Corte_de_cassazione_di_Roma

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I

SENTENZA 3 febbraio 2014, n. 2324

Fatto e diritto

Rilevato che in un giudizio di convalida del sequestro conservativo richiesto ed ottenuto (fino alla concorrenza di Euro 180.000,00) dalla società Centro Servizi srl sui beni della signora R.A. , amministratrice della società, per le irregolarità denunciate, il Tribunale di Nocera Inferiore, in composizione monocratica, ha accolto la domanda ed ha condannato la R. al risarcimento dei danni in minor misura rispetto alla somma indicata nel sequestro, non senza procedere ad una liquidazione del danno all’immagine della società;

che le irregolarità denunciate ed accertate dal primo giudice avevano riguardato: a) l’incasso, a beneficio dell’amministratrice, di una somma di denaro, erroneamente disposta, per la seconda volta, da un debitore della società (la Federconsorzi) che dopo un primo pagamento estintivo del proprio debito non ne aveva più l’obbligo; b) nonché la non corretta tenuta delle scritture contabili, da parte della stessa amministratrice, anche allo scopo di coprire la sua illegittima appropriazione;

che l’appello proposto dalla R. è stato accolto dalla Corte d’appello di Salerno che, anzitutto, ha dichiarato la nullità della sentenze di prime cure per un rilevato vizio di costituzione del giudice, essendo stata pronunciata dal giudice monocratico in luogo di quello collegiale, in materia a quest’ultimo riservata (azione ex art. 2393 c.c.);

che, nel merito, la Corte territoriale, ha escluso che fosse stato provato l’asserito accordo tra l’amministratrice ed i soci per l’esercizio dei poteri gestori da parte di un socio occulto (tale B.F. ) mentre risultavano documentati i versamenti di danaro imputati, anziché al pagamento della Federconsorzi, al finanziamento di soci, poi restituiti all’amministratrice, con gli interessi maturati;

che l’appellante aveva contestato il fatto della restituzione solo in sede di comparsa conclusionale e le relative scritture contabili prodotte in fotocopia oltre che la provenienza del documento dalla stessa parte interessata alla prova del fatto;

che, di contro, il giudice del gravame, ha respinto le eccezioni sollevate richiamando il valore probatorio della documentazione, in quanto allegata al giudizio penale a carico della stessa R. e posta a base del capo di imputazione, ed ha concluso per la prova dell’appropriazione delle somme (parte in contanti e parte in assegni), condannando l’appellante al pagamento in restituzione delle somme percepite, senza che potesse rilevare il fatto che la società non avesse effettivamente restituito il secondo pagamento ricevuto, alla creditrice Federconsorzi;

che, avverso la decisione, la R. ha proposto ricorso per cassazione, notificato anche ai sigg. P.G. , B.G. e S. , articolato in tre motivi, contro i quali ha resistito la società, con controricorso e memoria illustrativa;

Considerato che con il primo motivo (con il quale si lamenta sia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2215, 2216, 2476, 2709, 2710, 2487, 2392 e 2393 cc, nel testo vigente ratione temporis, in relazione all’art. 360 n. 3 cpc sia l’illogicità e/o contraddizione della motivazione in relazione all’art. 360 n. 5 cpc), la ricorrente pone, in relazione al primo profilo di doglianza, il seguente quesito di diritto: se sia corretto interpretare i richiamati articoli del cc, nel testo vigente all’epoca dei fatti, ritenendo fondata l’azione di responsabilità nei riguardi dell’amministratore della società, esclusivamente basandosi sulle annotazioni effettuate sul libro giornale della società nel periodo in cui il detto amministratore era in carica, in presenza di contestazioni circa la validità delle scritture contabili prive delle formalità estrinseche dettate dagli artt. 2215 e 2216 cc (nel testo allora vigente) e, quindi, della data certa che le potesse far ritenere riconducibili allo stesso amministratore, superando le carenze formali con l’allegazione della documentazione versata nel procedimento penale a carico dello stesso amministratore e facendola valere, pur in assenza dei requisiti di cui all’art. 2710 cc, contro l’amministratore della società che se ne avvale;

che, in relazione al secondo profilo, la ricorrente ha precisato che l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione sarebbero riferibili alla motivazione nella parte in cui assume la mancata contestazione da parte della ricorrente in ordine alla effettività della restituzione – a lei medesima – delle somme introitate da Federconsorzi, laddove l’appellante – con l’affermazione dell’avvenuta restituzione delle somme alla società – avrebbe contestato ogni asserita dazione da parte della Centro Servizi srl;

che con il secondo mezzo (con il quale si lamenta sia la violazione e falsa applicazione degli artt. 2487, 2476, 1223, 1226 e 2697 cc, nel testo vigente ratione temporis, in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c., sia l’illogicità e/o contraddizione della motivazione in relazione all’art. 360 n. 5 cpc), la ricorrente pone, in relazione al primo profilo di doglianza, il seguente quesito di diritto: se sia corretto interpretare i richiamati articoli del cc, nel testo vigente all’epoca dei fatti, ritenendo fondata l’azione di responsabilità nei riguardi dell’amministratore della società, solo se si dimostra un danno effettivo o, quantomeno, futuro, e non come nella specie in assenza di prova in ordine ad un danno effettivo, ovvero futuro, da parte della società;

che, in relazione al secondo profilo, la ricorrente ha precisato che l’illogicità e la contraddittorietà della motivazione sarebbero riferibili alla motivazione nella parte in cui assume l’esistenza di un danno futuro per la società, pur risultando dagli atti sufficienti elementi probatori da cui desumere l’inesistenza del danno lamentato;

che con il terzo motivo (con il quale si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1218, 1223, 1224 e 2697 cc, nel testo vigente ratione temporis, in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.), la ricorrente pone il seguente quesito di diritto: se sia legittima la liquidazione degli interessi e della rivalutazione monetaria con decorrenza anteriore alla effettiva verificazione del danno;

che, in prossimità dell’udienza, i resistenti hanno depositato, ai sensi dell’art. 378 c.p.c., memoria contenente note illustrative.

che, innanzitutto, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso per cassazione proposto nei riguardi dei sigg. P.G. , B.G. e S. , che non sono stati parte del giudizio di primo grado e nei cui confronti l’appello è stato, proprio per tale ragione, dichiarato inammissibile;

che, quanto al merito del ricorso, va premesso che l’azione di responsabilità della quale si discute in questa sede è stata correttamente promossa, dalla sola società Centro Servizi srl (e non certo dai menzionati intimati), nei riguardi della sua amministratrice del tempo, la sig.ra R. , ai sensi dell’art. 2393 c.c. (nel testo vigente anteriormente alla riforma di cui al D.Lgs. n. 6 del 2003) per non avere adempiuto ai doveri imposti dalla legge e dall’atto costitutivo con la diligenza del mandatario (art. 2392, primo co., c.c.);

che tale azione ha natura contrattuale, onde la società ha soltanto l’onere di dimostrare la sussistenza delle violazioni ed il nesso di causalità fra queste ed il danno verificatosi, mentre incombe sugli amministratori e sindaci l’onere di dimostrare la non imputabilità a sé del fatto dannoso, fornendo la prova positiva, con riferimento agli addebiti contestati, dell’osservanza dei doveri e dell’adempimento degli obblighi loro imposti (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 22911 del 2010);

che il primo motivo di ricorso, nei suoi diversi due profili, è infondato e deve essere respinte-che, infatti, quanto alla violazione o falsa applicazione della legge (negli articoli del c.c. richiamati), il motivo non può essere accolto risultando che la contabilità sociale non è stata, per ammissione della stessa ricorrente, validamente tenuta perché priva delle formalità estrinseche dettate dagli artt. 2215 e 2216 c.c.;

che, a tale proposito, questa Corte ha più volte affermato il principio di diritto secondo cui la tenuta in modo sommario e non intellegibile della contabilità sociale è di per sé giustificativa della condanna dell’amministratore al risarcimento del danno, in sede di azione di responsabilità promossa dalla società a norma dell’art. 2392 cod. civ., vertendosi in tema di violazione da parte dell’amministratore medesimo di specifici obblighi di legge, idonea a tradursi in un pregiudizio per il patrimonio sociale (Cass. Sez. 1, Sentenza n. 64 93 del 19/12/1985 e Sentenza n. 5876 del 11/03/2011);

che, in base a tale principio, la ricorrente non può far escludere la propria responsabilità in ordine alle risultanze della contabilità dell’impresa avendo lei stessa, quale amministratrice, avuto l’obbligo giuridico di custodirla e tenerla in modo formalmente corretto;

che, perciò, non assume rilievo in questa sede il versamento in atti di copie di quella contabilità raccolta nel procedimento penale a carico della medesima ricorrente, proprio in presenza di quelle irregolarità formali che la stessa assume e pone a base della sua censura;

che il secondo profilo di doglianza del primo motivo di ricorso, tendente a far risaltare la contraddittorietà o illogicità della motivazione della corte territoriale laddove ha assunto la mancata contestazione della “effettività della restituzione e cioè di non avere mai ricevuto in restituzione le somme oggetto del finto finanziamento”, è inammissibile perché con le contrarie asserzioni (pacificamente fatte in via tardiva nella comparsa conclusionale) si afferma solo genericamente che siano state svolte nel gravame senza alcuna specificazione del loro tenore e, in contrasto con il principio di autosufficienza del ricorso, anche del luogo della loro formulazione;

che il secondo motivo di ricorso, nei suoi diversi due profili, è invece fondato e deve essere accolto;

che, infatti, sia quanto alla violazione o falsa applicazione della legge (negli articoli del c.c. richiamati), sia in relazione al secondo profilo, in cui la ricorrente ha precisato che dagli atti risultano sufficienti elementi probatori da cui desumere l’inesistenza del danno lamentato, il motivo è fondato risultando che – come ha esplicitato la società nel suo controricorso – del danno, ritenuto sussistente in re ipsa, è mancata la dimostrazione nella sua concreta esistenza, da parte della società attrice;

che tale ragionamento costituisce al contempo falsa applicazione di legge (con particolare riferimento all’art. 1223 c.c.) ed erronea motivazione in quanto suppone, contrariamente alla fattispecie legale, che un danno economico subito dalla società possa essere ritenuto di per sé sussistente e così prescindendo da ogni dimostrazione in ordine al quantum e ad ogni possibile vicenda successiva idonea ad eliderlo (ad es., per la mancata restituzione del pagamento duplicato solo per una dimenticanza dell’avente diritto nella richiesta; ovvero per la valida eccezione di prescrizione opposta; ovvero per altre circostanze / accidentali ipotizzabili);

che, infatti, il giudice di merito avrebbe dovuto attenersi al principio di diritto che questa Corte ha sempre espresso al riguardo tenendo chiaramente distinto il momento della prova della lesione da quello della quantificazione delle conseguenze da quella lesione scaturite;

che, a dimostrazione di tale principio, questa stessa Sez. 1 (Sentenza n. 21428 del 12/10/2007) ha chiarito che la pronuncia di condanna generica al risarcimento del danno per fatto illecito integra un accertamento di potenziale idoneità lesiva di quel fatto, sicché la prova dell’esistenza concreta del danno, della reale entità e del rapporto di causalità è riservata alla successiva fase di liquidazione; conseguentemente il giudicato formatosi su detta pronuncia non osta a che nel giudizio di liquidazione, venga negato il fondamento concreto della domanda risarcitoria, previo accertamento del fatto che il danno non si sia in concreto verificato. (La S.C. ha enunciato il principio in una fattispecie riguardante l’accertamento della responsabilità di una banca per l’ingiustificata segnalazione di un credito ‘in sofferenza’ alla Centrale dei Rischi della Banca d’Italia, allorché la Corte di merito, pronunciata sentenza non definitiva sulla sussistenza della responsabilità, aveva riservato alla statuizione definitiva la valutazione del danno subito dall’impresa debitrice);

che di conseguenza il secondo motivo di ricorso deve essere accolto, con assorbimento del terzo che ne costituisce solo uno sviluppo logico e, per l’effetto, la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio ad altra sezione dello stesso giudice territoriale perché provveda anche alla liquidazione delle spese di questo giudizio.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di ai sigg. P.G. , B.G. e S. .

Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbito il terzo e respinto il primo, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese di questa fase, ad altra sezione della Corte d’Appello di Salerno.

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