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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

Sentenza 3 gennaio 2013, n. 40

Svolgimento del processo – Motivi della decisione

In data 9.3.2007 il Tribunale di Roma pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto da S. A. con P.V.C., riservando al prosieguo la decisione in merito alle richieste di affidamento del figlio minore e di assegnazione della casa familiare, domande formulate in via subordinata ove accolta quella di divorzio proposta dal P.

La sentenza, impugnata dalla S. che aveva sollecitato declaratoria di inammissibilità della domanda principale di divorzio poichè introdotta prima del passaggio in giudicato della sentenza di separazione, veniva confermata dalla Corte di Appello, che in particolare affermava di condividere l’orientamento secondo il quale si determinerebbe un giudicato interno sulla pronuncia relativa alla separazione tra i coniugi quando, come nella specie, fosse stata proposta impugnazione soltanto in relazione alle statuizioni aggiuntive.

Da tale premessa la Corte territoriale deduceva dunque la correttezza della decisione adottata dal primo giudice, ritenendo inoltre manifestamente infondate le questioni di costituzionalità sollevate dall’appellante sotto il profilo del preteso diritto all’indissolubilità del vincolo matrimoniale e della dissonanza della disciplina dettata in tema di processo di divorzio rispetto a quella delineata in via generale nel codice di rito.

Avverso la decisione S. proponeva ricorso per cassazione articolato in tre motivi, successivamente ulteriormente illustrati da memoria, cui P. resisteva con controricorso contenente ricorso incidentale, cui faceva poi seguito memoria affidato a due motivi, di cui il secondo condizionato, a sua volta resistito dalla ricorrente principale.

Con il ricorso principale S. ha rispettivamente denunciato:

1) violazione della L. n. 898 del 1970, art. 2 e art. 3, n. 2, con riferimento all’intervenuto rigetto dell’eccezione di inammissibilità ed improcedibilità della domanda di cessazione degli effetti civili del matrimonio, esito che viceversa avrebbe dovuto essere ritenuto consequenziale al mancato passaggio in giudicato del capo della sentenza relativi alla domanda di addebitabilità della separazione giudiziale;

2) questione di legittimità costituzionale della L. n. 898 del 1970, art. 4 e successive modifiche (correlato all’art. 184 c.p.c. vecchio rito e art. 183 c.p.c. nuovo rito), in relazione agli artt. 3, 7, 24 Cost., sotto il profilo dell’omessa concessione dei termini per l’articolazione dei mezzi istruttori, nella specie focalizzata nella richiesta di ammissione di prova testimoniale finalizzata a sostenere i denunciati profili di illegittimità costituzionale, richiesta formulata con la comparsa di risposta ed a torto dunque rimasta inevasa;

3) questione di legittimità costituzionale della L. n. 898 del 1970, art. 2 e successive modifiche, per contrasto con gli artt. 3, 7, 8 e 29 Cost., in ragione della cessazione degli effetti civili del matrimonio, conseguente all’applicazione della normativa in questione.

Tale esito sarebbe infatti assolutamente ed irragionevolmente pregiudizievole per i cittadini che avevano in precedenza esercitato una comune libera opzione in favore del matrimonio religioso.

Con il ricorso incidentale P. ha a sua volta denunciato violazione dell’art. 96 c.p.c., in relazione al comportamento processuale della S. che avrebbe insistito nella pretesa di revisione della sentenza di divorzio, pur a fronte di normativa e giurisprudenza deponenti in senso contrario.

Tale censurabile comportamento, compiutamente rappresentato al giudice del merito, non era stato tuttavia da questo sanzionato e la decisione adottata sul punto sarebbe stata dunque meritevole di riforma.

Con quello incidentale condizionato, infine, il ricorrente ha lamentato la mancata rilevazione dell’inammissibilità dell’appello, pur puntualmente denunciata, per la mancata specificità dei motivi di impugnazione.

Osserva il Collegio che sono infondati entrambi i ricorsi.

Più precisamente, quanto a quello principale, si rileva innanzitutto che la censura prospettata con il primo motivo poggia su una pretesa inammissibilità della domanda di divorzio laddove, come nel caso di specie, non sia ancora definito il giudizio di separazione per effetto dell’impugnazione proposta nei confronti di capi accessori e consequenziali alla domanda di separazione, quali a titolo esemplificativo la richiesta di addebito, l’assegnazione della casa coniugale etc.

La Corte di Appello, cui era stata sottoposta la medesima questione, ne aveva rilevato l’infondatezza richiamando specifico precedente di questa Corte, rilievo assolutamente da condividere tenuto conto della copiosa e consolidata giurisprudenza formatasi sul punto (C. 07/16985, C. 07/565, C. 05/21193, C. 05/15157, C. 04/16996). In ordine poi al secondo ed al terzo motivo, è agevole rilevare come si tratti di questioni già prospettate e disattese dalla Corte Costituzionale con motivazioni che non sono in alcun modo intaccate (e tanto meno superate) dalle censure sollevate dalla ricorrente, fra l’altro contrastate anche dalla giurisprudenza di questa Corte.

La Corte Costituzionale ha infatti avuto modo di precisare che il diritto all’indissolubilità del vincolo matrimoniale non rientra nel novero di quelli costituzionalmente garantiti (Corte Cost. 73/176, 71/169, C. 96/7990, C. 93/11860), così come il giudice di legittimità ha avuto modo reiteratamente di affermare che nel processo di divorzio non trovano applicazione gli artt. 183, 190 c.p.c., venendo in rilievo la disciplina speciale di cui alla L. n. 898 del 1970, art. 4, e successive modifiche, volta ad accelerare l’accertamento dei presupposti dello scioglimento degli effetti civili del matrimonio (C. 07/20745, C. 07/17965, C. 06/9882, C. 05/16092).

Quanto infine al ricorso incidentale, quello condizionato risulta assorbito dal rigetto del ricorso principale, mentre va rigettato l’ulteriore ricorso, atteso che la Corte di Appello ha ritenuto che difettassero gli estremi richiesti per la condanna ex art. 96 c.p.c., la relativa decisione è espressione di valutazione di merito e la motivazione che la sorregge risulta sufficientemente articolata ed immune da vizi logici.

La sostanziale soccombenza della ricorrente principale induce alla relativa condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso principale e quello incidentale, dichiara assorbito il ricorso incidentale e condanna la ricorrente principale al pagamento delle spese processuali, liquidate in Euro 3.200, di cui Euro 3.000 per compensi, oltre agli accessori di legge.

In caso di diffusione del presente provvedimento si omettano le generalità e gli altri dati identificativi a norma del D.Lgs. n. 196 del 2003, art. 52.

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