In tema di condominio, il principio della comproprietà dell’intero muro perimetrale comune di un edificio legittima il singolo condomino ad apportare ad esso (anche se muro maestro) tutte le modificazioni che gli consentano di trarre, dal bene in comunione, una peculiare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini (e, quindi, a procedere anche all’apertura, nel muro, di un varco di accesso ai locali di sua proprietà esclusiva), a condizione di non impedire agli altri condomini la prosecuzione dell’esercizio dell’uso del muro – ovvero la facoltà di utilizzarlo in modo e misura analoghi – e di non alterarne la normale destinazione e sempre che tali modificazioni non pregiudichino la stabilità ed il decoro architettonico del fabbricato condominiale.
L’apertura di varchi e l’installazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni dell’edificio condominiale, eseguite da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, non integrano, di massima, abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, non comportando per costoro una qualche impossibilità di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell’art. 1102, primo comma cod. civ., e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si correli non già alla necessità di ovviare ad una interclusione dell’unità immobiliare al cui servizio il detto accesso è stato creato, ma all’intento di conseguire una più comoda fruizione di tale unità immobiliare da parte del suo proprietario. Negli edifici in condominio, i proprietari esclusivi delle singole unità immobiliari possono utilizzare i muri comuni, nelle parti ad esse corrispondenti, sempre che l’esercizio di tale facoltà, disciplinata dagli artt. 1102 e 1122 cod. civ., non pregiudichi la stabilità e il decoro architettonico del fabbricato.

Suprema Corte di Cassazione

sezione II civile

sentenza 21 febbraio 2017, n. 4437

Fatti di causa

1. – Con atto di citazione notificato il 23 settembre 2002, G.M. e G.U. convenivano in giudizio, dinanzi al Tribunale di Catania, S.C.A. .
Premesso di essere condomini dello stabile sito in (omissis) , gli attori deducevano: che lo S. aveva provveduto alla trasformazione in autorimessa di un vano di sua proprietà, sito al piano terra dell’edificio condominiale; che tale innovazione era stata eseguita mediante l’allargamento di una finestra prospiciente la via (…), trasformata in porta carraia di accesso al garage; che le opere eseguite avevano determinato il parziale abbattimento del muro condominiale, pregiudicando la stabilità e la sicurezza dell’edificio e ledendo il decoro architettonico dello stabile. Lamentavano, inoltre, l’illegittima appropriazione, da parte dello S. , di parte del muro perimetrale.
Esponendo di aver promosso ricorso ex art. 1172 cod. civ., accolto in sede di reclamo, chiedevano la condanna del convenuto a ripristinare la situazione preesistente, nonché al risarcimento dei danni subiti.
Lo S. si costituiva in giudizio contestando le domande degli attori, di cui chiedeva il rigetto.
Con sentenza del 19 ottobre 2009 il Tribunale di Catania, ritenuto che le opere eseguite avevano cagionato la lesione del decoro architettonico dell’edificio condominiale, dichiarava lo S. tenuto al ripristino dell’originario assetto e del decoro architettonico della facciata dell’edificio anteriore a tutti i lavori e le opere dallo stesso convenuto realizzate, mentre rigettava la domanda risarcitoria; condannava il convenuto al rimborso delle spese processuali.
2. – Avverso detta sentenza proponeva appello lo S. .
Si costituivano G.M. e U. , resistendo al gravame.
Con sentenza depositata il 16 maggio 2013, la Corte d’appello di Catania, in accoglimento dell’appello proposto dallo S. , in parziale riforma della sentenza impugnata, ha rigettato la domanda formulata dai G. di condanna del convenuto ad eliminare le opere abusivamente realizzate obbligandolo a ripristinare la situazione preesistente all’effettuazione delle opere stesse, e li ha condannati a rifondere allo S. le spese di entrambi i gradi del giudizio.
La Corte territoriale ha rilevato che, pur ampliata l’originaria finestra (della larghezza di ml. 1,80) in passo carraio (della larghezza di ml. 2,80), leggermente più ampio rispetto al portone recante civico 193, e pur apparentemente modificata la sequenza “finestra-portone-finestra”, non sussiste alcuna significativa alterazione del decoro architettonico. La Corte territoriale ha evidenziato che la nuova apertura è stata munita di una porta con caratteristiche del tutto simili al vicino portone (con bugne, riquadri e colore del tutto simili) che, all’evidenza, richiama sotto il profilo estetico; che nessun deprezzamento può ritenersi sussistente, con riferimento all’intero fabbricato e alle singole unità immobiliari, avuto riguardo all’aspetto architettonico complessivo dello stabile (edificato nel 1947, e dotato di non particolare pregio) e al contesto nel quale esso è inserito (presenza di altri palazzi costruiti in aderenza, secondo lo stile di quello oggetto di causa, sede stradale di ordinarie dimensioni, zona estremamente appetibile per la strategica posizione centrale nella città di Catania), sicché non è dato notare in maniera significativa l’alterazione eseguita, e comunque essa non provoca un risultato esteticamente sgradevole, apparendo anzi immutato lo stile architettonico della facciata.
Infine, la Corte di Catania ha rilevato come tale alterazione si accompagni ad una utilità estremamente rilevante per lo S. , costituita dalla possibilità di usufruire di un garage in una zona trafficatissima, caratterizzata notoriamente da enormi difficoltà di parcheggio.
3. – Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello hanno proposto ricorso G.M. e U. , sulla base di tre motivi.
S.C.A. ha resistito con controricorso.
I ricorrenti hanno depositato una memoria illustrativa in prossimità dell’udienza.

Ragioni della decisione

1. – Con il primo motivo di ricorso, i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione degli artt. 1102, 1117 e 1120 cod. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ., nonché dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ. Ad avviso dei ricorrenti, lo S. , appropriandosi illegittimamente del muro perimetrale di natura portante, di proprietà comune ex art. 1117 cod. civ. e che era stato parzialmente abbattuto allo scopo di eseguire la trasformazione dell’originaria finestra in un portone, avrebbe agito senza alcun rispetto delle regole di cui all’art. 1120 cod. civ., attesa la conclamata illiceità della condotta posta in essere. Si deduce, inoltre, un vizio di motivazione, avendo la Corte d’appello ignorato la circostanza che la demolizione di una parte del muro portante dell’edificio era stata realizzata con pregiudizio alla stabilità e alla sicurezza dell’edificio.
1.1. – Il motivo è infondato.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Cass., Sez. II, 25 settembre 1991, n. 10008; Cass., Sez. II, 26 gennaio 1987, n. 703; Cass., Sez. II, 27 ottobre 2003, n. 16097; Cass., Sez. VI-2, 14 novembre 2014, n. 24295), in tema di condominio, il principio della comproprietà dell’intero muro perimetrale comune di un edificio legittima il singolo condomino ad apportare ad esso (anche se muro maestro) tutte le modificazioni che gli consentano di trarre, dal bene in comunione, una peculiare utilità aggiuntiva rispetto a quella goduta dagli altri condomini (e, quindi, a procedere anche all’apertura, nel muro, di un varco di accesso ai locali di sua proprietà esclusiva), a condizione di non impedire agli altri condomini la prosecuzione dell’esercizio dell’uso del muro – ovvero la facoltà di utilizzarlo in modo e misura analoghi – e di non alterarne la normale destinazione e sempre che tali modificazioni non pregiudichino la stabilità ed il decoro architettonico del fabbricato condominiale.
Si è anche precisato (Cass., Sez. II, 29 aprile 1994, n. 4155; Cass., Sez. II, 26 marzo 2002, n. 4314) che l’apertura di varchi e l’installazione di porte o cancellate in un muro ricadente fra le parti comuni dell’edificio condominiale, eseguite da uno dei condomini per creare un nuovo ingresso all’unità immobiliare di sua proprietà esclusiva, non integrano, di massima, abuso della cosa comune suscettibile di ledere i diritti degli altri condomini, non comportando per costoro una qualche impossibilità di far parimenti uso del muro stesso ai sensi dell’art. 1102, primo comma cod. civ., e rimanendo irrilevante la circostanza che tale utilizzazione del muro si correli non già alla necessità di ovviare ad una interclusione dell’unità immobiliare al cui servizio il detto accesso è stato creato, ma all’intento di conseguire una più comoda fruizione di tale unità immobiliare da parte del suo proprietario. Negli edifici in condominio, i proprietari esclusivi delle singole unità immobiliari possono utilizzare i muri comuni, nelle parti ad esse corrispondenti, sempre che l’esercizio di tale facoltà, disciplinata dagli artt. 1102 e 1122 cod. civ., non pregiudichi la stabilità e il decoro architettonico del fabbricato.
A tale principio si è correttamente attenuta la Corte di merito.
Invero, la Corte di Catania – nel giungere alla conclusione che l’allargamento dell’apertura da parte dello S. al fine di trasformare la finestra in accesso carraio ha semplicemente comportato un uso più intenso della cosa comune, come tale consentito dall’art. 1102 cod. civ., senza con questo alterare il rapporto di equilibrio con gli altri comproprietari – ha per un verso rilevato che lo S. era l’unico fra i condomini a poter usufruire, per le proprie esigenze, del varco in questione, siccome proprietario esclusivo dell’unità immobiliare comunicante con l’esterno; per l’altro ha sottolineato che il realizzato allargamento ha lasciato immutato lo stile architettonico della facciata, non comportando alcuna significativa alterazione del relativo decoro, e ciò considerando in concreto le linee e le strutture che connotano il fabbricato stesso.
La Corte territoriale ha compiuto un congruo accertamento di fatto nel quadro dei principi dettati da questa Corte regolatrice.
I ricorrenti finiscono con il sollecitare un diverso esame delle risultanze di causa e un differente apprezzamento di merito, il che fuoriesce dai limiti del sindacato devoluto alla Corte di cassazione.
Essi muovono dal presupposto che nella specie vi sia stato “l’abbattimento di un muro portante” dell’edificio, ma non considerano che nella specie si è avuta soltanto una riduzione del “maschio murario” (pilatro) in corrispondenza dell’allargamento della precedente apertura.
E prospettano l’esistenza di un pregiudizio attuale alla stabilità e alla sicurezza del fabbricato, ma non tengono conto della circostanza che già il Tribunale di Catania, definendo il primo grado di giudizio con la sentenza n. 4671 del 2009, ha affermato che il pregiudizio sismico – pur inizialmente sussistente per effetto dell’intervento effettuato dallo S. – era stato eliminato a seguito dell’effettuazione, da parte dello stesso convenuto, delle opere disposte in sede di reclamo cautelare; né dal testo del ricorso si ricava come la questione dell’attualità del rischio per la stabilità del fabbricato (pur dopo che lo S. aveva realizzato, ottemperando all’ordinanza resa in rese di reclamo cautelare, tutti gli interventi diretti all’eliminazione del pregiudizio sismico) sia stata riproposta dai G. in appello.
2. – Con il secondo motivo di ricorso si deduce la violazione degli artt. 1102, 1120 e 2909 cod. civ., 324, 342, nel testo applicabile ratione temporis, 346 e 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, nn. 3 e 4, cod. proc. civ. Secondo i ricorrenti, sarebbe rimasta priva di censura la decisione del Tribunale avente a oggetto l’accertamento che l’intervento edilizio realizzato dallo S. , attraverso le opere di demolizione e di trasformazione, aveva causato un pregiudizio grave e prossimo alla sicurezza e stabilità del fabbricato, rimosso dal medesimo S. soltanto in attuazione dell’ordine emesso dal medesimo Tribunale in sede cautelare. Si sarebbe in questo modo formato il giudicato quanto alla fondatezza dell’azione nunciatoria proposta dai fratelli G. , riguardante il pericolo di danno grave per la stabilità dell’edificio. Al giudicato conseguirebbe l’irretrattabilità delle pronunce di condanna a ripristinare la stabilità e la sicurezza del fabbricato emesse dal Collegio in sede cautelare e confermate dal Tribunale in sede di decisione sul merito.
2.1. – Il motivo è infondato, per l’assorbente ragione che, nel giudizio di merito promosso una volta esaurito il procedimento cautelare, il Tribunale di Catania ha escluso il denunciato pregiudizio attuale alla stabilità dell’edificio, avendo dato atto della eliminazione della situazione di pericolo a seguito della effettuazione delle opere disposte in sede cautelare. Va ribadito che dal testo del ricorso per cassazione non risulta come – una volta che lo S. ha provveduto, mediante l’esecuzione degli opportuni interventi, a rimuovere l’originaria situazione di non conformità alle prescrizioni della normativa antisismica – la questione del pregiudizio attuale alla stabilità sia stata riproposta in appello dai G. .
3. – Con il terzo motivo di ricorso si contesta la violazione degli artt. 2909 cod. civ., 324, 91 e 92 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ. e dell’art. 132, comma 2, n. 4, cod. proc. civ. e dell’art. 118 disp. att. cod. proc. civ. in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ. Secondo quanto dedotto dai ricorrenti, ove la Corte d’appello avesse fatto corretta applicazione degli artt. 91 e 92 cod. proc. civ. e delle disposizioni sul giudicato, i fratelli G. avrebbero comunque dovuto beneficiare della rifusione delle spese del giudizio o della loro compensazione. L’incongruenza delle argomentazioni poste a fondamento della decisione sulle spese avrebbe altresì determinato un vizio di sostanziale mancanza di motivazione, essendo quella fornita talmente incomprensibile da non poter essere in alcun modo riconosciuta come giustificazione della pronuncia.
3.1. – Il motivo – scrutinabile nel merito, in quanto formulato nel rispetto delle prescrizioni dettate dall’art. 366 cod. proc. civ. – è fondata, nei termini di seguito precisati.
La Corte d’appello ha condannato i G. al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio, comprese quella per la fase cautelare. A tale esito la Corte di Catania è giunta sul rilievo che “la riforma della sentenza di primo grado impone… una diversa regolamentazione delle spese di entrambi i gradi del giudizio, in base al principio della soccombenza”.
Questa statuizione sulle spese non dà conto dell’esito complessivo della controversia.
Invero, occorre sottolineare che il giudizio di merito a cognizione piena è stato iniziato dai G. a seguito dell’ordinanza del Tribunale di Catania in data 20 giugno 2002, con la quale è stata accolta, in sede cautelare, la denuncia di danno temuto, riconoscendosi la compiuta sussistenza di quella situazione di pericolo grave e prossimo che legittima l’erogazione della chiesta tutela cautelare nunciatoria ex art. 1172 cod. civ., e impartendosi l’ordine, rivolto allo S. , di eseguire tutte le opere indicate dal c.t.u. ing. D.B. nella relazione depositata il 7 maggio 2002, dirette ad ovviare alla situazione di pericolo da lui creata.
Nel giudizio di merito introdotto in esito alla disposta tutela cautelare, il Tribunale di Catania, definendo il giudizio di primo grado con la sentenza n. 4671 del 2009, ha confermato le valutazioni espresse dal Collegio cautelare “in ordine alla sussistenza del pregiudizio sismico alla stregua dell’intervento effettuato dallo S. “.
È esatto che il Tribunale di Catania non ha ordinato la riduzione in pristino per il denunciato pregiudizio alla stabilità del fabbricato, ma solo perché, nel corso del giudizio, “giusta dichiarazione resa dal c.t.u. incaricato della vigilanza sulla esecuzione delle opere con relazione depositata in data 8 luglio 2003”, è sopraggiunta la rimozione della situazione di pregiudizio sismico mediante l’eliminazione, attraverso l’esecuzione degli impartiti interventi di consolidamento, della originaria situazione contra ius realizzata dallo S. .
Ora, gli attori G. sono senz’altro soccombenti sulla domanda di riduzione in pristino per l’alterazione del decoro architettonico, come pure sull’accessoria domanda di risarcimento del danno, ma non lo sono in ordine alla denuncia di situazione di pericolo creato dall’opera, avendo il Tribunale, nell’ordinario giudizio di merito successivo alla fase cautelare, effettivamente accertato la sussistenza del pregiudizio sismico alla stregua dell’intervento effettuato dallo S. , e così confermato l’individuazione dell’intervento idoneo ad eliminarlo e proceduto alla definitiva identificazione del soggetto (lo S. ) onerato dell’intervento riparatore.
In questo quadro, la soccombenza – misurata ed apprezzata dalla Corte d’appello esclusivamente sul rigetto delle altre pretese avanzate – non dà conto degli esiti complessivi della controversia, e quindi non si sottrae alla denuncia articolata con il motivo.
4. – Il primo ed il secondo motivo del ricorso sono rigettati, mentre il terzo è accolto, nei sensi di cui in motivazione.
La sentenza impugnata è cassata limitatamente al capo relativo alle spese.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito con la compensazione tra le parti delle spese dell’intero giudizio di merito, inclusa la fase cautelare, sussistendo giustificati motivi in tal senso in relazione all’esito complessivo e agli sviluppi della controversia.
Anche le spese del giudizio di cassazione devono essere compensate, essendo il ricorso accolto solo in parte.

P.Q.M.

La Corte rigetta il primo ed il secondo motivo di ricorso, accoglie il terzo motivo, nei termini di cui in motivazione; cassa la sentenza impugnata limitatamente al capo relativo alle spese e, decidendo nel merito, dichiara interamente compensate tra le parti le spese dei gradi di merito, compresa la fase cautelare; dichiara altresì compensate tra le parti le spese del giudizio di cassazione

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