In tema di accertamento delle quote di partecipazione sui beni comuni biosogna individuare i beni comuni divisibili e formare, in relazione ad essi, le relative porzioni in applicazione delle regole previste dagli artt. 1100 e ss e dalle norme sulla divisione ereditaria, giusta il richiamo espresso contenuto nell’art. 1116 cc. In particolare, avrebbe dovuto considerare l’art. 727 cc a norma del quale nella formazione delle porzioni debbono comprendersi una quantità di “mobili, immobili e crediti di eguale natura e qualità in proporzione dell’entità di ciascuna quota
Suprema Corte di Cassazione
sezione II civile
sentenza 16 giugno 2016, n. 12474
Svolgimento del processo
1 Con atto 8.2.2001 Ca.Ma.Gr. ed El. convennero davanti al Tribunale di Milano M.I.E. , C.A.A. , S.A. , Si.Mi. , c.s. , a. e F.R. nonché A.G. per ottenere lo scioglimento della comunione di un’area di mq. 514,85 in (OMISSIS) , occupata in parte da costruzioni ad un piano fuori terra (otto box auto e una villetta). In particolare, le attrici, dichiarandosi proprietarie della villetta, chiesero l’attribuzione di una zona di 241,80 mq, corrispondente ai loro millesimi di comproprietà delle parti comuni.
Si costituirono i convenuti ad eccezione del c. , chiedendo preliminarmente l’integrazione del contraddittorio nei confronti di altro comproprietario, tale B.E. e, nel merito, chiesero che venisse accertata l’indivisibilità dell’area sub A mappale 540 contornata in verde, trattandosi di “corsello” delle autorimesse e sfociante nella via pubblica; domandarono altresì che venisse dichiarato l’avvenuto acquisto per usucapione dell’area sub b (tinteggiata in arancione, mapp. 540/I). In subordine, chiesero una congrua dilazione dello scioglimento della comunione ex art. 1111 primo comma cc e, comunque, che lo scioglimento fosse disposto in modo da non rendere più incomoda la fruizione dell’immobile a ciascun condomino ex art. 1119 cc.
2 Dopo avere ordinato l’integrazione del contraddittorio nei confronti del Bulgarelli e disposto una consulenza tecnica di ufficio, il Tribunale adito, con sentenza 25.10.2005, respinse le domande delle attrici, dichiarando l’indivisibilità ex artt. 1112 e 1119 cc delle aree oggetto di causa.
La sentenza fu impugnata dalle Ca. davanti alla Corte d’Appello di Milano che, all’esito di nuova indagine peritale affidata a diverso ausiliare (l’ing. Al. ), con sentenza del 19.5-20-8-2010, in riforma della decisione di primo grado, ha disposto lo scioglimento della comunione della parte scoperta del mappale 145 (di mq. 102,58) e quella scoperta del mappale 146 (mq. 148.85), attribuendo alle appellanti Ca. tutta l’area libera del mappale 146 pari a 148,85 mq oltre ad un conguaglio in danaro di C. 57.500,00.
La Corte territoriale ha fondato il suo convincimento sulle conclusioni dell’ing. Al. il quale aveva rilevato che solo l’area libera del mappale 146 era assegnabile perché quella libera del mappale 145 costituiva di fatto il “corsello” di manovra delle autorimesse dello stesso mappale; inoltre, considerando le rispettive quote millesimali, il predetto consulente aveva individuato la superficie spettante alle appellanti, detraendo dal computo la superficie già occupata (mq. 112,18 corrispondenti all’edificio e al terreno adiacente costituenti parte del mappale 146). Ha calcolato quindi che le Ca. dovessero ottenere una superficie di mq. 229,62 mq e, poiché quella scoperta del mappale 146 era di estensione inferiore (mq. 148,85), ha provveduto a determinare conguaglio in danaro in misura pari al valore della restante superficie di mq. 80,77 mq, ottenendo, col metodo della trasformazione, il valore venale dell’area corrispondente ad Euro 57.500,00.
3 Contro questa sentenza hanno proposto ricorso per cassazione M.E. in I. (sulla base di due motivi), nonché, con separato atto, C.A.A. , S.A. , Si.Mi. , F.R. e A.G. (deducendo a loro volta tre motivi).
Resistono con controricorsi le Ca. .
Gli altri condividenti non hanno svolto attività difensiva.
Motivi della decisione
1 Premessa la riunione delle impugnazioni ai sensi dell’art. 335 cpc, col primo motivo dei rispettivi ricorsi si denunzia violazione dell’art. 1118 cc. Il gruppo C. , S. e altri sostiene in particolare che la Corte d’Appello non ha applicato il principio dell’art. 1118 cc secondo cui le parti comuni sono proprietà del condomino/comunista in proporzione dei millesimi di cui egli è titolare. A parte l’erronea attribuzione di millesimi, si rimprovera alla Corte territoriale di avere considerato, per determinare l’area spettante alle Ca. sia le aree comuni (mappali 146 e 145) che quelle di proprietà esclusiva (mappali 146 sub 3.4 e mappale 145 sub 1-6) pari a mq 514,33. Secondo i ricorrenti tale metodo, seguito dal CTU e fatto proprio dalla Corte d’Appello, è da ritenersi errato perché occorreva invece dividere le sole parti comuni per i millesimi dei singoli comunisti e pertanto, posto che il mappale 145 non era divisibile trattandosi “corsello” di manovra delle autorimesse ivi presenti, la divisione dell’unica parte divisibile, cioè il mappale 146, andava operata mediante la formazione e attribuzione alle parti condividenti di due lotti corrispondenti alle quote millesimali possedute da ciascuna delle due parti. Svolgono quindi i conseguenti calcoli aritmetici e pervengono alla conclusione che una corretta attribuzione del mappale 146 prevedeva l’assegnazione in loro favore di mq 47,04 e alle Ca. di mq 101,81, pur volendosi applicare le quote millesimali individuate dal CTU.
Il ricorso della M. muove analoghe critiche seppur con toni estremamente polemici osservando che le attribuzioni delle quote millesimali erano state accettate dal loro CT di parte solo con riserva; rileva che l’operato del CTU ha introdotto il concetto di “comproprietà negativa” figura giuridica “bizzarramente inusitata”.
2. Col secondo motivo, con cui entrambi i gruppi ricorrenti lamentano la violazione dell’art. 2697 cc. La M. deduce altresì la violazione dell’art. 196 cpc criticando aspramente l’operato del CTU condiviso integralmente dalla Corte d’Appello – nella formazione delle quote millesimali di spettanza alla ricorrente. Evidenzia che la quota di 5/1000 di comproprietà sulle parti comuni attribuitale nell’atto di acquisto dell’autorimessa (atto per notaio Regalia) non trova riscontro nelle attribuzioni fatte in relazione alle restanti autorimesse di pari superficie e volumetria, da cui risultano invece 36-43 millesimi. Si duole della omessa rinnovazione dell’indagine peritale a fronte di tali risultanze, definite stravaganti e peregrine.
Analoghe doglianze sollevano gli altri ricorrenti richiamando altresì gli artt. 360 n. 3 e 5 cpc: rimproverano in particolare al CTU di non avere svolto ulteriori indagini finalizzate ad appurare l’effettiva consistenza dei millesimi e, alla Corte d’Appello, di non avere vigilato sull’operato dell’ausiliare stante l’importanza della determinazione dei millesimi di proprietà nonché i diversi criteri che potevano essere utilizzati per la loro determinazioni.
3. Col terzo motivo sollevato dal gruppo C. , S. , Si. , A. e F.R. si denunzia violazione dell’art. 132 n. 4 cpc e 118 att. cpc nonché l’omessa o apparente motivazione della sentenza, rilevandosi che la Corte d’Appello avrebbe totalmente copiato la perizia del CTU Al. senza fornire alcuna motivazione sulle ragioni che l’hanno portata a ritenerla fondata; una siffatta motivazione, secondo i ricorrenti, non consente di ravvisare il procedimento logico-giuridico che ha condotto la Corte d’Appello alla formazione del proprio convincimento.
4. Il primo motivo dei rispettivi ricorsi è fondato.
Innanzitutto, è opportuno precisare che il ricorso per cassazione, avendo ad oggetto censure espressamente e tassativamente previste dall’art. 360, primo comma, cod. proc. civ., deve essere articolato in specifici motivi riconducibili in maniera immediata ed inequivocabile ad una delle cinque ragioni di impugnazione stabilite dalla citata disposizione, pur senza la necessaria adozione di formule sacramentali o l’esatta indicazione numerica di una delle predette ipotesi (v. Sez. 1, Sentenza n. 24553 del 31/10/2013 Rv. 628248; Sez. U, Sentenza n. 17931 del 24/07/2013 Rv. 627268): si rivela pertanto infondato il rilievo preliminare delle controricorrenti con cui si segnala che il primo motivo ricorso della M. non fa riferimento esplicito ad alcuno dei cinque numeri dell’art. 360 cpc: è evidente che deducendosi violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1118 primo comma cc la parte non poteva che riferirsi al vizio di cui all’art. 360 n. 3 cpc senza alcuna possibilità di confusione.
Parimenti, si rivela infondata la critica mossa sempre dalle controricorrenti al ricorso del gruppo C. S. e altri con cui si segnala l’inammissibilità del motivo in ragione della perplessità che emerge dal contemporaneo richiamo ai casi di cui ai n. 3 e 5 dell’art. 360 ipotesi non equivalenti né fungibili. A parte la non uniformità di giurisprudenza sul punto (v. Sez. 1, Sentenza n. 19443 del 23/09/2011 Rv. 619790 secondo cui non è consentita la prospettazione di una medesima questione sotto profili tra loro incompatibili e Sez. 1, Sentenza n. 976 del 18/01/2008 Rv. 601303, nonché Sez. 5, Sentenza n. 7261 del 26/03/2009 Rv. 607456 secondo cui invece è ammissibile il ricorso per cassazione, che denunzi con unico motivo vizi di violazione di legge e di motivazione), è appena il caso di osservare che dall’esame del motivo risulta la prospettazione di errori di diritto sulla formazione delle porzioni in sede di divisione, non rinvenendosi invece alcun riferimento al vizio motivazionale.
Ciò chiarito, e prescindendo dalla correttezza o meno del riferimento all’art. 1118 cc (norma dettata per disciplinare i diritti dei partecipanti sulle cose comuni negli edifici in condominio), il principio di diritto che si assume in sostanza violato è quello inerente all’attribuzione della quota di comproprietà sui beni comuni.
Con accertamento in fatto qui non sindacabile sono state accertate le quote di partecipazione sui beni comuni nelle seguenti proporzioni: 684/1000 per le sorelle Ca. e 316/1000 per gli altri partecipanti.
Orbene, partendo da questi dati di fatto la Corte d’Appello avrebbe dovuto individuare i beni comuni divisibili e formare, in relazione ad essi, le relative porzioni in applicazione delle regole previste dagli artt. 1100 e ss e dalle norme sulla divisione ereditaria, giusta il richiamo espresso contenuto nell’art. 1116 cc. In particolare, avrebbe dovuto considerare l’art. 727 cc a norma del quale nella formazione delle porzioni debbono comprendersi una quantità di “mobili, immobili e crediti di eguale natura e qualità in proporzione dell’entità di ciascuna quota”;
Trattandosi nel caso di specie di divisione di immobili, la Corte d’Appello, avendo accertato – sulla scorta delle risultanze peritali – che solo l’area libera del mappale 146 è assegnabile, coerentemente su tale area avrebbe dovuto formare due porzioni, rispettivamente delle sorelle Ca. e degli altri condividenti (il gruppo C. , S. ed altri) e, per procedere a tale attività, avrebbe dovuto considerare le quote di comproprietà come individuate (pari, rispettivamente, a 684 e 316 millesimi).
Il metodo seguito dai giudici di appello oltre ad essere in contrasto con i citati principi, conduce a conseguenze inique perché attribuisce per intero a due condividenti (le Ca. ) l’unico bene ritenuto divisibile (il mappale 146), ed in più assegna loro un sostanzioso conguaglio in danaro che non trova giustificazione alcuna; altro errore della Corte di merito sta nel fatto che mentre nel dispositivo dà atto dello scioglimento anche “della parte scoperta del mappale 145 (mq 102,58)”, poi non prevede attribuzioni in relazione a tale cespite (in motivazione ritenuto invece “non assegnabile” in quanto area di manovra per l’accesso alle autorimesse), lasciandolo così di fatto in comune a tutti i partecipanti e quindi anche alle Ca. , essendo incontestato che anche costoro sono titolari di autorimessa. Inoltre, la ritenuta non assegnabilità del mappale 145 collide con l’affermazione contenuta in dispositivo con cui si dispone lo scioglimento della comunione anche “della parte scoperta del mappale 145 (mq 102,58)”.
Un tale argomentare si rivela giuridicamente errato e palesemente contraddittorio e pertanto comporta la cassazione della sentenza in relazione al primo motivo, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Milano che procederà alla divisione rimediando agli errori segnalati ed attenendosi ai principi esposti.
Restano logicamente assorbiti i restanti motivi.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo motivo dei ricorsi e dichiara assorbiti i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche in ordine alle spese, ad altra sezione della Corte d’Appello di Milano
Leave a Reply