Sono penalmente irrilevanti gli artifici e raggiri contenuti in una domanda giudiziale (c.d. truffa processuale) volti a trarre in inganno il giudice circa l’esistenza di un sinistro dal quale sarebbero derivate gravi lesioni; la fattispecie non rientra nell’ipotesi di frode processuale in virtù del divieto di analogia in malam partem.
SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE II PENALE
SENTENZA 24 maggio 2016, n. 21611
Ritenuto in fatto
T.P. veniva giudicato dal Tribunale di Reggio Emilia sull’accusa di tentata truffa consistita nell’intraprendere un’azione giudiziale civile con domanda di risarcimento delle conseguenze lesive di un infortunio sciistico in realtà inesistente. Il giudice di primo grado, all’esito del dibattimento nel quale si costituivano parti civili la Cerreto Laghi 2004 s.r.l. e la Unipol Assicurazioni s.p.a. (società, quest’ultima, cui era stata diretta la pretesa risarcitoria ed entrambe convenute nel giudizio civile), assolveva l’imputato ex art. 530, comma 2 cod. proc. pen., per insussistenza del fatto.
1.1. Dalla motivazione della decisione, si evince che T.P. , prima stragiudizialmente e poi con accertamento tecnico preventivo ed atto di citazione avanti al Tribunale di Reggio Emilia, aveva sostenuto di essere rimasto vittima di un grave infortunio, cadendo il (OMISSIS) all’arrivo di una seggiovia di un impianto sciistico di (OMISSIS) , infortunio dovuto all’apertura dell’impianto nonostante le avverse condizioni climatiche ed all’eccessiva altezza del seggiolino dal suolo. La società che aveva in gestione l’impianto e l’istituto assicuratore erano stati convenuti in giudizio per ottenere il risarcimento, quantificato in vari milioni di Euro, per gravissime conseguenze invalidanti asseritamente patite. Il giudice, a sostegno della propria conclusione, ha premesso il richiamo della giurisprudenza di legittimità che già in via astratta preclude la configurabilità, fuori dall’ipotesi prevista dall’art. 374 cod. pen., della c.d. truffa processuale. Nel merito, il Tribunale ha ritenuto come l’istruttoria dibattimentale non avesse consentito di accertare se la caduta dalla seggiovia si fosse o meno realmente verificata.
1.2. A seguito del gravame proposto dalla pubblica accusa e dalle parti civili, la Corte d’appello di Bologna, con sentenza in data 17.03.2015, confermava la pronuncia di primo grado.
Avverso quest’ultima sentenza, nell’interesse di Unipolsai Assicurazioni s.p.a., viene proposto ricorso per cassazione per i seguenti motivi:
– vizio di motivazione in ordine alla valutazione delle prove testimoniali (primo motivo);
– violazione di legge processuale per mancata assunzione di una prova decisiva (secondo motivo);
– violazione di legge penale in relazione al reato in contestazione (terzo motivo).
2.1. In relazione al primo motivo, si censura la sentenza impugnata che avrebbe dovuto (ma in realtà ha omesso di) esaminare compiutamente il materiale probatorio e formulare un logico e corretto giudizio di valutazione e comparazione tra le risultanze delle deposizioni testimoniali a carico dell’imputato e quelle dedotte a suo discarico ai fini di pervenire ad un giudizio prognostico di attendibilità delle une rispetto alle altre. A detta della ricorrente, manca, nella sentenza impugnata, una sintesi valutativa degli elementi probatori, considerati singolarmente e nel loro insieme nonché comparativa di quelli a favore e contro l’imputato.
2.2. In relazione al secondo motivo, si censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha ritenuto che non fosse di alcuna utilità procedere alla rinnovazione dell’istruttoria attraverso l’espletamento di perizia medico-legale come richiesto dagli appellanti e già disposto dal giudice di primo grado che poi aveva revocato l’ordinanza ammissiva in quanto il consulente tecnico d’ufficio designato si era visto costretto a rinunciare all’incarico per incompatibilità avendo già valutato le condizioni del T. , quale fiduciario di altra struttura o ente che aveva esaminato il quadro clinico del medesimo: indagine tecnica che consentirebbe di accertare se sussista o meno rapporto di eziologicità e compatibilità tra le lesioni lamentate dal T. e l’infortunio in realtà inesistente, di cui egli temerariamente assume di essere rimasto vittima.
2.3. In relazione al terzo motivo, si evidenzia come il giudice non è in astratto l’unico soggetto che poteva essere ingannato: anche le due parti civili potevano credere alla versione dei fatti dell’imputato ed autodeterminarsi ad un risarcimento del danno, prima della pronuncia del giudice, anche attraverso una transazione. Invero, la condotta posta in essere dall’imputato è tale anche da indurre in errore, oltre al diretto destinatario (il giudice) anche le stesse parti civili che, pertanto, risultano al contempo soggetti raggirati e danneggiati da tale condotta; peraltro, a prescindere dalla configurabilità della c.d. truffa processuale, si è in presenza di un contesto di truffa ‘ordinaria’, dove le due figure di soggetto raggirato e soggetto danneggiato fanno capo ad un’unica persona.
Considerato in diritto
Il ricorso, in parte evocativo di non consentite censure in fatto, è manifestamente infondato e, come tale, risulta inammissibile.
Le doglianze oggetto del primo motivo di ricorso sono, da un lato, manifestamente infondate nella parte in cui contestano l’esistenza di un apparato giustificativo della decisione, che invece esiste; non consentite, nella parte in cui pretendono di valutare, o rivalutare, gli elementi probatori al fine di trarre proprie conclusioni in contrasto con quelle del giudice del merito chiedendo sostanzialmente alla Corte di legittimità un giudizio di fatto che non le compete.
Esula, infatti, dai poteri della Suprema Corte quello di una ‘rilettura’ degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, la cui valutazione è, in via esclusiva, riservata al giudice di merito, senza che possa integrare il vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa, e per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze processuali.
I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dal giudice di merito, il quale, con motivazione esente da vizi logici e giuridici, ha esplicitato le ragioni del suo convincimento.
Manifestamente infondato è il secondo motivo con cui si è censurata la motivazione spesa dalla Corte territoriale per respingere la richiesta difensiva di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale.
Come è noto, per costante insegnamento giurisprudenziale, la rinnovazione dell’istruzione dibattimentale nel giudizio di appello è evenienza eccezionale, subordinata ad una valutazione giudiziale di assoluta necessità conseguente all’insufficienza degli elementi istruttori già acquisiti, che impone l’assunzione di ulteriori mezzi istruttori pur se le parti non abbiano provveduto a presentare la relativa istanza nel termine stabilito dall’art. 468 cod. proc. pen. (cfr., ex multis, Sez. 2, sent. n. 41808 del 27/09/2013, dep. 10/10/2013, Mongiardo, Rv. 256968).
Nella fattispecie, difformemente da quanto sostenuto dalla ricorrente, i giudici d’appello hanno esplicitato, con motivazione congrua e del tutto giustificata, come non apparisse di alcuna utilità procedere alla rinnovazione dell’istruttoria attraverso la richiesta indagine tecnica dal momento che ‘l’effettività delle accentuate e plurime conseguenze invalidanti lamentate… con la connessa quantificazione risarcitoria, non è tema di interesse nella presente sede penale: la eventuale drammatizzazione, anche in tesi falsificante, delle effettive conseguenze lesive in sede giudiziale civile, ovvero le enfatizzazioni della difesa tecnica nell’atto di citazione, ricadono in toto nell’area della irrilevanza penale sub specie di truffa processuale…. Ciò che esaustivamente rileva, in questa sede, è che l’effettività dell’evento, potenzialmente lesivo, consistito nella caduta nel discendere da una seggiovia il 28.1.07 non è confutabile ed è anzi probatoriamente sostenuta dalle risultanze istruttorie del giudizio di primo grado…’.
Manifestamente infondato è il terzo motivo.
Si è visto come, secondo l’accusa il T. , convenendo in giudizio innanzi al Tribunale di Reggio Emilia, la Cerreto Laghi 2004 s.r.l., al fine di accertare la sua responsabilità in ordine ad un sinistro avvenuto il 28.01.2007 ed ottenere il risarcimento dei danni relativi alle lesioni conseguitene, mediante artifici e raggiri consistiti nel prospettare falsamente, nell’atto di citazione, che tale sinistro era avvenuto sull’impianto di risalita gestito dalla convenuta, mantenuto in funzione nonostante le cattive condizioni metereologiche che, a causa dell’inadeguatezza del seggiolino e della scarsa manutenzione della pista, aggiungendo che dette condizioni avevano causato quel giorno ‘innumerevoli’ infortuni con intervento dei ‘mezzi di soccorso innumerevoli volte’, avrebbe compiuto atti idonei diretti in modo non equivoco ad indurre il giudice a condannare la s.r.l. Cerreto Laghi 2004 al risarcimento dei danni per le lesioni asseritamente derivate dal sinistro, non conseguendo l’ingiusto profitto per cause indipendenti dalla propria volontà.
Secondo l’insegnamento di codesta Suprema Corte, che la Corte territoriale ha, nella fattispecie, correttamente applicato, in tema di truffa, pur non esigendosi l’identità tra la persona indotta in errore e quella che subisce conseguenze patrimoniali negative per effetto dell’induzione in errore, va esclusa la configurabilità del reato nel caso in cui il soggetto indotto in errore sia un giudice che, sulla base di una testimonianza falsa, abbia adottato un provvedimento giudiziale contenente una disposizione patrimoniale favorevole all’imputato: detto provvedimento non è, infatti, equiparabile ad un libero atto di gestione di interessi altrui, costituendo (non espressione di libertà negoziale, bensì) esplicazione del potere giurisdizionale, di natura pubblicistica, finalizzato all’attuazione delle norme giuridiche ed alla risoluzione dei conflitti di interessi tra le parti (cfr., Sez. 2, sent. n. 29929 del 23/05/2007, dep. 23/07/2007, PG in proc. Bazzana e altro, Rv. 237699, nella quale si è anche precisato che gli artifici e raggiri di cui sia vittima il giudice rilevano penalmente soltanto nei casi tassativamente descritti dall’art. 374 cod. pen., per il divieto di analogia ‘in malam partem’ in diritto penale).
Invero, come evidenziato nella sent. n. 29929/2007, cit., il giudice, con la decisione sfavorevole per il danneggiato, non compie un atto di disposizione espressione dell’autonomia privata e della libertà di consenso, ma esercita il potere di natura pubblicistica, connesso all’esercizio della giurisdizione. Ciò vuol dire che il giudice, non solo è persona diversa rispetto alla vittima dell’ingiusto danno patrimoniale, ma non può neppure compiere un libero atto di disposizione patrimoniale, essendo privo d’ogni potere di gestione sui beni e di qualsivoglia obbligo di compiere atti giuridici nell’interesse della parte.
Si limita ad incidere sul patrimonio delle parti nell’esercizio di un potere giurisdizionale di matrice pubblicistica, naturalmente diretto al perseguimento dell’interesse generale a prescindere dall’interesse della parte processuale. Difettando, pertanto, l’atto di disposizione patrimoniale manca un elemento costitutivo – ancorché implicito della condotta tipica necessaria a perfezionare il delitto di truffa.
Inoltre, dall’esistenza del delitto di frode processuale, sembra potersi desumere la ‘voluntas legis’ di limitare l’incriminazione degli artifici e raggiri di cui sia vittima il giudice ai casi tassativamente descritti dall’art. 374 cod. pen., e, quindi, l’impraticabilità (pena la violazione del divieto di analogia in malam partem), di ogni operazione volta all’applicazione di questa norma alla c.d. truffa processuale. In ordine all’ipotizzata induzione in errore anche delle stesse parti civili, la Corte territoriale, pur convenendo sul fatto che la vicenda oggetto di processo avrebbe potuto assumere rilievo anche nei confronti della Cerreto Laghi 2004 s.r.l. e della Unipol Assicurazioni s.p.a., con riferimento alla condotta ‘stragiudiziale’ precedente all’instaurazione del giudizio civile alla luce dell’avanzata richiesta risarcitoria, conclude riconoscendo – con motivazione del tutto congrua e priva di vizi logico-giuridici – che, al di là del necessario rispetto del principio di correlazione tra fatto e contestazione che attribuisce la condotta fraudolenta incriminata alla sola falsa prospettazione contenuta nell’atto di citazione ed alla sua idoneità ad indurre il giudice a pronunciare sentenza di condanna al risarcimento dei danni, sulla base delle risultanze processuali, non poteva che pervenirsi alla medesima conclusione dubitativa assunta dal giudice di primo grado.
Alla pronuncia consegue, per il disposto dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna della ricorrente al pagamento delle spese processuali nonché al versamento, in favore della Cassa delle ammende, di una somma che, considerati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 1.500,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.500,00 alla Cassa delle ammende.
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