesso, il “dato”, testuale o extratestuale, da cui esso risulti esistente, il “come” e il “quando” tale fatto sia stato oggetto di discussione processuale tra le parti e la sua “decisività”, fermo restando che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sé, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorché la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. Sentenza n. 8053 del 07/04/2014). Nella fattispecie non ricorre l’ipotesi di cui all’art. 395 n. 5 c.p.c. (nuovo testo): il ricorrente non ha indicato il fatto storico il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte territoriale. In conclusione il ricorso principale dev’essere disatteso.
B) RICORSO INCIDENTALE.
C.B. e Cr.Fi. con l’unico motivo, denunciano A) la violazione e falsa applicazione dell’art. 1122 c.c. in relazione al D.M. 16 febbraio 1982 ed al D.M. 1 febbraio 1986, che si denunziano parimenti violati e falsamente applicati, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c..
B) Omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti; conseguente vizio della motivazione, in relazione all’art. 360 n. 5 c.p.c..
Le doglianze si riferiscono al punto della decisione che ha ritenuto illegittimo ai sensi dell’art. 1122 c.c. il varco creato nel muro per eccedere al locale di proprietà esclusiva dei ricorrenti incidentali.
Invece secondo costoro tale varco deve ritenersi legittimo in quanto lo stesso mette in comunicazione il box con un vano non condominiale, (la cantina) non di proprietà del condomino, ma degli stessi ricorrenti, per cui non può derivare alcun pregiudizio alle parti comuni dell’edificio.
Insomma “il varco (per vero aperto non direttamente tra box e cantina, ma tra ripostiglio e cantina), presidiato da porta con congegno di auto chiusura, doveva essere ritenuto legittimo perché conforme ai decreti ministeriali e doveva, comunque, affermarsi, dalla Corte romana, a pena di violazione delle norme denunziate violate, il diritto degli allora appellanti di mantenerlo negli accorgimenti stabiliti dal DM 1.2.86”. In realtà la destinazione del locale collegato (cantina) consentiva collegamento dei locali suddetta secondo la normativa (DM 1.2.86 e DM16 febbraio 1982).
La doglianza appare fondata nei limiti che si preciserà.
Invero la corte ha ritenuto il varco illegittimo ex art. 1122 c.c. facendo esclusivo riferimento al D.M. 1.2.1986 con le cui disposizioni sarebbe in contrasto. “Emerge infatti (si legge a pag. 8 della sentenza) dalla risposta della società PIM alla richiesta dell’amministratore del condominio circa la legittimità della trasformazione del posto auto in box, che il locale derivato da tale trasformazione, ai sensi del D.M. 1/2/86 è legittimo ove non vi sia collegamento diretto con altro locale dell’edificio, situazione che invece nella specie era stata realizzata”.
Osserva in proposito il Collegio che la non rispondenza dell’immobile alla normativa di cui al DM D.M. 1/2/86 può avere rilievo solo sotto il profilo di legittimità amministrativa, ma non significa anche che senz’altro rechi danno alle parti comuni dell’edificio ai sensi dell’art. 1122 c.c.. È quest’ultimo un profilo che dovrà essere oggetto di ulteriore indagini da parte del giudice di rinvio.
Si veda al riguardo la giurisprudenza di questa Corte, sia pure con riferimento ad una diversa fattispecie:
“La realizzazione di opere in violazione di norme recepite dagli strumenti urbanistici locali, diverse da quelle in materia di distanze, non comportano immediato e contestuale danno per i vicini, il cui diritto al risarcimento presuppone l’accertamento di un nesso tra la violazione contestata e l’effettivo pregiudizio subito. La prova di tale pregiudizio deve essere fornita dagli interessati in modo preciso, con riferimento alla sussistenza del danno ed all’entità dello stesso (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 24387 del 01/12/2010).
Soltanto sotto questo specifico profilo, dunque, il ricorso incidentale va accolto; in sede di rinvio si dovrà stabilire se sussistono o meno ulteriori elementi per ritenere l’opera in contrasto o meno con il disposto di cui all’art. 1122 c.c..
Conclusivamente: il ricorso principale va rigettata; accoglie il ricorso incidentale per quanto di ragione, con la cassazione della sentenza in relazione al motivo accolto. Si rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma, la quale deciderà in base ai principi come sopra evidenziati.
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa, anche per le spese di questo giudizio, ad altra sezione della corte d’Appello di Roma. Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002, si da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello stesso art. 13.
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