Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 29 gennaio 2015, n. 1729
Ritenuto in fatto e in diritto
– che, con sentenza del 10 gennaio 2012, la Corte di appello di Napoli, in riforma della sentenza in data 28 marzo 2011 del Tribunale di Torre Annunziata, accoglieva la domanda di M. S. e pronunciava la cessazione, per mancata consumazione, degli effetti civili del matrimonio dallo stesso contratto con G.P..
In particolare, la Corte osservava che gli elementi non dirimenti offerti dalla c.t.u. ginecologica espletata in primo grado (secondo cui, sebbene l’imene della donna non fosse integro, non era «possibile accertare se la penetrazione» fosse «stata completa o incompleta») dovevano essere valutati unitamente al contegno difensivo della convenuta la quale, nel giudizio di primo grado, aveva riconosciuto che il matrimonio non era stato consumato; – che avverso detta sentenza ha proposto ricorso per
cassazione la P., deducendo: 1) la violazione dell’art. 2697 c.c. poiché la sentenza impugnata aveva incongruamente tratto la prova della non consumazione del matrimonio dalla c.t.u., che tuttavia aveva concluso che la convenuta era stata deflorata in epoca compatibile con uno degli ultimi contatti sessuali tra i coniugi, e dalle ammissioni contenute negli atti difensivi, senza, tuttavia, considerare non solo che si verteva in materia non disponibile, ma che le ammissioni non provenivano dallaricorrente,ma dal suo difensore; 2) il vizio di motivazione poiché la Corte di appello, dopo avere dato apoditticamente rilievo alla mancanza di un rapporto sessuale completo, senza peraltro specificare cosa intendesse con tale espressione, e dopo avere confuso, comunque, «il concetto di rapporto sessuale completo con quello della consumazione, che corrisponde, invece, alla erezione seguita dalla penetrazione», aveva desunto la mancata consumazione da circostanze diverse dalle sole idonee a provarla e cioè la verginità della moglie, l’impotenza funzionale e la lontananza fisica;
– che M.S. resiste con controricorso;
– che entrambe le parti hanno presentato memoria;
– che il primo motivo, con il quale si deduce in realtà un vizio di motivazione, è infondato in quanto il ragionamento della Corte territoriale è immune da vizi logici e giuridici; la sentenza, infatti, ha congruamente valorizzato sia gli esiti della c.t.u. in quanto compatibili con la mancata consumazione del matrimonio, sia le ammissioni fatte dal procuratore della convenuta nel giudizio di primo grado ed alle quali, esattamente, è stato attribuito non un inconfigurabile• valore confessorio, ma semplice valore indiziario (e plurimis e da ultimo Cass. 8 maggio 2012, n. 7015; Cass. 18 marzo 2014, n. 6192), idoneo, sulla base di una valutazione di merito non censurabile in questa sede, a consentire di ritenere provata la mancata consumazione;
— che il secondo motivo, malgrado sia rubricato soltanto come vizio di motivazione deduce anche una violazione di legge laddove lamenta l’erronea identificazione della fattispecie della inconsumazione del matrimonio; sotto tale profilo il motivo è, tuttavia, inammissibile per genericità della censura poiché dopo avere enunciato, senza prestarvi adesione, alcuni orientamenti emersi in tema di inconsumazione del matrimonio, il ricorrente contrappone il concetto di rapporto sessuale completo alla erezione seguita da penetrazione senza chiarirne la pretesa differenza. Nel resto il motivo è infondato in mancanza di ragioni logiche e giuridiche per limitare la prova della inconsumazione alle situazioni indicate dal ricorrente (verginità della moglie, impotenza funzionale e lontananza fisica) ;
– che le spese seguono la soccombenza e si liquidano come in dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al rimborso delle spese di lite,liquidate in e 3.700,00=, di cui 200,00 per esborsi, oltre spese q etc, IVA e CP; dispone che, in caso di diffusione del presente provvedimento, si omettano le generalità e gli altri dati identificativi, ai sensi dell’art. 52 d.lgs. 196/03.
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