In caso di ricettazione di merce contraffatta, il cui contratto si sia concluso – secondo le norme civilistiche – in un paese estero, il reato, tuttavia, deve ritenersi commesso, ai sensi dell’art. 6, co. 2, cod. pen., nel territorio dello Stato, se ivi è stata commessa una parte dell’azione (nella specie, l’ordinativo della merce): di conseguenza, ai fini della procedibilità, non è necessaria, ai sensi dell’art. 9 cod. pen., né la richiesta del Ministro della Giustizia, né l’istanza o la querela della persona offesa.
Suprema Corte di Cassazione
sezione II penale
sentenza 14 novembre 2016, n. 48017
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DAVIGO Piercamillo – Presidente
Dott. RAGO Geppino – rel. Consigliere
Dott. ALMA Marco Maria – Consigliere
Dott. SGADARI Giuseppe – Consigliere
Dott. TUTINELLI Vincenzo – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS), contro la sentenza del 07/05/2015 della Corte di Appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Rago G.;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. STABILE Carmine, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’;
udito il difensore, avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento.
RITENUTO IN FATTO
1. (OMISSIS) – a mezzo del proprio difensore – ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza in epigrafe deducendo:
1.1. Violazione dell’articolo 648 c.p., in quanto l’accusa non avrebbe provato il dolo del delitto di ricettazione. Infatti, la svolta istruttoria conclamava la buona fede del ricorrente o, al piu’, una sua leggerezza nell’acquisto dei beni, il che avrebbe dovuto indurre i giudici di merito a sussumere la fattispecie in quella prevista dall’articolo 712 c.p.;
1.2. Violazione dell’articolo 9 c.p., per essere l’azione penale improcedibile mancando sia la richiesta del Ministro della Giustizia sia una querela idonea della persona offesa;
1.3. Violazione dell’articolo 56 c.p., per avere la Corte ritenuto, erroneamente, che il reato fosse stato consumato, laddove, invece, era ipotizzabile, al piu’, un tentativo;
1.4. Violazione dell’articolo 131 bis c.p., per non avere la Corte ritenuto il fatto di particolare tenuita’ nonostante ne ricorressero tutti i presupposti giuridici e fattuali.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato per le ragioni di seguito indicate.
2. Il fatto di cui al presente processo riguarda l’introduzione, da parte del ricorrente, nello Stato Italiano di 15 paia di scarpe Nike contraffatte, provenienti dalla Malesia: per tale fatto (accertato in (OMISSIS)), l’imputato e’ stato condannato per il delitto di ricettazione nonche’ per quello di cui all’articolo 474 c.p., (reato questo, pero’, dichiarato prescritto).
In questa sede, la difesa ha riproposto pedissequamente le medesime censure dedotte con i motivi di appello (cfr pag. 2 ss della sentenza impugnata) correttamente disattesi dalla Corte territoriale con argomenti puntuali in punto di fatto e di diritto.
Infatti:
– quanto alla censura sub 1.1.: si tratta della prospettazione di una tesi alternativa in punto di fatto con la quale il ricorrente ha cercato di confutare la motivazione conforme di entrambi i giudici di merito che, alla stregua di puntuali elementi fattuali (pacifica contraffazione dei beni; valore irrisorio di acquisto; inattendibilita’ della tesi difensiva: cfr pag. 3-4 sentenza impugnata) hanno ritenuto che l’imputato fosse consapevole della contraffazione dei beni acquistati e, quindi, la non configurabilita’ del reato di cui all’articolo 712 c.p.. Non essendo ravvisabile alcuna illogicita’ nella suddetta motivazione, la censura, meramente reiterativa ed alternativa, va, quindi, ritenuta inammissibile;
– quanto alla censura sub 1.3. (violazione dell’articolo 56 c.p.), va ribadito il consolidato principio giurisprudenziale, al quale la Corte territoriale si e’ correttamente adeguata, secondo il quale “Il delitto di ricettazione si consuma, nella ipotesi di acquisto, al momento dell’accordo fra cedente ed acquirente sulla cosa proveniente da delitto e sul prezzo, considerato che la “traditio” della “res” – nella quale puo’ ravvisarsi null’altro che un momento che pertiene all’adempimento del contratto, gia’ perfezionato ed efficace – non puo’ ritenersi imposta dalla norma penale, come elemento strutturale della fattispecie, al punto da contrassegnarne la consumazione” come si desume dall’interpretazione letterale dell’articolo 648 c.p. che distingue l’ipotesi dell’acquisto da quella della ricezione: ex plurimis, Cass. 17821/2009 Rv. 243954; Cass. 46899/2011 Rv. 251454; Cass. 14424/2012 Rv. 253302; Cass. 31023/2013 Rv. 256843; Cass. 40382/2015 Rv. 264559.
3. Quanto alla censura sub 1.2. (violazione dell’articolo 9 c.p.), va osservato quanto segue.
In punto di fatto, e’ pacifico che l’imputato acquisto’ la merce contraffatta via internet, da un venditore della Malesia: la merce, infatti, fu controllata e sottoposta a sequestro presso la Dogana di (OMISSIS).
All’epoca, era applicabile, la legge dello Stato Italiano in quanto:
a) non risulta che fra le parti fosse stata pattuita l’applicabilita’ di una legge diversa da quella dello Stato Italiano, luogo di residenza dell’imputato;
b) il contratto stipulato rientrava con evidenza nelle ipotesi previste dall’articolo 5/2 Convenzione di Roma del 19/06/1980 (allora vigente), alla quale rinviava la L. n. 218 del 1995, articolo 57;
c) le norme interne applicabili alla fattispecie, erano, quindi, gli articoli 1336, 1326 e 1327 c.c..
L’inserzione pubblicata sul sito (OMISSIS) dal venditore malese, va qualificata come un’offerta al pubblico ex articolo 1336 c.c., in quanto era diretta ad un pubblico indifferenziato (noti o ignoti che fossero gli offerenti) e conteneva gli estremi essenziali del contratto ai quali il consumatore, ove avesse voluto aderire, non poteva fare altro che accettare: in questo schema contrattuale, proponente, va considerato il venditore estero (cittadino della (OMISSIS)), mentre l’imputato va ritenuto il contraente accettante.
L’articolo 1336 c.c., dispone, poi, che l’offerta al pubblico “vale come proposta, salvo che risulti diversamente dalle circostanze o dagli usi”: il rinvio, quindi, e’ all’articolo 1326 c.c., a norma del quale “il contratto e’ concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta (ndr: nella specie, il venditore) ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte (ndr: nella specie, l’imputato acquirente)”.
Nella fattispecie in esame, e’, pero’, pacifico, che la prestazione, da parte del venditore, doveva eseguirsi senza una preventiva risposta stante la natura dell’affare (cfr ricorso pag. 16): infatti, non appena l’imputato pago’ il prezzo stabilito nella proposta di vendita, il venditore, senza altre formalita’, provvide a spedire la merce in Italia.
Si rende, quindi, applicabile non l’articolo 1326 (a norma del quale il contratto si conclude nel luogo dove il proponente ha conoscenza dell’accettazione: nella specie, peraltro ignoto), ma l’articolo 1327 c.c., a norma del quale “qualora (….) la prestazione debba eseguirsi senza una preventiva risposta, il contratto e’ concluso nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione”, vale a dire nel momento in cui il venditore consegno’ la merce al vettore ossia in (OMISSIS).
Se, quindi, il contratto, secondo la normativa civilistica, fu concluso in (OMISSIS), ivi dovrebbe essere considerato anche il locus commissi delicti del reato di ricettazione secondo la consolidata giurisprudenza cit. supra § 2 in relazione alla censura sub 1.3.
Tuttavia, nel caso di specie, la suddetta conclusione non e’ applicabile.
Infatti, secondo la consolidata giurisprudenza di questa Corte di legittimita’, deve ritenersi commesso nel territorio dello Stato, anche se in parte avvenuto all’estero, il reato la cui condotta, anche omissiva, sia stata commessa anche in minima parte nello Stato, seppure priva dei requisiti di idoneita’ e di inequivocita’ richiesti per il tentativo (teoria della cd. ubiquita’).
Alla stregua del suddetto criterio, la giurisprudenza considera, quindi, rilevanti tutti i comportamenti che, attuando una modificazione del mondo esteriore, possono contribuire alla perpetrazione del reato.
Si tratta, pertanto, di un concetto molto piu’ ampio di quello di tentativo, non richiedendo necessariamente la sussistenza di atti idonei e univoci.
In relazione infatti alle diverse esigenze e ai diversi parametri cui e’ informato il disposto dell’articolo 6 c.p., e’ sufficiente che sia avvenuta in Italia una parte anche subvalente dell’azione o dell’omissione, pur se priva dei requisiti di idoneita’ e di univocita’ richiesti per il tentativo: ex plurimis Cass. 6151/2014 Rv. 258634; Cass. 31023/2013 rv. 256843; Cass. 44837/2012 rv. 254968; Cass. 17026/2009 Rv. 243476; Cass.17026/2008 rv. 243476; Cass. 30819/2004, rv. 229734.
Di conseguenza, essendo pacifico che l’imputato invio’ l’ordine di acquisto dal territorio italiano, il reato di ricettazione deve ritenersi commesso nel territorio dello Stato proprio perche’ una parte dell’azione (ordinativo della merce), da intendersi nel senso amplissimo di cui si e’ detto, fu commessa in Italia.
La censura, quindi, va disattesa alla stregua del seguente principio di diritto: “in caso di ricettazione di merce contraffatta, il cui contratto si sia concluso secondo le norme civilistiche – in un paese estero, il reato, tuttavia, deve ritenersi commesso, ai sensi dell’articolo 6 c.p., comma 2, nel territorio dello Stato, se ivi e’ stata commessa una parte dell’azione (nella specie, l’ordinativo della merce). Di conseguenza, ai fini della procedibilita’, non e’ necessaria, ai sensi dell’articolo 9 c.p., ne’ la richiesta del Ministro della Giustizia, ne’ l’istanza o la querela della persona offesa”.
4. Quanto alla pretesa violazione dell’articolo 131 bis c.p., va osservato che la Corte territoriale (pag. 5 sentenza impugnata), ha disatteso la richiesta di ritenere il fatto di particolare tenuita’ con motivazione congrua ed adeguata e, quindi, incensurabile in questa sede di legittimita’.
5. Infine, va ritenuta infondata anche la richiesta di declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, in quanto, ad oggi, in considerazione delle sospensioni in atti (cfr pag. 3 sentenza impugnata), il termine decennale non e’ ancora trascorso.
6. In conclusione, l’impugnazione dev’essere rigettata con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
RIGETTA il ricorso e CONDANNA il ricorrente al pagamento delle spese processuali
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