Legittima la sanzione disciplinare nei confronti del notaio quando quest’ultimo si sia reso protagonista di comportamenti gravi quali aver trattenuto importi versati dalle parti in misura superiore a quelli dovuti e pagati quale sostituto di imposta a titolo di imposta di registro

Suprema Corte di Cassazione

sezione II civile

sentenza 3 febbraio 2017, n. 2927

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente

Dott. MIGLIUCCI Emilio – rel. Consigliere

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6439/2016 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO NOTARILE REGGIO EMILIA, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS);

– controricorrenti –

e contro

PROCURA GENERALE REPUBBLICA CORTE APPELLO BOLOGNA;

– intimato –

avverso l’ordinanza della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 23/02/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 19/10/2016 dal Consigliere Dott. EMILIO MIGLIUCCI;

udito l’Avvocato (OMISSIS), difensore del ricorrente che ha chiesto l’accoglimento e produce elenco ai sensi dell’articolo 372 c.p.c. e certificato di conformita’;

udito l’Avvocato (OMISSIS) difensore del resistente che ha chiesto di riportarsi;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale DOTT. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto dell’istanza di rimessione alle S.U. per difetto di presupposti; inammissibilita’ o rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Commissione Regionale di Disciplina Emilia Romagna irrogava al notaio (OMISSIS) la sanzione della sospensione dalla professione per mesi otto, dichiarandolo responsabile delle infrazioni contestate ai sensi della L. n. 89 del 1913, articolo 147, lettera a) e b), nonche’ delle violazioni di cui al Decreto Legislativo n. 463 del 1997, articolo 3 ter e degli articoli 29, 42, 45 e 50 dei principi di deontologia dei notai.

L’addebito formulato a carico del notaio scaturiva da un accertamento compiuto dall’Agenzia delle Entrate di Reggio Emilia, da cui era risultato che, nell’arco temporalecompreso fra il 28-12-2004 e il 25/5/2009, il notaio aveva trattenuto importi versati dalle parti ed indicati in fattura in misura superiore a quelli dovuti e pagati quale sostituto di imposta a titolo di imposta di registro.

Con ordinanza dep. il 23 febbraio 2016 la Corte di appello di Bologna rigettava il reclamo.

Per quel che ancora interessa nella presente sede i Giudici, premesso che per alcuni illeciti disciplinari andava dichiarata la prescrizione, ritenevano – in relazione al secondo gruppo di atti in contestazione – che non poteva essere condivisa la tesi del notaio che aveva giustificato il deposito, a titolo prudenziale, di maggiori somme sul rilievo che fosse ipotizzabile una maggiore tassazione secondo una diversa interpretazione della normativa tributaria.

Al riguardo, la Corte precisava che in relazione agli atti in esame (casi 9, 10, 11, 12, 13, 14, 15, 16, 17, 18, 20, 21, 22, 23, 24, 25, 26, 27, 28, 29, 30, 31) era emerso o che l’imposta era stata autoliquidata dal Notaio in misura corretta ma era stata versata in misura inferiore rispetto alla somma ricevuta dal cliente o che la somma versata all’erario corrispondeva all’imposta correttamente liquidata ma era inferiore alla somma corrisposta dal cliente. In ogni caso, dunque, il Notaio aveva incassato a titolo di imposta dal cliente una somma superiore a quella versata a tale titolo.

In relazione alla questione del termine entro il quale il Notaio puo’ essere considerato solidalmente responsabile nei confronti dell’Erario per la ripresa di eventuali differenze di imposta c.d. principale, la Corte, disattendendo la giustificazione in proposito data dal notaio, escludeva l’interpretazione dal medesimo data dell’articolo 76 Decreto del Presidente della Repubblica 1986 (applicazione del termine triennale) ritenendo, per quel che riguardava la registrazione telematica, che dovesse trovare applicazione il termine di sessanta giorni, posto che il termine triennale e’ fatto decorrere dalla data di registrazione prevista solo per la imposta suppletiva. Peraltro, anche nell’ipotesi in cui fosse stata da accogliersi la interpretazione del notaio, la costituzione di un deposito in via prudenziale avrebbe richiesto il consenso dei clienti risultante da scrittura che nella specie non era stata mai predisposta; anzi l’indicazione in fattura della voce spese anticipate aveva fuorviato la informazione dei clienti.

Era esclusa la sussistenza una presunzione di consenso ed era invece affermato che sarebbe stato onere del notaio offrire la relativa prova.

La richiesta di prova era disattesa sul rilievo che, a prescindere dalla esiguita’ dei casi in relazione ai quali il notaio aveva chiesto di provare il consenso, non erano state indicate le parti dell’atto ma i professionisti e consulenti. Peraltro, dagli atti penali era emerso che il clienti non erano stati informati delle iniziative assunte dal notaio.

Rilevata la sproporzione fra la pretesa prudenza adottata dal notaio e la scarsa attenzione per gli interessi dei clienti, la Corte riteneva che la condotta del notaio integrasse le previsioni di cui all’articolo 147, lettera a) e b), in relazione alla sistematica violazione

delle norme deontologiche.

Erano disattese le censure sollevate dal reclamante in ordine al trattamento sanzionatorio, irrogato in relazione alla gravita’ della vicenda, posto che comunque erano state concesse le attenuanti generiche e, proprio in considerazione di cio’ non era stata irrogata la piu’ grave sanzione della destituzione chiesta dal Consiglio notarile.

2.- Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione il (OMISSIS) sulla base di cinque motivi.

Resiste con controricorso l’intimato.

Le parti hanno depositato memoria illustrativa.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va rilevato che il ricorrente ha formulato istanza di rimessione del ricorso alle Sezioni unite per la decisione: a) della questione di massima di particolare importanza, su cui la Corte di Cassazione non si e’ mai pronunciata, circa l’applicabilita’ al procedimento disciplinare e alle sanzioni a carico dei notai del principio in tema di divieto del bis in idem e della regola n. 4 del Protocollo n. 7 CEDU (oggetto del primo motivo del ricorso);

b) della questione in merito all’azione e ai termini per il recupero della maggior imposta da parte dell’Erario nei confronti del notaio (oggetto del terzo motivo).

L’istanza va disattesa, in considerazione della inammissibilita’ o infondatezza, come meglio si vedra’ infra, delle questioni in relazione alle quali e’ stata invocata la rimessione alle S.U..

1.1. Il primo motivo censura la ordinanza impugnata per non avere dichiarato improcedibile l’azione disciplinare proposta dal Consiglio notarile, tenuto conto che, per effetto della prodotta sentenza penale passata in cosa giudicata della Corte di appello di Bologna, per gli stessi fatti il notaio era stato ritenuto responsabile dei reati di peculato (in riferimento ai 12 atti oggetto delle imputazioni) e di truffa in danno dei clienti (per 72 degli atti in contestazione, per gli altri vi era stata pronuncia di assoluzione e di prescrizione), essendo stato disposto il rinvio dalla Cassazione soltanto ai fini della rideterminazione della pena (il notaio era stato condannato alla pena di un anno e nove mesi di reclusione e a quella accessoria della interdizione temporanea dai pubblici uffici per la durata di un anno): seppure non vi fosse perfetta coincidenza fra le imputazioni penali (le contestazioni erano riferite a 201 rogiti) e quelle disciplinari (relative a 31 rogiti), gli elementi costitutivi degli illeciti disciplinari erano riconducibili alla medesima condotta accertata in sede penale; in presenza della sostanziale sovrapponibilita’ dei fatti coperti dal giudicato con quelli oggetto del presente giudizio, avrebbero dovuto applicarsi nella specie i principi affermati con la sentenza Grande Stevens e altri contro Italia emessa dalla CEDU in tema di divieto del bis in idem di cui all’articolo 4 protocollo n. 7 Convenzione; evidenzia la natura penale del presente giudizio disciplinare, in considerazione: a) degli interessi generali a tutela dei quali sono dettate le disposizioni in materia notarile, come del resto affermato dalla Suprema Corte di Cassazione; b) della funzione essenzialmente punitiva delle sanzioni disciplinari.

Ove avesse ritenuto ostative ai principi dettati dalla CEDU le norme del diritto interno la Corte di appello avrebbe dovuto sollevare la questione di legittimita’ costituzionale per contrasto con l’articolo 117 Cost..

1.2. – Il motivo va disatteso.

In primo luogo, in relazione ai requisiti di ammissibilita’ della censura, va osservato che – se e’ pur vero che il giudicato esterno assimilabile agli “elementi normativi”, sicche’ la sua interpretazione deve effettuarsi alla stregua dell’esegesi delle norme, non gia’ degli atti e dei negozi giuridici – la violazione, denunciata ai sensi dell’articolo 2909 c.c., postula che la doglianza abbia il carattere della specificita’: il ricorso avrebbe dovuto trascrivere o riassumere quanto meno stralci significativi della decisione passata in giudicato in modo da dimostrare la identita’ tra i fatti accertati nel giudizio penale e quelli oggetto del presente procedimento disciplinare, cosi’ da consentirne alla Corte di Cassazione la verifica. Il che non e’ avvenuto nella specie – non essendo sufficienti il riferimento a pag. 17 del ricorso o gli altri richiami in esso contenuti – e sarebbe stato tanto piu’ necessario se si considera, da un lato, che, secondo la Corte Europea dei diritti dell’uomo, il divieto del bis in idem ovvero di emettere plurime condanne per lo stesso fatto a seguito di due procedimenti penali postula la perfetta coincidenza dei fatti storici, che integrano la condotta oggetto dell’illecito, e che, d’altro lato, siffatta ipotesi dovrebbe escludersi nelle specie secondo quanto riferito ancora nel ricorso (gli atti presi in esame in sede penale sarebbero 201 mentre quelli oggetto del disciplinare sono trentuno).

Peraltro, seppure tali considerazioni potrebbero ritenersi assorbenti di ogni altra, per completezza si rileva comunque l’infondatezza della doglianza.

Occorre innanzitutto premettere che in materia di responsabilita’ disciplinare dei notai, della L. n. 89 del 1913, articolo 147, lettera a), come modificato dal D.Lgs n. 249 del 2006, configura come illecito condotte che, seppur non tipizzate, siano comunque idonee a ledere la dignita’ e la reputazione del notaio, nonche’ il decoro ed il prestigio della classe notarile, la cui individuazione in concreto e’ rimessa agli organi di disciplina ed e’ integrato,dalle regole di etica professionale e dal complesso dei principi di deontologia professionale,In sostanza, la condotta intanto e’ sanzionabile in quanto ne sia in concreto accertata la idoneita’ a ledere l’interesse meritevole di tutela. Va al riguardo ancora sottolineato che, mentre integra l’ipotesi di cui all’articolo 147, lettera a), anche la occasionale condotta illecita, assume rilevanza sotto il profilo di cui all’articolo 147, lettera b), la reiterata violazione delle norme di cui ai Principi di deontologia professionale dei notai.

Alla stregua di tali premesse, non possono condividersi i richiami formulati dal ricorrente alla giurisprudenza della CEDU in tema di violazione del divieto del bis in idem con riferimento alla natura (penale) delle norme sanzionatorie dettate in tema di illecito disciplinare dei notai.

In primo luogo, deve escludersi l’identita’ delle fattispecie in presenza delle quali si configurano la responsabilita’ penale e quella disciplinare, atteso che gli elementi costitutivi dell’illecito disciplinare si realizzano, come si e’ detto, ove i comportamenti posti in essere possano provocare discredito al notaio e alla intera categoria ovvero ancora quando si realizza la violazione ripetuta e non occasionale dei principi di deontologia professionale.

D’altra parte, in relazione alla natura penale della norma incriminatrice, secondo la giurisprudenza consolidata della Corte europea, la verifica va compiuta secondo i tre criteri, noti comunemente come i “criteri di Engel” (cfr. Engel e altri c. Paesi Bassi, 8 giugno 1976, Serie A n. 22). Il primo criterio e’ la qualificazione giuridica del reato in base al diritto nazionale, il secondo e’ il carattere stesso del reato e il terzo e’ il grado di severita’ della pena in cui rischia di incorrere la persona interessata. Il secondo e il terzo criterio sono alternativi e non necessariamente cumulativi. Cio’ non esclude tuttavia un approccio cumulativo se l’analisi distinta di ciascun criterio non permette di raggiungere una conclusione chiara sull’esistenza di un’accusa penale (v. Jussila c. Finlandia (GC), n. 73053/01, §§ 30-31, CEDU 2006 XIV; e Ezeh e Connors c. Regno Unito (GC), nn. 39665/98 e 40086/98, §§ 82-86, CEDU 2003 X).

Se non puo’ darsi rilevanza alla qualificazione giuridica, operata secondo la legislazione e la valutazione dello stato nazionale, il carattere penale della norma va determinato con riferimento alla natura intrinseca della fattispecie incriminatrice e va escluso qualora essa, come nel caso di procedimenti disciplinari a carico dei notai, abbia come destinatari – contrariamente a quanto avvenuto, ad es. nelle fattispecie considerate dalla CEDU con le recenti sentenze del 10 febbraio 2015, KIIVERI/FINLANDIA e del 15 novembre 2016, sul ricorso n. 24130/11 contro NORVEGIA (aventi a oggetto illeciti in materia tributaria previsti da disposizioni di carattere generale nei confronti dei contribuenti) – gli appartenenti a un ordine professionale e sia preordinata allo effettivo adempimento dei doveri inerenti al corretto esercizio dei compiti assegnati ai notai dall’ordinamento. Ed invero, la responsabilita’ disciplinare dei notai trova fondamento nella violazione di precetti che sono dettati con la finalita’ essenzialmente preventiva di assicurare il rispetto di regole deontologiche, la cui osservanza ha l’obiettivo specifico che sia effettivamente attuata la funzione istituzionale del notaio – che e’ preposto alla verifica della conformita’ degli atti al modello legale – e, attraverso i poteri di vigilanza e repressivi del Consiglio Notarile, che sia impedito l’esercizio della professione in contrasto con quelli che sono i principi ai quali deve ispirarsi il comportamento del notaio. Pertanto, in considerazione della autonomia e della specificita’ delle misure volte a contrastare la violazione dei doveri dei notai, le sanzioni disciplinari non possono farsi rientrare nel sistema sanzionatorio penale e tale quadro normativo non e’ certo contraddetto dall’applicabilita’ al procedimento disciplinare di istituti mutuati dal diritto penale in considerazione, da un canto, della rilevanza dell’interesse tutelato e, dall’altro, dalla esigenza di assicurare idonee garanzie a tutela dei soggetti incolpati. Del resto, il principio dell’autonomia e dell’eterogeneita’ del sistema sanzionatorio. In sede penale e in sede di disciplinare, seppure con riferimento al procedimento disciplinare dei magistrati – sotto il profilo in esame del tutto sovrapponibile a quello nei confronti dei notai – e’ stato enunciato dalle Sezioni Unite della S. C, con la decisione n. 4004 del 2016, secondo cui e’ possibile la “irrogazione della sanzione della rimozione anche dopo il giudicato penale di condanna con pena accessoria di estinzione del rapporto d’impiego, atteso che gli effetti della sanzione disciplinare permangono, mentre quelli della sanzione penale possono estinguersi per amnistia o riabilitazione” (SU 4004 del 2016).

2.1. – Il secondo motivo censura la ordinanza impugnata laddove, nell’aderire alle conclusioni del ctu e disattendendo quelle del consulente di parte circa la differenza fra le somme corrisposte dai clienti e quelle ricevute dal notaio, aveva ritenuto che non sarebbe stata possibile alcuna diversa e possibile tassazione per cui non sarebbe stato giustificabile il comportamento prudenziale del notaio. Evidenzia alla stregua dei contratti stipulati e al loro oggetto, come la tassazione operata dal notaio fosse opinabile e quindi giustificato il deposito prudenziale per quegli importi che il fisco avrebbe potuto richiedere.

3. Il terzo motivo censura l’ordinanza impugnata laddove – in relazione alle maggiori somme trattenute a titolo prudenziale fino al momento in cui l’Agenzia avrebbe potuto pretenderne la restituzione nel caso di correzione della maggior imposta liquidata dall’Ufficio a garanzia delle maggiori somme di cui il notaio avrebbe potuto essere chiamato a corrispondere – aveva erroneamente escluso – in contrasto con lo stesso dato letterale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 76, comma 2 – l’applicabilita’ del termine triennale agli atti registrati telematicamente, per i quali era anche prevista la presentazione della richiesta di registrazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, ex articolo 42, comma 1.

4. Il quarto motivo censura la decisione della Corte di appello laddove aveva ritenuto che, anche nel caso in cui si fosse voluta accogliere la interpretazione del notaio, comunque sussisteva la responsabilita’ per l’assenza di consenso ai depositi. Deduce che: in effetti la mancanza di consenso integrava un elemento costitutivo dell’illecito contestato e non, come ritenuto dalla Corte, un esimente il cui onere probatorio sarebbe stato a carico del notaio; era stata erroneamente disattesa la richiesta di prova articolata al riguardo dal notaio.

5. Il secondo, il terzo e il quarto motivo – che, per la stretta connessione, possono essere esaminati congiuntamente – vanno disattesi.

L’ordinanza impugnata si fonda su una duplice ratio decidendi, in quanto la Corte – dopo avere escluso la legittimita’ del deposito a titolo prudenziale per la durata indicata dal notaio (esistenza del termine triennale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 76) per il recupero da parte dello Stato nei confronti del sostituto di imposta delle maggiori somme che, secondo il notaio, l’Erario avrebbe potuto chiedere in considerazione della possibile maggiore tassazione applicabile ha comunque ritenuto la responsabilita’ del notaio per non avere il medesimo ottenuto il preventivo consenso dei clienti che non erano stati informati di tali iniziative; con motivata valutazione, che si sottrae al sindacato di legittimita’, ha disatteso in proposito la richiesta di prova, ritenendola priva di decisivita’.

Per quel che riguarda la ripartizione dell’onere della prova, censurato con il quarto motivo, i Giudici hanno fatto corretta applicazione dell’articolo 2697 c.c., atteso che il Consiglio aveva dimostrato – a fondamento della incolpazione per violazione delle nome del codice deontologico – la esistenza dei fatti costitutivi ovvero la riscossione da parte del notaio di somme versate dai clienti a titolo di imposte risultate maggiori di quelle corrisposte o dovute all’Erario, sicche’ sarebbe stato il notaio a dovere offrire la prova del fatto impeditivo, costituito dal prestato consenso da parte dei clienti, consenso che avrebbe escluso il carattere illecito del trattenimento di tali somme.

Orbene, essendo tale ratio decidendi idonea di per se’ a sorreggere la motivazione, sono inammissibili le censure sollevate con il secondo motivo e il terzo motivo e cio’ dicasi indipendentemente dal rilevare la novita’ delle doglianze formulate con il secondo mezzo (laddove l’ordinanza ha rilevato la genericita’ dei rilievi mossi alla consulenza di ufficio) senza dire che le stesse si risolvono nella richiesta di rivalutazione degli elementi di fatto ovvero le fattispecie negoziali di cui agli atti rogati. Ne consegue che Inammissibile anche la questione relativa alla interpretazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 131 del 1986, articolo 76, comma 2, ovvero alla determinazione del termine entro il quale l’Agenzia delle Entrate puo’ agire nei confronti del notaio per il recupero delle somme dovute (terzo motivo), posto che nel caso in cui venga impugnata con ricorso per cassazione una sentenza (o un capo di questa) che si fondi su piu’ ragioni, tutte autonomamente idonee a sorreggerla, e’ necessario, per giungere alla cassazione della pronuncia, non solo che ciascuna di esse abbia formato oggetto di specifica censura, ma anche che il ricorso abbia esito positivo nella sua interezza con l’accoglimento di tutte le censure, affinche’ si realizzi lo scopo proprio di tale mezzo di impugnazione, il quale deve mirare alla cassazione della sentenza, “in toto” o nel suo singolo capo, per tutte le ragioni che autonomamente l’una o l’altro sorreggano. Ne consegue che e’ sufficiente che anche una sola delle dette ragioni non abbia formato oggetto di censura, ovvero, pur essendo stata impugnata, sia respinta, perche’ il ricorso o il motivo di impugnazione avverso il singolo capo di essa, debba essere respinto nella sua interezza, divenendo inammissibili, per difetto di interesse, le censure avverso le altre ragioni poste a base della sentenza o del capo impugnato.

6.1. Il quinto motivo censura la determinazione della sanzione irrogata, non avendo la Corte di appello tenuto conto della sopravvenuta declaratoria di prescrizione di alcuni (quattro) degli illeciti contestati (trentuno).

6.2. Il motivo e’ infondato.

Non sussiste la denunciata violazione di legge avendo la Corte, con accertamento di fatto insindacabile in sede di legittimita’, determinato la sanzione con riferimento alla gravita’ della condotta che e’ stata valutata in considerazione: della sistematicita’ della condotta; dell’importo delle somme riscosse in eccedenza rispetto alle imposte; della infedelta’ del notaio nel rapporto con i clienti; della risonanza dei fatti.

Le spese della presente fase vanno poste a carico del ricorrente, risultato soccombente.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, ratione temporis applicabile, va dichiarata la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento in favore del resistente delle spese relative alla presente fase che liquida in Euro 8.200,00 di cui Euro 200,00 per esborsi ed Euro 8.000,00 per onorari di avvocato oltre accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis

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