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La massima

1. La concorrenza sleale, consistente nel diffondere notizie ed apprezzamenti sui prodotti altrui in modo idoneo a determinare il discredito, richiede un’effettiva divulgazione ad un numero indeterminato, o quanto meno ad una pluralità di soggetti cioè ad un pubblico indifferenziato, e non è pertanto configurabile nell’ipotesi di esternazioni occasionalmente rivolte a singoli interlocutori nell’ambito di separati e limitati colloqui.

2. Provata la lesione della reputazione professionale ovvero commerciale, poiché il danno risarcibile a norma dell’art. 2043 cod. civ. è il danno – conseguenza patrimoniale, occorre dimostrare che detta lesione abbia cagionato una perdita patrimoniale, senza la quale il risarcimento manca di oggetto. A tal fine è necessario fornire la prova della gravità della lesione e della non futilità del danno, anche mediante presunzioni semplici, fermo restando, tuttavia, l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio.

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I

SENTENZA 8 marzo 2013, n.5848

 

Ritenuto in fatto

Con atto di citazione notificato il 30.09.1993, la Velo spa conveniva in giudizio la Della Toffola spa esponendo di avere subito dalla convenuta, operante nel medesimo campo commerciale (produzione di macchine per l’enologia), atti di denigrazione, sia della propria produzione che dell’azienda nel suo complesso, presso gli operatori del settore ed i clienti.
Gli episodi che venivano contestati erano due. Il primo si collocava all’inizio del 1993, allorquando l’agente della convenuta, sig. M. , nel corso di una trattativa commerciale con la Birreria St. Bernardus di Watou (…), esprimeva apprezzamenti screditanti i prodotti Velo, dapprima verbalmente e poi per iscritto.
Il secondo episodio, dell’aprile 1993, riguardava il sig. D.T.V. amministratore, delegato della convenuta, il quale, in occasione di una trattativa con Gi..Me. , consulente dell’azienda “Che vin” di…, affermava che la Velo si trovava in cattive acque, che non pagava i crediti degli agenti e che tali precarie condizioni sconsigliavano l’acquisto di macchinari Velo dato che poi l’azienda non sarebbe stata in grado di assicurare la manutenzione. Tanto esposto, l’attrice chiedeva che venisse accertato il compimento di atti di concorrenza sleale con le conseguenti pronunce.
Si costituiva la Della Toffola s.p.a. contestando il compimento di qualsivoglia atto denigratorio nei confronti della Velo, ribadendo la liceità della comunicazione tecnica del sig. M. al sig. K. della Birreria St. Bernardus e negando di avere mai diffamato l’attrice.
Concludeva chiedendo il rigetto delle domande di controparte.
Il giudice di primo grado, con sentenza n.. 1880/02, rigettava le domande proposte dalla Velo spa, sulla base della non univocità delle risultanze probatorie. Avverso tale sentenza proponeva appello la Velo spa, riproponendo entrambi gli episodi di cui sopra e osservando che il giudice aveva frainteso sia quanto risultante dalle deposizioni dei testi e dai documenti prodotti in giudizio sia il significato del compimento di atti illeciti ex art. 2598 n. 2 c.c., sviato dal riferimento fatto da controparte alla nuova normativa in tema di pubblicità comparativa.
In riferimento a quest’ultimo punto osservava che, nel caso in questione, non ricorreva un’ipotesi di pubblicità, e che, comunque, le affermazioni fatte dalla società a Della Toffola, pubblicitarie o meno, comportavano discredito.
Contestava, inoltre la valutazione delle risultanze probatorie orali.
In riferimento alla mancanza di prova del danno l’appellante sosteneva che, trattandosi di danno che colpiva l’immagine e l’avviamento, non poteva essere esattamente quantificato, ma andava rimesso all’equo apprezzamento del giudice e, in ogni caso, faceva presente di averlo provato almeno in parte.
Ciò premesso, l’appellante concludeva riproponendo le medesime domande del primo grado.
Si costituiva l’appellata deducendo l’infondatezza del gravame e chiedendone il rigetto.
La Corte d’appello di Venezia, con sentenza n. 1127/05, in riforma della decisione di primo grado, accertava che gli atti denigratori posti in essere dalla appellata Della Toffola s.p.a. in danno di VELO s.p.a. costituivano illecito ai sensi dell’art. 2598,n. 3, c.c.; 2) condannava l’appellata Della Toffola s.p.a. a risarcire all’appellante Velo s.p.a. il danno cagionato, liquidato in via equitativa in Euro 15.000, con gli interessi legali dalla pronuncia al saldo; ordinava alla appellata Della Toffola s.p.a. di astenersi dal compimento di ulteriori atti di sleale concorrenza; dispone la pubblicazione della sentenza su alcuni quotidiani.
Avverso la detta sentenza ricorre per cassazione la Della Toffola spa sulla base di tre motivi cui resiste con controricorso la Velo spa che a sua volta propone ricorso incidentale affidato ad un motivo cui resiste con controricorso la Della Toffola.
Entrambe le parti hanno depositato memorie.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso la ricorrente principale si duole che la Corte d’appello, a fronte di una domanda per concorrenza sleale proposta ai sensi dell’art. 2598 n. 2, abbia ritenuto la stessa fondata ai sensi dell’art. 2598 n. 3.

Con il secondo motivo lamenta il vizio di motivazione per non avere la sentenza rilevato che lettera alla S. Bernardus, che si assume denigratoria, era stata inviata non dal legale rappresentante della Toffola ma da un suo agente.

Con il terzo motivo assume che non poteva procedersi a liquidazione equitativa del danno in assenza di qualsiasi prova sulla esistenza dello stesso.

Con l’unico motivo di ricorso incidentale si contesta la sentenza laddove ha escluso la sussistenza della concorrenza sleale ex art. 2598 n. 2 c.c..

I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ex art. 335 cpc.

Il primo motivo del ricorso principale è infondato.

Premesso che l’ipotesi prevista dal n. 3 dell’art. 2598 cod. civ. – consistente nell’avvalersi direttamente o indirettamente di ogni altro mezzo ‘non conforme ai principi della correttezza professionale e idoneo a danneggiare l’altrui azienda’ – si riferisce a mezzi diversi e distinti da quelli relativi ai casi tipici di cui ai precedenti nn. 1 e 2 e costituisce un’ipotesi autonoma di possibili casi alternativi (Cass. 6310/03),questa Corte ha già affermato il principio che qualora il giudice d’appello lasci immutati i fatti materiali in base ai quali sia stata chiesta dall’attore la condanna del convenuto per concorrenza sleale non altrimenti inquadrata in una delle figure (tipiche ovvero atipiche) normativamente previste, ben può tale giudice, senza con ciò andare oltre i limiti della domanda proposta (sulla quale si sia validamente instaurato il contraddittorio) e senza, in particolare, sostituire alla ‘causa petendi’ della domanda medesima una ‘causa petendi’ diversa, procedere all’esatta qualificazione giuridica dei fatti anzidetti, dedotti a fondamento costitutivo della domanda stessa, inquadrando l’azione proposta nella tipizzazione legislativa che le è propria e ponendo i medesimi fatti a base dell’accertamento della concorrenza sleale sotto uno, piuttosto che sotto un altro, dei profili normativi di cui all’art. 2598 cod. civ.. (Cass. 13423/04).

Nel caso di specie, la Corte veneziana ha ritenuto, che – pur esclusa la ricorrenza dell’ipotesi tipica sub art. 2598 n. 2 c.c. -fossero comunque configurabili quale atto (atipico) di concorrenza sleale, ai sensi del successivo n. 3 dello stesso art. 2598, per la contrarietà ai principi della correttezza professionale gli atti di denigrazione posti in essere dalla ricorrente. Tale decisione appare corretta ove si consideri che nelle conclusioni rassegnate nel giudizio di primo grado e riportate nella intestazione della impugnata sentenza, l’odierna resistente aveva chiesto di ‘dichiarare che gli atti compiuti dalla convenuta costituiscono illecito ai sensi dell’art. 2598 c.c.’ senza specificare, quindi, a quale delle tre ipotesi previste dal detto articolo intendesse fare ricorso.

Del tutto correttamente quindi la Corte d’appello,sulla base dei fatti prospettati dalla Velo spa, ha proceduto alla qualificazione della domanda inquadrandola nella fattispecie di cui all’art. 2598 n. 3 c.c. senza con questo incorrere nel vizio di ultra petizione.

Il secondo motivo del ricorso principale è inammissibile sotto diversi profili. Lo stesso infatti risulta, in primo luogo, privo di autosufficienza perché la ricorrente avrebbe dovuto specificare in quale degli scritti difensivi della fase di merito aveva dedotto la circostanza che la lettera dell’8.3.93,pur con intestazione della società Della Toffola, era stata inviata da un agente della predetta società e non dal titolare per consentire a questa Corte di rilevare il vizio di omessa motivazione sul punto.

In secondo luogo il motivo appare dedurre un vizio di carattere revocatorio inquadratale nella ipotesi di errore di fatto di cui all’art. 395 n. 4 cpc per la mancata o erronea lettura di un atto processuale che andava semmai dedotto con un ricorso per revocazione.

Il terzo motivo del ricorso principale è fondato.

La Corte d’appello, nell’accogliere la domanda di risarcimento del danno, ha fornito la motivazione seguente: ‘Per quanto riguarda la quantificazione del danno, da liquidarsi in via equitativa da questo Collegio, appare equo un risarcimento Euro 15.000, tenuto conto sia dell’azione di disturbo posta in essere dalla ditta Della Toffola nei singoli affari indicati che nel danno all’immagine commerciale patito dalla Velo presso i propri clienti’.

Tale motivazione non da in alcun modo conto della esistenza effettiva del danno prima di procedere alla sua liquidazione in via equitativa.

Questa Corte ha già chiarito che, provata la lesione della reputazione professionale ovvero commerciale, poiché il danno risarcibile a norma dell’art. 2043 cod. civ. è il danno – conseguenza patrimoniale, occorre provare che detta lesione abbia cagionato una perdita patrimoniale, senza la quale il risarcimento manca di oggetto. (Cass. 6507/01; Cass. 20120/09). A tal fine è necessario provare la gravità della lesione e la non futilità del danno, da provarsi anche mediante presunzioni semplici, fermo restando, tuttavia, l’onere del danneggiato di allegare gli elementi di fatto dai quali possa desumersi l’esistenza e l’entità del pregiudizio (Cass. 2226/12).

La Corte d’appello avrebbe dovuto quindi motivare sulle conseguenze patrimoniali subite dalla resistente in conseguenza del danno all’immagine ovvero alla reputazione commerciale subito.

Il motivo va quindi accolto.

Venendo all’esame dell’unico motivo di ricorso incidentale, la ricorrente incidentale assume che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che per la sussistenza della concorrenza sleale per denigrazione fosse necessaria una divulgazione nei confronti di una pluralità di soggetti.

Il motivo è infondato avendo questa Corte già affermato che ‘la concorrenza sleale, consistente nel diffondere notizie ed apprezzamenti sui prodotti altrui in modo idoneo a determinare il discredito, richiede un’effettiva divulgazione ad un numero indeterminato, o quanto meno ad una pluralità di soggetti cioè ad un pubblico indifferenziato, e non è pertanto configurabile nell’ipotesi di esternazioni occasionalmente rivolte a singoli interlocutori nell’ambito di separati e limitati colloqui. (Cass. 5641/78, Cass. 2931/78, Cass. 2020/82 Cass. 12681/07).

In conclusione dunque va accolto il terzo motivo del ricorso principale, rigettati gli altri e va rigettato altresì il ricorso incidentale.. La sentenza impugnata va di conseguenza cassata con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia che si atterrà nel decidere al principio di diritto dianzi enunciato e che provvederà anche alla liquidazione delle spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

Riunisce i ricorsi, accoglie il terzo motivo del ricorso principale rigettati gli altri e rigettato altresì il ricorso incidentale;cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese ad altra sezione della Corte d’appello di Venezia.

 

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