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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza  14 ottobre 2013, n. 23277

Svolgimento del processo

Con citazione del 21.1.1993 D.P.F. conveniva davanti al tribunale di Lucera I.C. e M.M. per sentir disporre l’annullamento dell’atto di vendita 4.5.1990 tra la defunta D.P.L. , zia dell’attore ed i coniugi convenuti, previa declaratoria del difetto di capacità della D.P.L. con condanna alla restituzione dell’immobile, delle somme in loro possesso e del rateo di pensione di dicembre 1990.
Adduceva che l’anziana zia, vivendo da sola in (omissis) , nel (omissis) si era fatta convincere dai coniugi ad accettare la loro assistenza dietro cessione della pensione; che gli stessi si erano fatti consegnare tutti i risparmi ammontanti a L. 20.000.000, si erano impossessati di oggetti vari; che la zia era stata colpita da infarto cerebrale con conseguente ricovero e solo due giorni dopo, accompagnata presso un notaio, per la stipula.
I convenuti contestavano la domanda, svolgendo riconvenzionale per la restituzione delle chiavi dell’appartamento.
Con sentenza 11.3.2003 il Goa rigettava la domanda principale ed accoglieva la riconvenzionale, mentre la Corte di appello si limitava a compensare le spese, lasciando a carico dell’attore i costi della ctu, deducendo non essere stata accertata la presenza di una malattia permanente e che incombeva sull’appellante la prova rigorosa dell’effettivo stato di incapacità non fornita.
La Corte faceva riferimento alla deposizione del notaio, del medico curante ed alle risultanze della consulenza medico legale.
Ricorre D.P. con quattro motivi, resistono le controparti.

Motivi della decisione

Col primo motivo si denunzia violazione degli artt. 428 cc e 2697 cc perché nell’atto di appello si faceva riferimento ad infarto cerebrale a soggetto già colpito da tumore al cervello in stato avanzato col quesito se le persone con tumore al cervello in stato avanzato e colpite da infarto cerebrale rientrano nella categoria di persone con malattia mentale a carattere permanente e l’onere della prova della lucidità incombe su chi reclama la validità del contratto.
Col secondo motivo si lamenta violazione degli art. 2727 e ss cc 115 e 116 cpc perché l’onere della prova era stato assolto.
Il medico curante aveva riferito dell’ictus cerebrale e della neoplasia, del rifiuto di mangiare e dei graffi. Lo stesso pagamento di lire 7.000.000 al rogito viene fatto risalire dai convenuti a consegna davanti al notaio mentre dall’atto risulta la somma essere già stata consegnata, col quesito se è inammissibile la testimonianza del notaio riferita a valutazioni personali e non a fatti concreti.
Col terzo motivo si deduce violazione degli artt. 132 n. 4 cpc e 115 cpc in ordine alla consulenza medico legale che ha riconosciuto le patologie indicate ma concluso non potersi affermare con certezza la riduzione significativa della capacità di intendere e volere fino al ricovero col quesito se il parere dubitativo del ctu si può concretare in certezza delle capacità intellettive.
Col quarto motivo si lamenta violazione degli artt. 428, 2727 cc, 115 e 116 cpc criticando l’affermazione della sentenza che il difetto di prova del presupposto essenziale per l’annullabilità dell’atto esimeva dà la prova della mala fede conclamata da tutti gli elementi indicati comprese le modalità di pagamento del prezzo.
Ciò premesso, si osserva:
La sentenza impugnata deduce che la testimonianza del notaio è stata valutata rientrando nei doveri del pubblico ufficiale rendersi conto delle facoltà mentali del soggetto al momento del compimento dell’atto.
La deposizione del medico non è stata sottovalutata perché la circostanza che la D.P.L. si fosse rifiutata di mangiare e si fosse graffiata non è illuminante dell’esistenza di una malattia mentale in atto, generica era l’affermazione di un peggioramento delle condizioni dopo l’ictus mentre la ci:u, pur esprimendo il legittimo dubbio, aveva concluso per l’insussistenza della significativa compromissione delle capacità di intendere e di volere.
Né era utilizzabile la relazione stragiudiziale tardivamente depositata in assenza di pregresse contestazioni.
Si chiede la Corte se tale motivazione sia sufficiente.
Il giudizio di legittimità non può consistere nella riproposizione di quanto precedentemente dedotto ma deve specificamente indicare le violazioni di legge od i vizi logici della motivazione, carenze o lacune nelle argomentazioni, ovvero illogicità nell’attribuire agli elementi di giudizio un significato fuori dal senso comune, od ancora mancanza di coerenza tra le varie ragioni esposte per assoluta incompatibilità razionale degli argomenti ed insanabile contrasto tra gli stessi.
In virtù degli artt. 115 e 116 CPC, non si richiede al giudice del merito di dar conto dell’esito dell’avvenuto esame di tutte le prove prodotte o comunque acquisite e di tutte le tesi prospettategli, ma di fornire una motivazione logica ed adeguata dell’adottata decisione evidenziando le prove ritenute idonee e sufficienti a suffragarla ovvero la carenza di esse.
Fermi tali principi, resta da esaminare se l’esame compiuto dalla Corte territoriale possa o meno dirsi esaustivo rispetto alla problematica sollevata.
La consulenza di parte, pur se tardiva come tale, costituisce comunque un atto difensivo, e perciò da esaminarsi nelle sue connotazioni relative allo stato di salute mentale della D.P.L. , soprattutto se correlate alle gravi patologie da cui incontestatamente era affetta.
Deve affermarsi che nella specie, alle considerazioni ivi svolte, la sentenza impugnata non ha dedicato neppure una parola, evidentemente ritenendo che la tardività della consulenza di parte rendesse non degne di esame le ragioni difensive che la stessa conteneva; recentemente le Sezioni unite di questa Corte hanno riaffermato che se la consulenza di parte risulta viziata sotto il profilo processuale, la stessa conserva le connotazioni di atto difensivo e pertanto sotto tale aspetto non può essere ignorata dal giudice del merito.
Se si inquadra il completo silenzio mantenuto su tale atto nella condizione generale della D.P.L. , affetta da gravi malattie, tutte influenti sulla sfera psichica e nella quasi coincidenza temporale tra la dimissione dall’ospedale per infarto cerebrale in soggetto affetto da neoplasia cerebrale e la redazione dell’atto notarile in questione, la motivazione appare quanto meno carente ed inidonea a dare conto compiuto della decisione assunta.
L’impugnata sentenza va pertanto cassata per il rilevato vizio motivazionale e rinviata alla Corte di appello di Bari, in diversa composizione, la quale provvederà anche sulle spese del presente procedimento per cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per spese alla Corte di appello di Bari, altra sezione.

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