Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 31 marzo 2017, n. 8509

Nel giudizio di gravame dinanzi alla corte d’appello non e’ applicabile l’articolo 281-sexies c.p.c., che disciplina la decisione a seguito di trattazione orale nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, dovendosi invece fare riferimento esclusivo a quanto dettato dell’articolo 352 c.p.c., comma 2. Tuttavia, qualora la corte d’appello abbia applicato l’articolo 281-sexies citato, seguendo la relativa disciplina, la nullita’ del procedimento e’ sanata, ai sensi dell’articolo 157 c.p.c., comma 2, ove, a fronte dell’invito rivolto alle parti di discutere oralmente la causa nella stessa udienza, quest’ultime non si oppongano, ne’ richiedano il termine per n deposito della comparsa conclusionale c della memoria di replica, in tal modo omettendo di tenere il comportamento processuale necessario per indurre il collegio a procedere nelle forme ordinarie, restando altresi’ esclusa la violazione dei principi regolatori del giusto processo, ex articolo 360-bis c.p.c., comma 1, n. 2, la dove le stesse parti abbiano avuto la possibilita’ di svolgere appieno le proprie difese

Suprema Corte di Cassazione

sezione II civile

sentenza 31 marzo 2017, n. 8509

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere

Dott. GRASSO Giuseppe – rel. Consigliere

Dott. SABATO Raffaele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21300/2013 proposto da:

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) SRL, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3409/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 26/06/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 18/01/2017 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE GRASSO;

udito l’Avvocato (OMISSIS) con delega depositata in udienza dell’Avvocato (OMISSIS), difensore della ricorrente che si riporta agli atti depositati;

udito l’Avvocato (OMISSIS) con delega orale, difensore della resistente che ha chiesto l’inammissibilita’ in sub rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il Tribunale di Roma, con sentenza emessa ai sensi dell’articolo 281-sexies c.p.c., all’udienza del 26 giugno 2012, rigetto’ la domanda avanzata dalla s.r.l. (OMISSIS), con la quale era stato chiesto condannarsi (OMISSIS) a corrispondere il residuo prezzo per la realizzazione di un abito da sposa.

L’attrice veniva giudicato gravemente inadempiente per la totale difformita’ dell’abito rispetto al modello pattuito, qualificato il contratto come appalto. In particolare si era ritenuto che “La gonna era diritta e non cadeva come nella foto”.

2. La Corte d’appello di Roma, accolto l’appello incidentale della societa’, condanno’ l’appellante (OMISSIS) al pagamento del residuo prezzo. Costei aveva adito il giudice d’appello chiedendo pronunciarsi la risoluzione del contratto, restituirsi l’acconto e condannarsi la controparte a risarcire il danno.

Avverso quest’ultima statuizione ricorre per cassazione la (OMISSIS), illustrando quattro motivi di censura. Resiste con controricorso la societa’ (OMISSIS). Entrambe le parti hanno depositato memoria Illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo la ricorrente denunzia la violazione dell’articolo 352 c.p.c., u.c. e articolo 281-sexies c.p.c., poiche’ la Corte territoriale all’udienza fissata per la precisazione delle conclusioni aveva deciso con sentenze emessa ai sensi dell’articolo 281-sexies, violando l’articolo 352. La richiesta di discussione non proveniva dalle parti e la decisione aveva procurato una violazione del diritto di difesa, stante che la causa veniva per la precisazione delle conclusioni e non gia’ per la discussione orale.

La censura e’ infondata.

Questa Corte ha piu’ volte chiarito che nel giudizio di gravame dinanzi alla corte d’appello non e’ applicabile l’articolo 281-sexies c.p.c., che disciplina la decisione a seguito di trattazione orale nel procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, dovendosi invece fare riferimento esclusivo a quanto dettato dell’articolo 352 c.p.c., comma 2. Tuttavia, qualora la corte d’appello abbia applicato l’articolo 281-sexies citato, seguendo la relativa disciplina, la nullita’ del procedimento e’ sanata, ai sensi dell’articolo 157 c.p.c., comma 2, ove, a fronte dell’invito rivolto alle parti di discutere oralmente la causa nella stessa udienza, quest’ultime non si oppongano, ne’ richiedano il termine per n deposito della comparsa conclusionale c della memoria di replica, in tal modo omettendo di tenere il comportamento processuale necessario per indurre il collegio a procedere nelle forme ordinarie, restando altresi’ esclusa la violazione dei principi regolatori del giusto processo, ex articolo 360-bis c.p.c., comma 1, n. 2, la dove le stesse parti abbiano avuto la possibilita’ di svolgere appieno le proprie difese (Cfr., Sez. 6-3, n. 21216, 13/10/2011, Rv. 620165; Sez. 3, n. 5891, 13/4/2012, Rv. 621921). Dall’esame del verbale d’udienza, compulsato in questa sede, in ragione della natura della questione, non consta che le parti si siano opposte alla discussione orale, insistendo per il deposito delle comparse conclusionali.

2. Il secondo motivo denunzia violazione dell’articolo 276 c.p.c., sul presupposto che la Corte capitolina aveva errato nel risolvere l’impugnazione con la tecnica dell’assorbimento, esaminando in pregiudizialita’ l’appello incidentale.

La doglianza non ha pregio.

Invero, la scelta motivazionale, giustificata dalla priorita’ logica delle questioni sottoposte in via incidentale al vaglio d’appello, non si mostra foriera di alcuna violazione di legge, ne’ ha importato compressione dei diritti dell’appellante principale. La logica incompatibilita’ delle tesi sostenute con l’appello principale rispetto quelle perorate in via incidentale, non solo rende ampiamente ragione della scelta operata dalla Giudice, ma, quel che piu’ rileva, fa escludere che da essa possa essere derivata un mancato o un inadeguato esame delle prospettazioni impugnatorie principali. Si e’, in definitiva, trattato di un ragionamento motivazionale per incompatibilita’, la cui validita’ e’ stata piu’ volte ribadita in questa sede (Sez. 2, n. 20311, 4/11/2011, Rv. 619134; Sez. 1, n. 21612, 20/972013, Rv. 628031; Sez. 1, n. 17956, 11/972015, Rv. 636771). Ne’ l’argomentazione mediante la tecnica dell’assorbimento, peraltro corrispondente ad un auspicabile approccio sintetico, ma pienamente soddisfacente, merita le rivolte critiche (cfr. Sez. 2, n. 17219, 9/10/2012, Rv. 591349).

3. Con la terza censura la ricorrente si duole della violazione dell’articolo 112 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4).

Secondo l’assunto impugnatorio la Corte d’appello aveva giudicato decisiva una circostanza che neppure era stata dedotta dalla controparte. Nella specie la sentenza aveva escluso rientrare nello schema tipico dell’eccezione di inadempimento di cui all’articolo 1460 c.c., le doglianze della (OMISSIS), in quanto reputate contrarie buona fede. In altri termini l’aver contestato che il modello consegnato risultava totalmente differente rispetto a quello pattuito, nonostante che nel corso della seconda prova la predetta aveva provveduto anche ad acquistare il velo, il non aver fissato un congruo termine perche’ la casa di moda potesse conformarsi alla pretesa, avevano costituito per i Giudici di secondo grado scostamenti dallo schema tipico di cui all’articolo 1460 c.c.

Poiche’ un tale ragionamento era stato svolto d’ufficio sussisteva per la ricorrente la lamentata violazione di legge.

La censura non coglie nel segno poiche’, in disparte di ogni altra considerazione, gli argomenti riportati non costituiscono la parte integrante di un’eccezione in senso proprio, rilevata erroneamente d’ufficio, bensi’ un segmento del costrutto argomentativo diretto a verificare la fondatezza della eccezione di inadempimento, di cui all’articolo 1460 c.c.. Per vero, e’ del tutto evidente non essere stati introdotti d’ufficio fatti estintivi, impeditivi o modificativi del rapporto, ma, ben diversamente essersi proceduto alla qualificazione e vaglio dell’eccezione.

Con il quarto ed ultimo motivo la ricorrente denunzia la violazione degli articoli 115 e 116 c.p.c..

Secondo la ricorrente la Corte territoriale aveva dato corso solo ad una sommaria disamina delle risultanze istruttorie, senza, tuttavia, valutare il complesso delle emergenze probatorie. Non si era considerato che la (OMISSIS) aveva chiesto il confezionamento d’un abito da sposa non seriale, che avesse determinate caratteristiche, in particolare indicando un modello tratto da una rivista. Il vestito che, invece, si pretendeva consegnarle appariva “realizzato in unico pezzo, con le spalline sottili, di linea classica: in altri termini, un prodotto che sconvolgeva totalmente la linea scelta”, senza che fosse stata accettata la proposta di apportare opportune modifiche. La ricorrente aveva dato prova di cio’ producendo la foto del modello confezionato e con le acquisite deposizioni testimoniali.

Non puo’ farsi a meno di evidenziare che, come spesso accade, con il ricorso si propone l’approvazione di una linea interpretativa dei fatti di causa alternativa rispetto a quella fatta propria dal giudice, cosi’ sperdendosi del tutto il senso del sindacato di legittimita’.

Come reiteratamente affermato in questa sede, il cattivo esercizio del potere di apprezzamento delle prove non legali da parte del giudice di merito non da’ luogo ad alcun vizio denunciabile con il ricorso per cassazione, non essendo inquadrabile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 (nel testo modificato dal Decreto Legislativo 2 febbraio 2006, n. 40, articolo 2, prima dell’ulteriore modifica di cui al Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, articolo 54, conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, applicabile “ratione temporis”), il quale implica che la motivazione della “quaestio facti” sia affetta non da una mera contraddittorieta’, insufficienza o mancata considerazione, ma che si presentasse tale da determinarne la logica insostenibilita’ (cfr., Sez. 3, n. 17037 del 20/8/2015, Rv. 636317). Con l’ulteriore corollario che il controllo di legittimita’ del giudizio di fatto non equivale alla revisione del ragionamento decisorio, ossia dell’opzione che ha condotto il giudice del merito ad una determinata soluzione della questione esaminata, posto che una simile revisione non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe in una nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimita’. Con la conseguenza che risulta del tutto estranea all’a’mbito del vizio di motivazione ogni possibilita’ per la Corte di cassazione di procedere ad un nuovo giudizio di merito attraverso l’autonoma, propria valutazione delle risultanze degli atti di causa (cfr. Sez. 6, ord. n. 5024 del 28/3/2012, Rv. 622001). Da qui la necessita’ che il ricorrente specifichi il contenuto di ciascuna delle risultanze probatorie (mediante la loro sintetica, ma esauriente esposizione e, all’occorrenza integrale trascrizione nel ricorso) evidenziando, in relazione a tale contenuto, il vizio omissivo o logico nel quale sia incorso il giudice del merito e la diversa soluzione cui, in difetto di esso, sarebbe stato possibile pervenire sulla questione decisa (cfr. Sez. 5, n. 1170 del 23/1/2004, Rv. 569607).

Da qui appare evidente che il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex articolo 360 c.p.c., n. 5, si configura nella ipotesi di carenza di elementi, nello sviluppo logico del provvedimento, idonei a consentire la identificazione del criterio posto a base della decisione, ma non anche quando vi sia difformita’ tra il significato ed il valore attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, e le attese e deduzioni della parte al riguardo. Parimenti, il vizio di contraddittoria motivazione, che ricorre in caso di insanabile contrasto tra le argomentazioni logico – giuridiche addotte a sostegno della decisione, tale da rendere incomprensibile la “ratio decidendi”, deve essere intrinseco alla sentenza, e non risultare dalla diversa prospettazione addotta dal ricorrente (Sez. 2, n. 3615 del 13/04/1999, Rv. 525271). Con l’ulteriore implicazione che il vizio di contraddittorieta’ della motivazione, deducibile in cassazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, non puo’ essere riferito a parametri valutativi esterni, quale il contenuto della consulenza tecnica d’ufficio Sez. 1, n. 1605 del 14/02/2000, Rv. 533802). Peraltro, osservandosi che il vizio di insufficiente motivazione, denunciabile con ricorso per cassazione ex articolo 360 c.p.c., n. 5, resta integrato solo ove consti la carenza di elementi, nello sviluppo logico del provvedimento, idonei a consentire la identificazione del criterio posto a base della decisione, ma non anche quando vi sia difformita’ tra il significato ed il valore attribuito dal giudice di merito agli elementi delibati, e le attese e deduzioni della parte al riguardo; mentre il vizio di contraddittoria motivazione, che ricorre in caso di insanabile contrasto tra le argomentazioni logico – giuridiche addotte a sostegno della decisione, tale da rendere incomprensibile la “ratio decidendi”, deve essere proprio della sentenza, e non risultare dalla diversa prospettazione addotta dal ricorrente (Sez. L., n. 8629 del 24/06/2000, Rv. 538004; Sez. 1, n. 2830 del 27/02/2001, Rv. 544226).

Si e’ condivisamente ulteriormente precisato, cosi’ da scolpire nitidamente l’ambito di legittimita’, che il difetto di motivazione, nel senso di sua insufficienza, legittimante la prospettazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), e’ configurabile soltanto quando dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito e quale risulta dalla sentenza stessa impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione ovvero quando e’ evincibile l’obiettiva deficienza, nel complesso della sentenza medesima, del procedimento logico che ha indotto il predetto giudice, sulla scorta degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non gia’, invece, quando vi sia difformita’ rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato attribuiti dal giudice di merito agli elementi delibati, poiche’, in quest’ultimo caso, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti dello stesso giudice di merito che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalita’ del giudizio di cassazione. In ogni caso, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non e’ necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma e’ sufficiente che il giudice indichi (come accaduto nella specie) le ragioni del proprio convincimento, dovendosi in tal caso ritenere implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Sez. L, n. 2272 del 02/02/2007,Rv. 594690). Proprio per cio’ non e’ ammesso perseguire con il motivo di ricorso un preteso migliore e piu’ appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, finalita’ sicuramente estranea alla natura e allo scopo del giudizio di cassazione. Infatti, il vizio di omessa o insufficiente motivazione, deducibile in sede di legittimita’ ex articolo 360 c.p.c., n. 5, sussiste solo se nel ragionamento del giudice di merito, quale risulta dalla sentenza, sia riscontrabile il mancato o deficiente esame di punti decisivi della controversia e non puo’ invece consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte, perche’ la citata norma non conferisce alla Corte di Cassazione il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico – formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice del merito al quale soltanto spetta di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, valutare le prove, controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, e scegliere tra le risultanze probatorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (cfr., fra le tante, Sez. L., n. 9233 del 20/4/2006, Rv. 588486 e n. 15355 del 9/8/2004, Rv. 575318).

La spiegazione alternativa proposta con il ricorso, fronteggiante una insanabile contraddittorieta’ della motivazione, deve essere tale da apparire l’unica plausibile e la deduzione di un vizio di motivazione conferisce al giudice di legittimita’ non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensi’ il solo potere di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad esse sottesi, dando, cosi’, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti (salvo i casi tassativamente previsti dalla legge). Ne deriva, pertanto, che alla cassazione della sentenza, per vizi della motivazione, si puo’ giungere solo quando tale vizio emerga dall’esame del ragionamento svolto dal giudice del merito, quale risulta dalla sentenza, che si rilevi incompleto, incoerente o illogico, e non gia’ quando il giudice del merito abbia semplicemente attribuito agli elementi valutati un valore ed un significato difformi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte (cfr., fra le tante, Sez. 3, n. 20322 del 20/10/2005, Rv. 584541; Sez. L, n. 15489 dell’11/7/2007, Rv. 598729). Lo scrutinio di merito resta, in definitiva, incensurabile, salvo l’opzione al di fuori del senso comune (Sez. L., n. 3547 del 15/4/1994, Rv. 486201); la stessa omissione non puo’ che concernere snodi essenziali del percorso argomentativo adottato (cfr., Sez. 2, n. 7476 del 4/6/2001, Rv. 547190; Sez. 1, n. 2067 del 25/2/1998, Rv. 513033; Sez. 5, n. 9133 del 676/2012, Rv. 622945, Sez. U., n. 13045 del 27/12/1997, Rv. 511208).

Nel caso di specie, peraltro, la Corte locale ha compiutamente spiegato le ragioni del proprio decidere. La (OMISSIS), per quanto si impegnasse ad affermare la non corrispondenza dell’abito a quanto pattuito, non era stata in grado di provare le caratteristiche concordate e, quindi, lo scostamento da esse. Non avevano superato la vaghezza la denuncia di un abito con spalline sottili (peraltro compatibile con la stagione pienamente estiva) e tantomeno quella di aver realizzato un modello totalmente differente, non essendo stati nemmeno lontanamente specificati i parametri a cui il manufatto si sarebbe dovuto attenere. Ne’, il vaglio delle acquisite prove testimoniali, aveva permesso di superare la gia’ descritta genericita’.

Al rigetto del ricorso consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese legali che, tenuto conto del valore e della qualita’ della causa, nonche’ delle attivita’ svolte, possono liquidarsi siccome in dispositivo.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater (inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17) applicabile ratione temporis (essendo stato il ricorso proposto successivamente al 30 gennaio 2013), ricorrono i presupposti per il raddoppio del versamento del contributo unificato da parte della ricorrente, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

P.Q.M.

rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimita’, che liquida in Euro 2.500, per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai Sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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