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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 12 settembre 2013, n. 37407

Ritenuto in fatto

U.M. ricorre avverso la sentenza, in data 6 giugno 2012, della Corte d’appello di Lecce, che a conferma della sentenza del Tribunale di Lecce, è stato condannato per il reato di tentata rapina aggravata, e, chiedendone l’annullamento, deduce:
a) Violazione dell’art. 606 comma 1 lett. c) ed e) c.p.p. per inosservanza di norme processuali nonché per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla erronea interpretazione dei mezzi di prova ed alla violazione dell’art. 192 c.p.p.
Il ricorrente lamenta la carenza di motivazione con riguardo alla valutazione degli elementi utilizzati per affermare la sua responsabilità, in particolare con riferimento alle dichiarazioni della persona offesa, che non sarebbero state puntualmente sottoposte ad un adeguato vaglio critico ai sensi dell’art. 192 c.p.p.; erroneamente sarebbero stati ritenuti validi riscontri le deposizioni testimoniali dei testi M. e C. che in realtà avrebbero riferito ciò che il R. ha loro comunicato telefonicamente, nonché le dichiarazioni dello stesso imputato in ordine al colore e alla marca della macchina utilizzata all’epoca dalle guardie del corpo della H., circostanze assolutamente neutre rispetto all’esatto verificarsi degli eventi, dato che la parte offesa R. era da giorni alle calcagna della soubrette per cercare di riprendere fotograficamente immagini utili a servizi di gossip.
b) Violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b) ed e) c.p.p. per inosservanza o erronea applicazione della legge penale nonché per contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione con riferimento alla corretta applicazione dei combinato disposto di cui agli artt. 56,628 c.p., dovendo il reato derubricarsi nell’ipotesi delittuosa di cui all’art. 610 c.p. ovvero in quella di cui all’art. 393 c.p.
Il ricorrente lamenta erroneità della ritenuta sussistenza degli elementi idonei a configurare nei suoi confronti il reato di tentata rapina aggravata, invece di quello di violenza privata, mancando tra l’altro qualsiasi elemento che possa configurare un interesse materiale o psichico nel tentativo di impossessamento della macchina fotografica. In ogni caso la fattispecie contestata poteva essere derubricata in quella di cui all’art. 393 c.p. essendo il comportamento del ricorrente, come guardia del corpo, finalizzato a tutelare la privacy della H.

Considerato in diritto

1. Il ricorso è infondato.
2. Osserva la Corte che nel ricorso, anche al fine di ottenere una diversa qualificazione della fattispecie, si prospettano esclusivamente valutazioni di elementi di fatto, divergenti da quelle cui è pervenuto il giudice d’appello con motivazioni congrue ed esaustive, previo specifico esame degli argomenti difensivi attualmente riproposti.
Le valutazioni di merito sono insindacabili nel giudizio di legittimità, quando il metodo di valutazione delle prove sia conforme ai principi giurisprudenziali e l’argomentare scevro da vizi logici, come nel caso di specie. (Cass. pen. sez. un., 24 novembre 1999, Spina, 214794). Corretto in tal senso appare il riferimento all’inquadramento dell’episodio nel reato di tentata rapina aggravata (richiesta di consegna della macchina fotografica da più persone; inseguimento dell’auto guidata dal R. da parte della BMW X5 nera guidata dall’U., con gli altri compagni a bordo, blocco della viabilità attraverso il posizionamento di traverso dell’auto sulla carreggiata per interrompere la fuga del R., manovra reiterata in tre occasioni, stante i tentativi del R. di trovare comunque una via di fuga, intimazioni alla consegna della macchina fotografica, abbandono dell’attività violenta nei confronti del R. solo di fronte alla concreta minaccia di quest’ultimo di chiamare i Carabinieri, interesse alla sottrazione della macchina fotografica per impedire la possibile pubblicazione di foto riguardanti la H.). Peraltro la ricostruzione dei fatti trova concreto riferimento nelle deposizioni dell’amico giornalista e nel tenente dei CC C., da cui emerge la sostanziale convergenza delle dichiarazioni del R. rese ai due interlocutori e il suo animo spaurito ed agitato, nonchè nelle dichiarazioni dello stesso prevenuto e nelle foto scattate dal R., che hanno ripreso la persona alla guida della BMW, che era effettivamente l’odierno prevenuto riconosciuto personalmente dalla parte offesa.
Le valutazioni operate dai giudici di merito in ordine al complessivo quadro probatorio, comprese le dichiarazioni della persona offesa, appaiono dunque esenti da censure logico giuridiche, come, si ripete, per la qualificazione del fatto, non sussistendo gli estremi per una derubricazione nei sensi richiesti nel ricorso.
3. La Corte condivide pienamente le valutazioni sul punto effettuate dalla Corte d’appello, che peraltro si muovono sul medesimo percorso della sentenza di primo grado, essendo stati reiterati i medesimi motivi di censura (v. pag. 7 e 8 della sentenza d’appello).
4. Alla luce di tali considerazioni il ricorso va rigettato, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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