Le massime

1. L’accollo c.d. non allo scoperto, che ricorre allorché l’accollante è obbligato verso il debitore e il suo pagamento in favore del creditore vale perciò ad estinguere sia la propria obbligazione verso il debitore sia quella di quest’ultimo verso il creditore, rientra, appunto per tale caratteristica, fra i possibili modi di pagamento del terzo oggettivamente revocabili. La rivalsa del terzo accollante si realizza in tal caso mediante l’estinzione del suo debito nei confronti del debitore accollato.

2. L’anticipazione dell’effetto estintivo del debito dell’accollato verso l’accollatario rispetto alla soddisfazione di quest’ultimo (che avverrà soltanto con il pagamento da parte dell’accollate) non influisce sulla oggettiva revocabilità dell’operazione solutoria, la quale conserva tutti i presupposti a tal fine rilevanti, e cioè la soddisfazione di un creditore fuori del fallimento con risorse provenienti dal patrimonio del fallito – ancorché per il tramite di un terzo che si rivale nei confronti di quest’ultimo – e la corrispondente lesione della par condicio creditorum. Ciò che conta, invero, non è l’ordine in cui si succedono i singoli atti con i corrispondenti specifici effetti estintivi delle obbligazioni, bensì l’effetto finale della complessiva operazione, risultante dal collegamento dei singoli atti, e le sue caratteristiche appena dette.

3. Ai fini della revocatoria fallimentare di pagamenti – compresi quelli realizzati mediante rimesse su conti correnti bancari scoperti – occorre accertare se vi sia stata o meno estinzione di un credito con mezzi provenienti dal patrimonio del fallito.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

SENTENZA 4 maggio 2012, n.6795


Svolgimento del processo

Nel febbraio 2001 i commissari della C. P. s.p.a. (d’ora in poi semplicemente C.) in amministrazione straordinaria convennero davanti al Tribunale di Lecco la Banca Intesa s.p.a., la Intesa Gestione Crediti s.p.a. e la Cassa di Risparmio di Parma & Piacenza s.p.a. con domanda di revoca ai sensi dell’art. 67 legge fallirti., avente per oggetto rimesse per complessive L. 1.129.094.983 affluite sul conto corrente n. (…) intrattenuto dalla società con la Cassa di Risparmio.

Le convenute resistettero, tutte rappresentate da Intesa Gestione Crediti s.p.a., e il Tribunale respinse la domanda accogliendo l’eccezione di incompatibilità dell’azione revocatoria esercitata con l’ordinamento comunitario.

Sul gravame dell’amministrazione straordinaria, cui ha resistito Banca Intesa s.p.a. (poi divenuta Intesa Sanpaolo s.p.a.), incorporante di Intesa Gestione Crediti s.p.a. e procuratrice della Cassa di Risparmio di Parma & Piacenza s.p.a., la Corte d’appello di Milano, respinta con sentenza non definitiva l’eccezione di incompatibilità comunitaria, ha confermato, con la sentenza definitiva, il rigetto della domanda osservando, per quanto ancora rileva, che:

la rimessa costituita da bonifico di L. 870.000.000 proveniente dalla società Sofim non era revocabile perché effettuata da un terzo con denaro proprio e senza rivalersi nei confronti della C., in esecuzione di un accordo di ristrutturazione del debito stipulato tra la Sofim, la C. e varie banche, fra cui la Cassa di Risparmio di Parma & Piacenza, che prevedeva l’impegno della Sofim ad estinguere “per circa 78,5 miliardi… il suo debito verso la controllante C., accollandosi in via liberatoria debiti bancari…”, e che “la sottoscrizione del presente atto costituisce adesione all’anzidetto accollo da parte delle banche interessate, con espressa dichiarazione da parte di queste ultime di liberazione del debitore originario C.”;

– l’altra rimessa, di L. 259.000.000, non era revocabile in quanto priva di carattere solutorio, trattandosi di “giroconto” da un altro conto corrente (n. (…)) fra le medesime parti recante un saldo pari a zero e, dopo l’operazione, un saldo negativo dello stesso importo: dunque si trattava di una mera operazione contabile, di cui rimanevano oscure le ragioni, che non aveva inciso sull’esposizione della società, rimasta comunque debitrice verso la banca della medesima somma di L. 259.000.000, sia pure annotata in un diverso conto, mentre era mancato l’effetto tipico del pagamento, né vi era stata alcuna alterazione della par condicio creditorum.

I commissari straordinari hanno quindi proposto ricorso per cassazione, con due motivi di censura, illustrato anche da memoria. Intesa Sanpaolo s.p.a. ha resistito, anche in rappresentanza della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza s.p.a., con controricorso.

Motivi della decisione

1. – Il primo motivo di ricorso, con cui si denuncia violazione di norme di diritto e vizio di motivazione, riguarda il rigetto della domanda di revoca della rimessa di L. 870.000.000 eseguita dalla Sofim. I ricorrenti criticano la sentenza perché richiama giurisprudenza di legittimità – in particolare Cass. Sez. I 13479/2002 e Sez. Un. 16874/2005 – riferita all’ipotesi di pagamento del fideiussore, mentre nella specie l’accollo non era stato assunto dalla Sofim a titolo di garanzia, bensì per l’estinzione di una sua pregressa obbligazione nei confronti della C.: si trattava, insomma, di un accollo non allo scoperto, che secondo la giurisprudenza di legittimità è revocabile perché l’accollante, effettuando il pagamento in favore del creditore del proprio creditore, estingue automaticamente sia il proprio debito sia quello del proprio creditore.

1.1. – Il motivo è fondato.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. 16973/2006, nonché, in motivaz., Cass. 1611/2000 e 6474/1998) l’accollo c.d. non allo scoperto, che ricorre allorché l’accollante è obbligato verso il debitore e il suo pagamento in favore del creditore vale perciò ad estinguere sia la propria obbligazione verso il debitore sia quella di quest’ultimo verso il creditore, rientra, appunto per tale caratteristica, fra i possibili modi di pagamento del terzo oggettivamente revocabili. La rivalsa del terzo accollante si realizza in tal caso mediante l’estinzione del suo debito nei confronti del debitore accollato.

Correttamente i ricorrenti qualificano l’accollo dalla Sofim come accollo non allo scoperto, dato che esso era stato espressamente previsto quale mezzo di estinzione del debito della società accollante verso l’accollata C..

La particolarità del caso in esame, evidenziata dalla controricorrente, consiste nel fatto che qui si tratta di accollo altresì liberatorio, in cui l’effetto estintivo dell’obbligazione del debitore accollato (C.) verso il creditore accollatario (banca) è anticipato rispetto all’esecuzione del pagamento da parte del terzo accollante (Sofim), verificandosi già con l’adesione del creditore alla convenzione di accollo; con la conseguenza che il successivo pagamento dell’accollante – sottolinea la controricorrente – non può estinguere (nuovamente) la medesima obbligazione (già estinta) dell’accollato.

Va però osservato che l’anticipazione dell’effetto estintivo del debito dell’accollato verso l’accollatario rispetto alla soddisfazione di quest’ultimo (che avverrà soltanto con il pagamento da parte dell’accollate) non influisce sulla oggettiva revocabilità dell’operazione solutoria, la quale conserva tutti i presupposti a tal fine rilevanti, e cioè la soddisfazione di un creditore fuori del fallimento con risorse provenienti dal patrimonio del fallito – ancorché per il tramite di un terzo che si rivale nei confronti di quest’ultimo – e la corrispondente lesione della par condicio creditorum. Ciò che conta, invero, non è l’ordine in cui si succedono i singoli atti con i corrispondenti specifici effetti estintivi delle obbligazioni, bensì l’effetto finale della complessiva operazione, risultante dal collegamento dei singoli atti, e le sue caratteristiche appena dette.

2. – Con il secondo motivo, denunciando violazione di legge e vizio di motivazione, si censura l’esclusione del carattere solutorio della rimessa di L. 259.000.000. Secondo i ricorrenti l’operazione di cui trattasi non ebbe effetto meramente ripristinatorio di una provvista, bensì effetto estintivo del debito della C. relativo al conto corrente n. (…), “che è il solo che interessa ai fini della presente domanda”.

2.1. – Il motivo è infondato.

Ai fini della revocatoria fallimentare di pagamenti – compresi quelli realizzati mediante rimesse su conti correnti bancari scoperti – occorre accertare se vi sia stata o meno estinzione di un credito con mezzi provenienti dal patrimonio del fallito (il carattere ripristinatorio o meno di una provvista esula da quanto qui rileva). A tal fine il giudice deve tener conto (come sempre) di tutte le evidenze acquisite agli atti, non soltanto delle annotazioni del conto su cui è affluita la rimessa. L’ultima affermazione dei ricorrenti, sopra riportata testualmente, è dunque errata in quanto contraddice questa che è una regola generale dell’accertamento dei fatti da parte del giudice di merito.

Nella specie, fra le evidenze acquisite vi era la mancanza di fondi sul conto (n. (…)) di provenienza del giroconto, che perciò dopo l’operazione aveva assunto un saldo negativo di pari importo. Tanto basta per escludere che l’estinzione del saldo passivo del conto di arrivo (n. (…)) possa dirsi avvenuta con mezzi del debitore; anzi, che possa dirsi effettivamente verificata l’estinzione del credito della banca, scomparso, sì, da un conto, ma corrispondentemente riaffiorato in un altro, senza che la banca creditrice avesse ricevuto e la società debitrice versato alcunché.

Né ha rilevanza il dubbio dei giudici di merito – su cui pure insistono i ricorrenti – circa le ragioni di tale operazione contabile. Il dubbio, invero, non può giovare a chi – come l’attore nella revocatoria fallimentare – è gravato invece dell’onere della prova.

Ogni altra considerazione svolta dai ricorrenti a proposito della rimessa in questione resta assorbita da quanto sopra affermato.

3. – La sentenza impugnata va in conclusione cassata, in accoglimento del primo motivo di ricorso, con rinvio al giudice indicato in dispositivo, il quale si, atterrà al seguente principio di diritto: l’acollo liberatorio non allo scoperto rientra fra i possibili modi di pagamento del terzo soggetti a revocatoria fallimentare.

Il giudice di rinvio provvederà anche sulle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso, rigetta il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione alla censura accolta e rinvia, anche per le spese, alla Corte d’appello di Milano in diversa composizione.

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