Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 28 gennaio 2015, n. 1624
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RORDORF Renato – Presidente
Dott. DI AMATO Sergio – Consigliere
Dott. DIDONE Antonio – Consigliere
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 10006-2010 proposto da:
(OMISSIS) S.R.L. (C.F. (OMISSIS)), gia’ (OMISSIS) S.A.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo STUDIO (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
(OMISSIS) S.N.C. (C.F. (OMISSIS)), (OMISSIS) (C.F. (OMISSIS));
– intimati –
avverso la sentenza n. 542/2009 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 16/02/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/11/2014 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RORDORF Renato – Presidente
Dott. DI AMATO Sergio – Consigliere
Dott. DIDONE Antonio – Consigliere
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 10006-2010 proposto da:
(OMISSIS) S.R.L. (C.F. (OMISSIS)), gia’ (OMISSIS) S.A.S., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo STUDIO (OMISSIS), rappresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
(OMISSIS) S.N.C. (C.F. (OMISSIS)), (OMISSIS) (C.F. (OMISSIS));
– intimati –
avverso la sentenza n. 542/2009 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI, depositata il 16/02/2009;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 19/11/2014 dal Consigliere Dott. LOREDANA NAZZICONE;
udito, per la ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PRATIS Pierfelice che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
(OMISSIS) impugno’, ai sensi dell’articolo 2287 c.c., la Delib. 9 giugno 1998 di esclusione del medesimo dalla compagine sociale della (OMISSIS) s.n.c. e di revoca della carica di amministratore, assunta con il voto degli altri due soci. La compagine sociale della (OMISSIS) s.n.c. era composta, al momento dell’assunzione della delibera, da (OMISSIS) (0,08%), (OMISSIS) s.a.s. (0,08%) e (OMISSIS) s.n.c. (99,84%), quest’ultima a propria volta partecipata in parti uguali dalla (OMISSIS) s.a.s. e dallo stesso (OMISSIS).
Il (OMISSIS) propose, altresi’, un secondo giudizio, volto all’esclusione della (OMISSIS) s.a.s. dalla compagine sociale della (OMISSIS) s.n.c; in tale causa la convenuta chiese, in via riconvenzionale, l’esclusione dello stesso (OMISSIS) dalla (OMISSIS).
Il tribunale, riuniti i due giudizi, con le sentenze non definitiva del 30 gennaio 2001 e definitiva del 22 novembre 2005, dopo aver disatteso l’eccezione di arbitrato sollevata, dichiaro’ inesistente la deliberazione di esclusione del socio (OMISSIS) dalla (OMISSIS) s.n.c, in quanto assunta con il voto, in rappresentanza della (OMISSIS) s.n.c, (OMISSIS), che non ne aveva titolo, rigettando tutte le altre domande.
La Corte d’appello di Napoli con la sentenza del 16 febbraio 2009 ha respinto gli appelli, principale ed incidentale.
La (OMISSIS) s.r.l., gia’ (OMISSIS) s.a.s., propone ricorso per la cassazione di tale sentenza, sulla base di ventuno motivi.
Resiste (OMISSIS) con controricorso, depositando pure una memoria.
Il (OMISSIS) propose, altresi’, un secondo giudizio, volto all’esclusione della (OMISSIS) s.a.s. dalla compagine sociale della (OMISSIS) s.n.c; in tale causa la convenuta chiese, in via riconvenzionale, l’esclusione dello stesso (OMISSIS) dalla (OMISSIS).
Il tribunale, riuniti i due giudizi, con le sentenze non definitiva del 30 gennaio 2001 e definitiva del 22 novembre 2005, dopo aver disatteso l’eccezione di arbitrato sollevata, dichiaro’ inesistente la deliberazione di esclusione del socio (OMISSIS) dalla (OMISSIS) s.n.c, in quanto assunta con il voto, in rappresentanza della (OMISSIS) s.n.c, (OMISSIS), che non ne aveva titolo, rigettando tutte le altre domande.
La Corte d’appello di Napoli con la sentenza del 16 febbraio 2009 ha respinto gli appelli, principale ed incidentale.
La (OMISSIS) s.r.l., gia’ (OMISSIS) s.a.s., propone ricorso per la cassazione di tale sentenza, sulla base di ventuno motivi.
Resiste (OMISSIS) con controricorso, depositando pure una memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – E’ stata eccepita dal Procuratore generale l’inammissibilita’ del ricorso per violazione dell’articolo 366 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, in quanto lo stesso e’ composto da 330 pagine, in cospicua parte costituite da copie fotostatiche di documenti e di atti relativi al giudizio di merito.
Questa Corte ha gia’ chiarito che il ricorso graficamente confezionato in modo tale che siano riprodotti con procedimento fotografico (o similare) gli atti dei pregressi gradi e i documenti ivi depositati, tra di loro giustapposti con mere proposizioni di collegamento, e’ inammissibile per violazione del criterio dell’autosufficienza, in quanto cio’ onera la corte di cassazione di procedere alla lettura di tali atti, similmente a quanto avviene in ipotesi di mero rinvio ad essi, non potendosi al contrario ritenere assolta da elementi estranei al ricorso la funzione riassuntiva (fra le altre, Cass., ord. 24 luglio 2013, n. 18020; 9 febbraio 2012, n. 1905; sez. un., ord. 9 settembre 2010, n. 19255), essendosi precisato che il principio non e’ rispettato neppure allorche’ l’esposizione sommaria dei fatti di causa possa desumersi per estrapolazione dall’illustrazione dei motivi (Cass., ord. 16 gennaio 2014, n. 784). Cio’ perche’ la riproduzione di atti e documenti nel corpo del ricorso, per un verso, e’ del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si e’ articolata; per altro verso, e’ inidonea a soddisfare la necessita’ della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla corte la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso (Cass., sez. un., 11 aprile 2012, n. 5698). Occorre dunque, per superare il vaglio di ammissibilita’, che il ricorso contenga autonomamente – una volta eliminate le parti inammissibilmente in esso riprodotte – la narrazione degli antefatti e della vicenda processuale e l’illustrazione dei motivi per i quali si chiede la cassazione (Cass., sez. un., ord. 24 febbraio 2014, n. 4324).
Reputa il Collegio che, nella specie, il ricorso possa sfuggire alla sanzione dell’inammissibilita’, perche’ le pagine autonomamente redatte espongono in maniera sufficiente i fatti ed il motivi, pur una volta estrapolate – come e’ necessario – le fotocopie di altri atti in esso riprodotte, onde tale dovuta operazione ne lascia permanere l’intelligibilita’.
2. – I motivi di ricorso, secondo le partizioni della ricorrente, possono essere sintetizzati, e decisi, come segue.
2.1. – A) Giudizio d’impugnazione della deliberazione di esclusione del socio (OMISSIS) in data 9 giugno 1998.
A1) Motivi relativi alla declaratoria di contumacia della (OMISSIS) s.n.c. in primo grado.
La ricorrente deduce:
1) violazione dell’articolo 2909 c.c. e articolo 12 preleggi, per avere la corte territoriale disatteso il motivo concernente l’erronea dichiarazione di contumacia in primo grado della (OMISSIS) s.n.c, cui l’atto di citazione fu notificato a mani di (OMISSIS), avendo la corte del merito ritenuto che costei fosse ancora amministratrice, in quanto dichiarato giudizialmente nullo l’atto del 9 febbraio 1998 con cui si era inteso sostituire alla medesima altro amministratore: senza, tuttavia, considerare la giusta portata di quel giudicato di tribunale, che non riguardava la (OMISSIS) s.a.s., mentre dalla perdita della qualita’ di amministratrice di quest’ultima non poteva che discendere anche la perdita della medesima qualita’ nella (OMISSIS) s.n.c, dalla prima partecipata;
2) violazione e falsa applicazione dell’articolo 2193 c.c., per avere la sentenza impugnata fondato detto convincimento anche sulle risultanze del registro delle imprese, che non sono decisive ed avverso cui e’ ammessa la prova contraria;
3) omessa motivazione su fatto decisivo della controversia, ossia la rinuncia comunque operata da (OMISSIS), a parte ogni sua revoca, alla carica gestoria della (OMISSIS) s.n.c.;
4) violazione e falsa applicazione dell’articolo 75 c.p.c., comma 3, articolo 160 c.p.c., articolo 171 c.p.c., comma 3 e articolo 291 c.p.c., per avere di conseguenza ritenuto contumace un soggetto nonostante la mancata regolare notifica;
5) violazione e falsa applicazione degli articolo 2909 c.c., articoli 112 e 324 c.p.c., avendo il giudice d’appello sostenuto che la qualita’ di amministratrice della (OMISSIS) era stata confermata anche nella sentenza definitiva del 2005, senza che pero’ l’appellante avesse censurato nuovamente tale affermazione, pur gia’ contenuta nella sentenza parziale;
6) violazione e falsa applicazione dell’articolo 78 c.p.c., comma 2, articolo 102 c.p.c., articolo 180 c.p.c., comma 1, articolo 354 c.p.c., comma 1, e articolo 24 Cost., per non essersi provveduto alla nomina di un curatore speciale della (OMISSIS) s.n.c allorche’ essa fu convenuta in giudizio di primo grado dal (OMISSIS), stante il conflitto d’interessi tra la societa’ ed il medesimo amministratore ormai unico (dopo l’allegata rinuncia alla carica da parte di (OMISSIS)), a nulla rilevando che in giudizio fossero presenti entrambi i soci di (OMISSIS) s.n.c. (il (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.a.s.), posto che qui essi avevano interessi collidenti;
7) violazione e falsa applicazione dell’articolo 78 c.p.c., comma 2, articolo 102 c.p.c., articolo 157 c.p.c., comma 2, articolo 171 c.p.c., comma 3, articolo 180 c.p.c., comma 1, articolo 354 c.p.c., comma 1, e articolo 24 Cost., per avere la sentenza impugnata ritenuto l’odierna ricorrente priva di interesse a far valere la predetta nullita’ del processo per omessa nomina del curatore speciale alla (OMISSIS) s.n.c.
2.2. – La corte d’appello ha osservato che la notificazione fu bene eseguita a (OMISSIS), in quanto la successiva nomina ad amministratore di (OMISSIS) era stata dichiarata nulla con sentenza passata in giudicato, come emerge anche dai certificati del registro delle imprese, e che comunque la censura dell’appellante sul punto non avesse investito anche la sentenza definitiva di primo grado in cui era stata reiterata la statuizione della sentenza non definitiva in ordine alla validita’ della suddetta notificazione.
Le doglianze sono infondate, per la ragione che l’erronea dichiarazione di contumacia di una parte non e’ di per se’ sola idonea ad incidere sulla validita’ della sentenza, potendo semmai assumere rilievo solo la circostanza che la parte erroneamente dichiarata contumace non fosse stata validamente chiamata a partecipare al giudizio, ma non essendo legittimata a dolersi di cio’ una parte diversa da quella. A cio’ si aggiunga che entrambi i soci della (OMISSIS) s.n.c. erano costituiti nel giudizio di primo grado, e cio’ avrebbe in ogni caso reso superfluo ogni ulteriore atto d’integrazione del contraddittorio.
Quanto alla doglianza di mancata nomina di un curatore speciale della (OMISSIS) s.n.c., ai sensi dell’articolo 78 c.p.c., stante il conflitto d’interessi tra la societa’ e l’attore (OMISSIS), la corte d’appello ha correttamente argomentato che questi non fosse rimasto l’unico amministratore, perche’ restava a quel punto coamministratrice (OMISSIS), onde la notificazione alla medesima e’ pienamente valida.
3.1. – A2) Motivi relativi alla clausola arbitrale.
La ricorrente deduce:
1) violazione degli articolo 1322, 1372, 1418 c.c., articoli 806 e 808 c.p.c., per avere la corte ritenuto incompromettibile in arbitrato irrituale, previsto dall’articolo 14 dell’atto costitutivo della (OMISSIS) s.n.c, la controversia relativa all’esclusione del socio amministratore;
2) violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c. e articolo 12 preleggi, per avere male interpretato la sentenza parziale del tribunale, la quale non aveva affatto affermato che la clausola compromissoria restasse inefficace comportando l’esclusione del socio anche lo scioglimento della societa’ (ratio non censurata con l’atto di appello), ma aveva utilizzato tale ipotesi solo in via esemplificativa delle controversie aventi ad oggetto diritti indisponibili;
3) motivazione contraddittoria sul punto che precede, posto che la societa’ in questione e’ composta di tre soci, onde in nessun caso l’esclusione di uno avrebbe comportato lo scioglimento dell’ente;
4) violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c. e dell’articolo 329 c.p.c., perche’ l’affermazione della incompromettibilita’ della controversia in quanto comportante lo scioglimento della societa’ non costituiva comunque un capo autonomo della sentenza, suscettibile di passare in giudicato;
5) violazione e falsa applicazione degli articolo 1362, 1372, 1418, 1419 c.c., Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 34 articoli 11 e 12 preleggi, perche’, qualora la corte d’appello abbia posto a base della decisione il cenno, contenuto in sentenza, relativo ai riflessi sulla clausola in parola in virtu’ del c.d. arbitrato societario, la conclusione sarebbe errata, per essere l’articolo 34 cit. inapplicabile all’arbitrato irrituale e perche’ restano ammissibili le clausole che non si siano adeguate a tale disposizione (c.d. doppio binario), perlomeno quanto alla previsione residuale di nomina dell’arbitro da parte “del Pretore di Sorrento”, per il caso di mancata nomina da parte del convenuto.
3.2. – Osserva il Collegio che non puo’ condividersi l’assunto secondo cui la revoca dalla carica di amministratore di societa’ costituirebbe un oggetto di lite indisponibile e renderebbe percio’ tale anche la controversia sull’esclusione dalla societa’ che vi e’ connessa: in particolare, nell’ambito di societa’ personali, ove la revoca dipenda da contrasti tra i soci circa la correttezza del comportamento dell’amministratore-socio, non sono ravvisabili interessi generali indisponibili.
Quanto all’argomento, contenuto in sentenza, secondo cui la non compromettibilita’ sarebbe stata condivisibilmente affermata dal tribunale per il fatto che l’esclusione del socio avrebbe potuto provocare lo scioglimento della societa’, occorre in primo luogo rilevare come sia fondato l’assunto interpretativo della ricorrente, secondo cui si trattava di una mera trasposizione di massima giurisprudenziale nel testo della sentenza di primo grado, al cui interno compare il riferimento allo scioglimento della societa’, secondo un principio tuttavia che il tribunale – per tale profilo – non ha fatto proprio, in quanto fattispecie estranea alla vicenda esaminata: ove, invero, i soci della (OMISSIS) erano tre, onde l’esclusione di uno di essi non avrebbe affatto determinato lo scioglimento della societa’.
Neppure convince la sentenza impugnata, laddove adombra che sul punto si sia formato un giudicato interno, perche’, ove pure la pretesa indisponibilita’ della causa di scioglimento costituisse un argomento motivazionale della sentenza di primo grado, essa non formerebbe in nessun caso un autonomo punto di decisione che si sarebbe dovuto impugnare specificamente per impedirne il passaggio in giudicato.
Cio’ posto, occorre considerare peraltro che l’impugnata sentenza contiene una ratio deciderteli sufficiente a sostenere la decisione, infondatamente contrastata dalla ricorrente, basata sul disposto del sopravvenuto Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 34, comma 2, il quale sancisce la nullita’ delle clausole arbitrali ove non deferiscano la nomina degli arbitri a terzi estranei alla societa’. Tale norma comporta l’inefficacia sopravvenuta delle clausole arbitrali non conformi a detta regola, ancorche’ stipulate prima dell’entrata in vigore della stessa, con disposizione applicabile, come questa Corte ha avuto modo di precisare (da ultimo, Cass. 17 febbraio 2014, n. 3665), con principio che si intende ora ribadire, anche all’arbitrato irrituale ed escludendo ogni possibilita’ di considerare la nullita’ come solo parziale. Ne deriva il rigetto di questo gruppo di motivi.
4.1. – A3) Motivi relativi alla deliberazione di esclusione.
Sotto tale profilo di merito, la ricorrente deduce:
1) violazione degli articoli 1730 e 2257 c.c., per avere ritenuto che la delibera di esclusione del (OMISSIS) dalla societa’ (OMISSIS) fosse invalida per il fatto di essere stata assunta con il voto di (OMISSIS), quale amministratore della socia (OMISSIS) s.n.c, senza essere tale: mentre in realta’, secondo la ricorrente, la nullita’ della nomina di (OMISSIS) alla carica di amministratore di (OMISSIS) s.n.c. (accertata, con forza di giudicato, con sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 13 giugno 2000) aveva comportato la decadenza anche dell’altro amministratore (OMISSIS) e, quindi, il passaggio della stessa (OMISSIS) s.n.c. in regime di amministrazione diretta dei soci, tra i quali la (OMISSIS) s.a.s., che proprio da (OMISSIS) era amministrata;
2) violazione degli articolo 1398, 1399 e 2377 c.c., per non avere considerato che comunque la delibera sarebbe stata annullabile, ma non inesistente, ne’ nulla, e sarebbe stata successivamente ratificata;
3) violazione dell’articolo 115 c.p.c., per avere la corte d’appello ritenuto nuova la deduzione circa l’intervenuta ratifica, al contrario proposta sin dal primo grado del giudizio;
4) insufficiente motivazione circa la tempestiva deduzione della predetta ratifica.
4.2. – Il primo motivo e’ infondato.
Non puo’ dirsi che la nullita’ della nomina di (OMISSIS) alla carica di amministratore della (OMISSIS) s.n.c, accertata con sentenza passata in giudicato, abbia comportato la decadenza anche dell’altro amministratore (OMISSIS) e, quindi, il passaggio della prima in regime di amministrazione diretta dei soci, tra i quali la (OMISSIS) s.n.c, amministrata da (OMISSIS). Viceversa, la nullita’ di cui sopra ha provocato la reviviscenza della precedente co-amministratrice (OMISSIS), come chiarito dalla corte del merito nella sentenza impugnata.
4.3. – I motivi dal secondo al quarto, da esaminare congiuntamente per la loro intima connessione, sebbene parzialmente fondati non conducono alla cassazione della sentenza impugnata, che e’ corretta nel dispositivo, dovendosene correggere la sola motivazione, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., u.c..
4.3.1. – La riforma del 2003 ha rielaborato le ragioni di invalidita’ delle deliberazioni assembleari di societa’ di capitali, ricercando il principio di tassativita’ delle ipotesi (annullabilita’ per violazione di norme anche imperative e nullita’ per i casi specificamente indicati) e mirando altresi’ ad eliminare radicalmente la categoria delle “invalidita’ atipiche, come l’inesistenza delle deliberazioni assembleari” (cfr. la Relazione al Decreto Legislativo n. 6 del 2003).
Gia’ nel regime precedente – epoca in cui si inquadrano le vicende di causa – le deliberazioni assunte in violazione di legge o dell’atto costitutivo erano peraltro viziate da mera annullabilita’, ai sensi dell’articolo 2377 c.c., essendo prevista invece la nullita’ dall’articolo 2379 c.c. solo per le ipotesi di impossibilita’ ed illiceita’ dell’oggetto (mantenute nel nuovo regime, che ne ha aggiunte altre, dichiaratamente al fine di espungere la categoria dell’inesistenza): espressione costantemente interpretata con riguardo al contrasto della deliberazione con norme dettate a tutela dell’interesse generale, tale da trascendere quello del singolo socio e dirette ad impedire una deviazione dallo scopo essenziale economico-pratico del rapporto societario; laddove, invece, la violazione di norme poste a tutela di soci o gruppi di soci e’ stata sempre ricondotta al vizio di annullabilita’ (fra le altre, Cass. 15 novembre 2000, n. 14799, sulla convocazione dell’assemblea in sede ordinaria invece che straordinaria e con la presenza irregolare del collegio sindacale; 11 giugno 2003, n. 9353, sull’eccesso di potere nell’aumento del capitale; 12 dicembre 2005, n. 27387, in tema di abuso della regola di maggioranza o di potere, nella deliberazione di scioglimento anticipato di una societa’ e proposizione dell’azione sociale di responsabilita’ nei confronti dell’amministratore; 7 novembre 2008, n. 26842, 20 gennaio 2011, n. 1361 e 16 ottobre 2014, n. 21942, sulla violazione del diritto di opzione).
In particolare, dopo avere, in un primo tempo, discorso di inesistenza nel caso di partecipazione alla deliberazione di persona priva del diritto di voto o non regolarmente investita da parte del titolare di tale diritto (Cass. 27 gennaio 1967, n. 233; ma v. Cass. 4 gennaio 1966, n. 45, secondo cui vi era mera annullabilita’, ove si tratti di vizio del rapporto di rappresentanza che da luogo ad un mero difetto di legittimazione secondaria) e di nullita’ nel caso di deliberazione cui abbia partecipato il delegato di un componente sfornito di potere di rappresentanza in ordine all’argomento oggetto della deliberazione (Cass. 21 ottobre 1987, n. 7754), questa Corte ha, piu’ di recente, stabilito che la partecipazione all’assemblea di una societa’ di capitali di soci privi del diritto di voto, nella specie per aver costituito in pegno le proprie azioni, comporta l’annullabilita’ della delibera adottata con il voto determinante dei soci non legittimati, e non la sua nullita’ ne’ inesistenza (Cass. 10 marzo 1999, n. 2053).
4.3.2. – Per quanto riguarda il regime dell’invalidita’ delle deliberazioni delle societa’ personali, prima della riforma del 2003 si operava, da parte della dottrina, riferimento privilegiato alle norme comuni dei contratti (articolo 1418 c.c. e ss.), mentre da altri, piuttosto, a quella degli “enti” collettivi quali le associazioni (articolo 23 e 24 c.c.)/ il condominio (articolo 1137 c.c.) o senz’altro la s.p.a. (articoli 2373, 2377, 2379), quale modello idoneo a fungere da parametro comune di detti vizi.
La giurisprudenza di questa Corte riconosceva la forza espansiva di alcune regole dettate per la societa’ azionaria, tanto da applicarle persino ad enti privi di scopo di lucro, quali le associazioni, di cui valorizzava il profilo organizzativo sotteso all’assunzione delle decisioni mediante un organo assembleare statutariamente previsto (Cass. 21 ottobre 1987, n. 7754, sulla sostituzione della delibera assembleare di un’associazione non riconosciuta, invalida perche’ adottata con il concorso del delegato di un componente, sfornito del potere di rappresentanza), anche se, per le societa’ di persone, si era fatto piuttosto ricorso all’articolo 1418 c.c., a fronte di una deliberazione assunta senza il consenso di tutti i soci, richiesto ai sensi dell’articolo 2252 c.c. (Cass. 7 giugno 2002, n. 8276).
Si e’, invero, affermato in detta decisione che se, da un lato, “la mancata previsione normativa dell’organo assembleare nelle societa’ di persone non comporta che ne sia vietata la costituzione e che sia preclusa ai soci – allorquando debbano esprimere il proprio consenso nelle materie di cui agli articoli 2252, 2215 e 2301, articolo 2251, comma 2; articolo 2258, comma 2; articolo 2322, comma 2 – la possibilita’ di riunirsi in assemblea per deliberare appunto, cosi come richiesto dai detti articoli, alla unanimita’ ovvero a maggioranza”, dall’altro lato “quanto poi alla disciplina della validita’/invalidita’ di tali (eventuali) delibere – esclusa l’applicabilita’ degli articoli 2311 e 2319 c.c. … in quanto dettati con specifico riferimento alle (sole) deliberazioni assembleari delle societa’ per azioni, in ragione della prevalenza degli elementi oggettivi, su quelli soggettivi, di struttura di dette societa’ – va fatta, viceversa, applicazione, per le societa’ di persone, dei principi generali sulle patologie degli atti negoziali plurisoggettivi”. Con la conseguenza che dalla violazione di norme imperative come quella dell’articolo 2252 c.c. (specificativa del principio generale di immodificabilita’ del contratto senza il consenso dei contraenti) discendesse la nullita’ della delibera societaria ex articolo 1418 c.c..
4.3.3. – Sembra al Collegio, in via generale, piu’ convincente ritenere che, nei limiti della compatibilita’, il regime dell’invalidita’ delle deliberazioni assembleari delle societa’ personali vada piuttosto modulato su quello degli articolo 2377 c.c. e ss.
Nel bilanciamento tra l’interesse a reagire all’illegittimita’ dell’atto e l’interesse alla stabilita’ dell’azione collettiva, occorre valorizzare, piu’ che la valenza generale della disciplina comune dei contratti, il fatto che le societa’ di persone commerciali appartengono al sottosistema del diritto societario retto da autonomi principi e valori: onde, ai sensi dell’articolo 12 preleggi, laddove non sussista una specifica disciplina, la materia piu’ affine da considerare in tema di invalidita’ delle deliberazioni assembleari, dove sussiste il fine primario della continuazione dell’attivita’ sociale, e’ quella delle societa’ di capitali.
La forza espansiva della disciplina degli organi di societa’ azionaria, la quale trova il suo fondamento nel primato dell’organizzazione, a sua volta funzionale al buon andamento della vita sociale, era insita nel sistema antecedente alla riforma del 2003 per le societa’ a responsabilita’ limitata, il cui regime era ampiamente disegnato con la tecnica del rinvio (articolo 2486 c.c., vecchio testo). Anche nel nuovo sistema, che pure ne valorizza i profili personalistici, l’articolo 2479-ter c.c., nel dettare le regole di invalidita’ delle decisioni dei soci, richiama l’applicazione, in quanto compatibili, degli articolo 2377 c.c., commi 1, 5, 7, 8 e 9 articoli 2378, 2319-bis, 2379-ter e 2434-bis, ossia in sostanza all’intero regime generale dell’invalidita’ delle deliberazioni delle societa’ azionarie.
Quanto alle societa’ personali – allorche’, come nella specie, lo statuto abbia previsto un procedimento formale di assunzione delle deliberazioni mediante l’organo collegiale – parimenti appare corretto operare in via di principio analogo riferimento al regime d’invalidita’ proprio della societa’ per azioni, e cio’ gia’ nelle fattispecie anteriori all’entrata in vigore della piu’ volte menzionata riforma (mentre, per le fattispecie successive, la conclusione appare tanto piu’ corretta, tenuto conto, ad esempio, dell’articolo 2361 c.c. sulla lecita partecipazione di societa’ per azioni a societa’ personale, purche’ deliberata dall’assemblea, con conseguente esigenza di una disciplina organizzativa di queste ultime piu’ affine ai principi e valori del diritto societario; o dell’articolo 2479-ter, il quale, richiamando il regime delle s.p.a. allorche’ la s.r.l. abbia scelto il procedimento assembleare, sembra dettare un criterio logico generale in tema di invalidita’, per tutte le societa’ che, pur a spiccata connotazione personalistica, nello statuto adottino la struttura corporativa).
Occorre ricordare che il riconoscimento di una sicura analoga esigenza di stabilita’ e tutela dell’agire dell’impresa collettiva si trovava gia’ negli articoli 2504-quater e 2506-ter c.c., in tema di salvezza degli effetti della fusione o scissione dopo l’iscrizione dell’atto nel registro delle imprese, principio ora esteso, con l’articolo 2500-bis c.c., anche alla trasformazione: tutte regole, com’e’ noto, valide anche per le societa’ personali; nonche’ nella ritenuta applicabilita’ dell’articolo 2332 c.c. all’invalidita’ del contratto di societa’ di persone (Cass. 19 gennaio 1995, n. 565; 2 aprile 1999, n. 3166).
Si impone dunque la considerazione che la societa’ commerciale, dotata o no di personalita’ giuridica, opera mediante una struttura organizzativa per realizzare lo scopo sociale che ne ha promosso la costituzione; in particolare, anche la societa’ personale viene sovente articolata in uno o piu’ organi sociali ed i soci regolamentano i rapporti interni mediante il procedimento assembleare delineato dallo statuto, che, se ne lascia permanere i profili di specialita’ (come per il termine di impugnazione dell’esclusione ex articolo 2287 c.c., comma 2), laddove non diversamente regolato sembra avvicinarla alle regole comuni delle societa’ di capitali.
4.3.4. – Posto che la deliberazione, nell’ipotesi di illegittima rappresentanza in assemblea del socio-ente collettivo, e’ viziata da annullabilita’, occorre poi chiarire come si leghi tale regime a quello della falsa rappresentanza nel rapporto negoziale, occorrendo distinguere il vizio del singolo voto nel rapporto interno, dal vizio della deliberazione cui esso abbia concorso.
Se il primo si inquadra nel regime della falsa rappresentanza nei contratti, di cui all’articolo 1398 c.c. (cfr., nella materia condominiale, Cass. 27 marzo 2003, n. 4531), il secondo va ricondotto al sistema del diritto societario; e, mentre l’articolo 1399 c.c. prevede la ratificabilita’, ad opera del soggetto mal rappresentato, dell’atto inefficace, mediante un negozio del dominus negotii che manifesti chiaramente l’approvazione dell’operato del falsus procurator, resta da valutare poi quale sia la situazione della deliberazione assembleare fino al momento della ratifica, nonche’ quella ad essa successiva.
Reputa il Collegio che il singolo voto, palesato in assemblea in nome e per conto dell’ente-socio da un falsus procurator, resti inefficace, onde e’ inidoneo a produrre l’effetto di concorrere alla manifestazione della volonta’ assembleare, con la conseguenza ulteriore che la deliberazione in tal modo assunta si rivela annullabile, in virtu’ dell’applicazione del principio intrasocietario di cui all’articolo 2377 c.c., nel testo ratione temporis vigente (come accadrebbe in caso di violazione dell’articolo 2372 c.c.; al riguardo, la nuova disciplina precisa che l’annullabilita’ richiede si tratti di voto determinante, ma cio’ si riteneva in via interpretativa gia’ in precedenza: v. Cass. 20 gennaio 2011, n. 1361 e 10 marzo 1999, n. 2053).
Non sembra, invece, possibile restringere al solo socio mal rappresentato la tutela avverso la situazione di falsa rappresentanza, almeno quanto alle conseguenze della mancata ratifica. Se, cioe’, e’ esclusiva facolta’ del socio falsamente rappresentato, secondo il diritto dei contratti, provvedere alla ratifica del voto viziato, quel voto concorre pero’ alla manifestazione della volonta’ assembleare, inserendosi nell’ambito dell’organizzazione collettiva: come, percio’, all’assemblea non sarebbe precluso di sanare l’invalidita’ mediante sostituzione della deliberazione viziata con altra assunta in conformita’ alla legge e all’atto costitutivo (articolo 2377 c.c., u.c., ed ora commi 8 e 9), cosi’ ogni legittimato attivo puo’ agire, al pari dello stesso socio mal rappresentato che ne abbia interesse, per l’annullamento della deliberazione, perche’ l’invalidita’ del singolo voto si traduce in un vizio del procedimento deliberativo, che qualunque socio puo’ far valere secondo le regole organizzative della rappresentanza assembleare ed, in generale, del procedimento stesso, le quali si affiancano e prevalgono, a quel punto, sul profilo intersoggettivo interno.
Se l’inefficacia del voto espresso in violazione delle regole sulla rappresentanza (sia essa volontaria od organica) si riflette sulla validita’ della deliberazione assembleare, e se tale conseguenza discende quale sanzione di diritto societario, ne deriva insomma che ciascun socio assente o dissenziente, con gli altri legittimati attivi ex articolo 2377 c.c., comma 2, puo’ agire per l’annullamento della deliberazione.
4.3.5. – Il vizio di rappresentanza in capo al soggetto che, in nome e per conto della societa’ personale-socia, abbia espresso il voto favorevole alla esclusione dell’altro socio, e’ suscettibile di essere sanato dalla ratifica da parte dell’interessato, ai sensi dell’articolo 1399 c.c..
Ma l’intervenuta ratifica, che produce sotto il profilo interno gli effetti di cui all’articolo 1399 c.c., e’ idonea ad escludere altresi’ l’annullabilita’ della deliberazione (quanto alla retroattivita’ dell’effetto sanante, dispone l’articolo 1399 c.c., comma 2, mentre la tutela dei terzi e’ propria del sistema d’invalidita’ della deliberazione societaria: cfr. articolo 2377 c.c., u.c., ed ora commi 7 e 9).
A fronte dell’impugnazione proposta dal legittimato attivo per l’annullamento della deliberazione, pertanto, la societa’ potra’ opporre, in via di eccezione, la ratifica sopravvenuta con effetto retroattivo.
Trattandosi di eccezione in senso stretto, essa segue la relativa disciplina processuale (cfr. Cass. 9 giugno 1987, n. 5040); mentre l’accertamento del giudice di merito in ordine alla sussistenza della ratifica costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimita’ se sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici (Cass. 14 aprile 2006, n. 8876).
4.3.6. – In conclusione, va enunciato il seguente principio di diritto: “La deliberazione assembleare di esclusione del socio da una societa’ personale, assunta con il voto di una societa’ partecipante rappresentata da un falsus procurator, e’ viziata da annullabilita’, in quanto il diritto di partecipare all’assemblea e’ tutelato dalla legge in funzione dell’interesse individuale dei soci ed il contrasto con norme, anche cogenti, rivolte alla tutela di tale interesse determina un’ipotesi di mera annullabilita’, in applicazione analogica dell’articolo 2377 c.c.; il voto cosi’ espresso, invalido per vizio di rappresentanza, e’ peraltro suscettibile di ratifica, proveniente dalla medesima societa’ legittimamente rappresentata, ai sensi dell’articolo 1399 c.c., restando compito esclusivo del giudice del merito accertare l’integrazione della fattispecie sanante, su eccezione della parte interessata a farla valere”.
4.3.7. – Dal principio enunciato consegue che, nella specie, il vizio di annullabilita’, sussistente in base alle regole sulla rappresentanza nei negozi, era sanabile mediante ratifica.
La corte d’appello ha respinto la tesi della sussistenza di tale atto che, nell’assunto della ricorrente, sarebbe intervenuto, sulla base di una duplice ratio deciderteli: ravvisando un’eccezione nuova, inammissibile perche’ non svolta in prime cure; perche’, in ogni caso, l’esistenza di una ratifica non e’ stata provata.
Sotto il primo profilo, la ricorrente sostiene di avere viceversa eccepito sin dal primo grado tale nuova situazione: ma, contrariamente a quanto dedotto, cio’ non risulta affatto, essendosi la stessa limitata nel verbale ad un elenco di documenti depositati.
Sotto il secondo profilo, l’accertamento in fatto circa l’insussistenza di una ratifica, contenuto nella sentenza impugnata, non e’ stato in alcun modo confutato nel ricorso.
5.1. – B) Giudizio vertente sulla domanda di esclusione dalla (OMISSIS) s.n.c. della socia (OMISSIS) s.a.s..
B1) Motivi relativi alla compromettibilita’ in arbitri. Si deduce:
1) violazione dell’articolo 112 c.p.c., per avere la corte d’appello omesso qualsiasi decisione circa l’eccezione di arbitrato irrituale, gia’ respinta dal tribunale con la sua sentenza definitiva, con riguardo al giudizio in questione r.g. n. 1323/98;
2) violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, – in via subordinata al motivo precedente – per avere la corte d’appello omesso di motivare la decisione circa l’infondatezza dell’eccezione di arbitrato, laddove si voglia ravvisarne il rigetto implicito;
5.2. – Questi motivi investono la causa riunita, avente ad oggetto la pretesa di esclusione della socia (OMISSIS) s.a.s. dalla compagine sociale della (OMISSIS) s.n.c. e sono volti a denunciare il fatto che, anche con riferimento a questa causa, si era posta una questione di arbitrato, essendovi nello statuto della (OMISSIS) s.n.c. una clausola arbitrale analoga a quella della (OMISSIS), su cui la corte d’appello non si e’ pronunciata, o almeno certamente non lo ha fatto espressamente.
Orbene, l’impugnata sentenza si occupa dell’eccezione di arbitrato solo con riguardo alla causa concernente la (OMISSIS); peraltro, le ragioni sopra enunciate -implicanti l’inefficacia sopravvenuta di detta clausola – valgono anche nei riguardi dell’atto costitutivo della (OMISSIS): da cio’ discende, dunque, il difetto d’interesse della ricorrente a far valere le doglianze in esame.
6.1. – B2) Motivi relativi al rigetto della domanda riconvenzionale di esclusione del (OMISSIS) da (OMISSIS) s.n.c.
La ricorrente deduce:
1) violazione e falsa applicazione degli articolo 1375 e 2286 c.c., per non avere ritenuto che l’ostruzionismo del (OMISSIS) a procedere alla nomina del nuovo organo amministrativo integrasse la causa di legittima esclusione dalla societa’;
2) omessa motivazione sul punto che precede;
3) omessa motivazione sulle istanze probatorie per tesi, volte a provare l’abuso dei suoi diritti di socio da parte del (OMISSIS).
6.2. – I motivi in esame, che concernono il rigetto della domanda riconvenzionale con cui era stata chiesta l’estromissione del socio (OMISSIS) dalla (OMISSIS) s.n.c, costituiscono doglianze attinenti al merito, le quali, sotto l’egida del vizio di motivazione o di violazione di legge, mirano in realta’ a ripetere il giudizio in fatto e, dunque, non sono prospettabili in questa sede.
7. – In conclusione, il ricorso va respinto in ogni suo aspetto.
8. – Le spese del giudizio seguono la soccombenza
Questa Corte ha gia’ chiarito che il ricorso graficamente confezionato in modo tale che siano riprodotti con procedimento fotografico (o similare) gli atti dei pregressi gradi e i documenti ivi depositati, tra di loro giustapposti con mere proposizioni di collegamento, e’ inammissibile per violazione del criterio dell’autosufficienza, in quanto cio’ onera la corte di cassazione di procedere alla lettura di tali atti, similmente a quanto avviene in ipotesi di mero rinvio ad essi, non potendosi al contrario ritenere assolta da elementi estranei al ricorso la funzione riassuntiva (fra le altre, Cass., ord. 24 luglio 2013, n. 18020; 9 febbraio 2012, n. 1905; sez. un., ord. 9 settembre 2010, n. 19255), essendosi precisato che il principio non e’ rispettato neppure allorche’ l’esposizione sommaria dei fatti di causa possa desumersi per estrapolazione dall’illustrazione dei motivi (Cass., ord. 16 gennaio 2014, n. 784). Cio’ perche’ la riproduzione di atti e documenti nel corpo del ricorso, per un verso, e’ del tutto superflua, non essendo affatto richiesto che si dia meticoloso conto di tutti i momenti nei quali la vicenda processuale si e’ articolata; per altro verso, e’ inidonea a soddisfare la necessita’ della sintetica esposizione dei fatti, in quanto equivale ad affidare alla corte la scelta di quanto effettivamente rileva in ordine ai motivi di ricorso (Cass., sez. un., 11 aprile 2012, n. 5698). Occorre dunque, per superare il vaglio di ammissibilita’, che il ricorso contenga autonomamente – una volta eliminate le parti inammissibilmente in esso riprodotte – la narrazione degli antefatti e della vicenda processuale e l’illustrazione dei motivi per i quali si chiede la cassazione (Cass., sez. un., ord. 24 febbraio 2014, n. 4324).
Reputa il Collegio che, nella specie, il ricorso possa sfuggire alla sanzione dell’inammissibilita’, perche’ le pagine autonomamente redatte espongono in maniera sufficiente i fatti ed il motivi, pur una volta estrapolate – come e’ necessario – le fotocopie di altri atti in esso riprodotte, onde tale dovuta operazione ne lascia permanere l’intelligibilita’.
2. – I motivi di ricorso, secondo le partizioni della ricorrente, possono essere sintetizzati, e decisi, come segue.
2.1. – A) Giudizio d’impugnazione della deliberazione di esclusione del socio (OMISSIS) in data 9 giugno 1998.
A1) Motivi relativi alla declaratoria di contumacia della (OMISSIS) s.n.c. in primo grado.
La ricorrente deduce:
1) violazione dell’articolo 2909 c.c. e articolo 12 preleggi, per avere la corte territoriale disatteso il motivo concernente l’erronea dichiarazione di contumacia in primo grado della (OMISSIS) s.n.c, cui l’atto di citazione fu notificato a mani di (OMISSIS), avendo la corte del merito ritenuto che costei fosse ancora amministratrice, in quanto dichiarato giudizialmente nullo l’atto del 9 febbraio 1998 con cui si era inteso sostituire alla medesima altro amministratore: senza, tuttavia, considerare la giusta portata di quel giudicato di tribunale, che non riguardava la (OMISSIS) s.a.s., mentre dalla perdita della qualita’ di amministratrice di quest’ultima non poteva che discendere anche la perdita della medesima qualita’ nella (OMISSIS) s.n.c, dalla prima partecipata;
2) violazione e falsa applicazione dell’articolo 2193 c.c., per avere la sentenza impugnata fondato detto convincimento anche sulle risultanze del registro delle imprese, che non sono decisive ed avverso cui e’ ammessa la prova contraria;
3) omessa motivazione su fatto decisivo della controversia, ossia la rinuncia comunque operata da (OMISSIS), a parte ogni sua revoca, alla carica gestoria della (OMISSIS) s.n.c.;
4) violazione e falsa applicazione dell’articolo 75 c.p.c., comma 3, articolo 160 c.p.c., articolo 171 c.p.c., comma 3 e articolo 291 c.p.c., per avere di conseguenza ritenuto contumace un soggetto nonostante la mancata regolare notifica;
5) violazione e falsa applicazione degli articolo 2909 c.c., articoli 112 e 324 c.p.c., avendo il giudice d’appello sostenuto che la qualita’ di amministratrice della (OMISSIS) era stata confermata anche nella sentenza definitiva del 2005, senza che pero’ l’appellante avesse censurato nuovamente tale affermazione, pur gia’ contenuta nella sentenza parziale;
6) violazione e falsa applicazione dell’articolo 78 c.p.c., comma 2, articolo 102 c.p.c., articolo 180 c.p.c., comma 1, articolo 354 c.p.c., comma 1, e articolo 24 Cost., per non essersi provveduto alla nomina di un curatore speciale della (OMISSIS) s.n.c allorche’ essa fu convenuta in giudizio di primo grado dal (OMISSIS), stante il conflitto d’interessi tra la societa’ ed il medesimo amministratore ormai unico (dopo l’allegata rinuncia alla carica da parte di (OMISSIS)), a nulla rilevando che in giudizio fossero presenti entrambi i soci di (OMISSIS) s.n.c. (il (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.a.s.), posto che qui essi avevano interessi collidenti;
7) violazione e falsa applicazione dell’articolo 78 c.p.c., comma 2, articolo 102 c.p.c., articolo 157 c.p.c., comma 2, articolo 171 c.p.c., comma 3, articolo 180 c.p.c., comma 1, articolo 354 c.p.c., comma 1, e articolo 24 Cost., per avere la sentenza impugnata ritenuto l’odierna ricorrente priva di interesse a far valere la predetta nullita’ del processo per omessa nomina del curatore speciale alla (OMISSIS) s.n.c.
2.2. – La corte d’appello ha osservato che la notificazione fu bene eseguita a (OMISSIS), in quanto la successiva nomina ad amministratore di (OMISSIS) era stata dichiarata nulla con sentenza passata in giudicato, come emerge anche dai certificati del registro delle imprese, e che comunque la censura dell’appellante sul punto non avesse investito anche la sentenza definitiva di primo grado in cui era stata reiterata la statuizione della sentenza non definitiva in ordine alla validita’ della suddetta notificazione.
Le doglianze sono infondate, per la ragione che l’erronea dichiarazione di contumacia di una parte non e’ di per se’ sola idonea ad incidere sulla validita’ della sentenza, potendo semmai assumere rilievo solo la circostanza che la parte erroneamente dichiarata contumace non fosse stata validamente chiamata a partecipare al giudizio, ma non essendo legittimata a dolersi di cio’ una parte diversa da quella. A cio’ si aggiunga che entrambi i soci della (OMISSIS) s.n.c. erano costituiti nel giudizio di primo grado, e cio’ avrebbe in ogni caso reso superfluo ogni ulteriore atto d’integrazione del contraddittorio.
Quanto alla doglianza di mancata nomina di un curatore speciale della (OMISSIS) s.n.c., ai sensi dell’articolo 78 c.p.c., stante il conflitto d’interessi tra la societa’ e l’attore (OMISSIS), la corte d’appello ha correttamente argomentato che questi non fosse rimasto l’unico amministratore, perche’ restava a quel punto coamministratrice (OMISSIS), onde la notificazione alla medesima e’ pienamente valida.
3.1. – A2) Motivi relativi alla clausola arbitrale.
La ricorrente deduce:
1) violazione degli articolo 1322, 1372, 1418 c.c., articoli 806 e 808 c.p.c., per avere la corte ritenuto incompromettibile in arbitrato irrituale, previsto dall’articolo 14 dell’atto costitutivo della (OMISSIS) s.n.c, la controversia relativa all’esclusione del socio amministratore;
2) violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c. e articolo 12 preleggi, per avere male interpretato la sentenza parziale del tribunale, la quale non aveva affatto affermato che la clausola compromissoria restasse inefficace comportando l’esclusione del socio anche lo scioglimento della societa’ (ratio non censurata con l’atto di appello), ma aveva utilizzato tale ipotesi solo in via esemplificativa delle controversie aventi ad oggetto diritti indisponibili;
3) motivazione contraddittoria sul punto che precede, posto che la societa’ in questione e’ composta di tre soci, onde in nessun caso l’esclusione di uno avrebbe comportato lo scioglimento dell’ente;
4) violazione e falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c. e dell’articolo 329 c.p.c., perche’ l’affermazione della incompromettibilita’ della controversia in quanto comportante lo scioglimento della societa’ non costituiva comunque un capo autonomo della sentenza, suscettibile di passare in giudicato;
5) violazione e falsa applicazione degli articolo 1362, 1372, 1418, 1419 c.c., Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 34 articoli 11 e 12 preleggi, perche’, qualora la corte d’appello abbia posto a base della decisione il cenno, contenuto in sentenza, relativo ai riflessi sulla clausola in parola in virtu’ del c.d. arbitrato societario, la conclusione sarebbe errata, per essere l’articolo 34 cit. inapplicabile all’arbitrato irrituale e perche’ restano ammissibili le clausole che non si siano adeguate a tale disposizione (c.d. doppio binario), perlomeno quanto alla previsione residuale di nomina dell’arbitro da parte “del Pretore di Sorrento”, per il caso di mancata nomina da parte del convenuto.
3.2. – Osserva il Collegio che non puo’ condividersi l’assunto secondo cui la revoca dalla carica di amministratore di societa’ costituirebbe un oggetto di lite indisponibile e renderebbe percio’ tale anche la controversia sull’esclusione dalla societa’ che vi e’ connessa: in particolare, nell’ambito di societa’ personali, ove la revoca dipenda da contrasti tra i soci circa la correttezza del comportamento dell’amministratore-socio, non sono ravvisabili interessi generali indisponibili.
Quanto all’argomento, contenuto in sentenza, secondo cui la non compromettibilita’ sarebbe stata condivisibilmente affermata dal tribunale per il fatto che l’esclusione del socio avrebbe potuto provocare lo scioglimento della societa’, occorre in primo luogo rilevare come sia fondato l’assunto interpretativo della ricorrente, secondo cui si trattava di una mera trasposizione di massima giurisprudenziale nel testo della sentenza di primo grado, al cui interno compare il riferimento allo scioglimento della societa’, secondo un principio tuttavia che il tribunale – per tale profilo – non ha fatto proprio, in quanto fattispecie estranea alla vicenda esaminata: ove, invero, i soci della (OMISSIS) erano tre, onde l’esclusione di uno di essi non avrebbe affatto determinato lo scioglimento della societa’.
Neppure convince la sentenza impugnata, laddove adombra che sul punto si sia formato un giudicato interno, perche’, ove pure la pretesa indisponibilita’ della causa di scioglimento costituisse un argomento motivazionale della sentenza di primo grado, essa non formerebbe in nessun caso un autonomo punto di decisione che si sarebbe dovuto impugnare specificamente per impedirne il passaggio in giudicato.
Cio’ posto, occorre considerare peraltro che l’impugnata sentenza contiene una ratio deciderteli sufficiente a sostenere la decisione, infondatamente contrastata dalla ricorrente, basata sul disposto del sopravvenuto Decreto Legislativo n. 5 del 2003, articolo 34, comma 2, il quale sancisce la nullita’ delle clausole arbitrali ove non deferiscano la nomina degli arbitri a terzi estranei alla societa’. Tale norma comporta l’inefficacia sopravvenuta delle clausole arbitrali non conformi a detta regola, ancorche’ stipulate prima dell’entrata in vigore della stessa, con disposizione applicabile, come questa Corte ha avuto modo di precisare (da ultimo, Cass. 17 febbraio 2014, n. 3665), con principio che si intende ora ribadire, anche all’arbitrato irrituale ed escludendo ogni possibilita’ di considerare la nullita’ come solo parziale. Ne deriva il rigetto di questo gruppo di motivi.
4.1. – A3) Motivi relativi alla deliberazione di esclusione.
Sotto tale profilo di merito, la ricorrente deduce:
1) violazione degli articoli 1730 e 2257 c.c., per avere ritenuto che la delibera di esclusione del (OMISSIS) dalla societa’ (OMISSIS) fosse invalida per il fatto di essere stata assunta con il voto di (OMISSIS), quale amministratore della socia (OMISSIS) s.n.c, senza essere tale: mentre in realta’, secondo la ricorrente, la nullita’ della nomina di (OMISSIS) alla carica di amministratore di (OMISSIS) s.n.c. (accertata, con forza di giudicato, con sentenza del Tribunale di Torre Annunziata del 13 giugno 2000) aveva comportato la decadenza anche dell’altro amministratore (OMISSIS) e, quindi, il passaggio della stessa (OMISSIS) s.n.c. in regime di amministrazione diretta dei soci, tra i quali la (OMISSIS) s.a.s., che proprio da (OMISSIS) era amministrata;
2) violazione degli articolo 1398, 1399 e 2377 c.c., per non avere considerato che comunque la delibera sarebbe stata annullabile, ma non inesistente, ne’ nulla, e sarebbe stata successivamente ratificata;
3) violazione dell’articolo 115 c.p.c., per avere la corte d’appello ritenuto nuova la deduzione circa l’intervenuta ratifica, al contrario proposta sin dal primo grado del giudizio;
4) insufficiente motivazione circa la tempestiva deduzione della predetta ratifica.
4.2. – Il primo motivo e’ infondato.
Non puo’ dirsi che la nullita’ della nomina di (OMISSIS) alla carica di amministratore della (OMISSIS) s.n.c, accertata con sentenza passata in giudicato, abbia comportato la decadenza anche dell’altro amministratore (OMISSIS) e, quindi, il passaggio della prima in regime di amministrazione diretta dei soci, tra i quali la (OMISSIS) s.n.c, amministrata da (OMISSIS). Viceversa, la nullita’ di cui sopra ha provocato la reviviscenza della precedente co-amministratrice (OMISSIS), come chiarito dalla corte del merito nella sentenza impugnata.
4.3. – I motivi dal secondo al quarto, da esaminare congiuntamente per la loro intima connessione, sebbene parzialmente fondati non conducono alla cassazione della sentenza impugnata, che e’ corretta nel dispositivo, dovendosene correggere la sola motivazione, ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., u.c..
4.3.1. – La riforma del 2003 ha rielaborato le ragioni di invalidita’ delle deliberazioni assembleari di societa’ di capitali, ricercando il principio di tassativita’ delle ipotesi (annullabilita’ per violazione di norme anche imperative e nullita’ per i casi specificamente indicati) e mirando altresi’ ad eliminare radicalmente la categoria delle “invalidita’ atipiche, come l’inesistenza delle deliberazioni assembleari” (cfr. la Relazione al Decreto Legislativo n. 6 del 2003).
Gia’ nel regime precedente – epoca in cui si inquadrano le vicende di causa – le deliberazioni assunte in violazione di legge o dell’atto costitutivo erano peraltro viziate da mera annullabilita’, ai sensi dell’articolo 2377 c.c., essendo prevista invece la nullita’ dall’articolo 2379 c.c. solo per le ipotesi di impossibilita’ ed illiceita’ dell’oggetto (mantenute nel nuovo regime, che ne ha aggiunte altre, dichiaratamente al fine di espungere la categoria dell’inesistenza): espressione costantemente interpretata con riguardo al contrasto della deliberazione con norme dettate a tutela dell’interesse generale, tale da trascendere quello del singolo socio e dirette ad impedire una deviazione dallo scopo essenziale economico-pratico del rapporto societario; laddove, invece, la violazione di norme poste a tutela di soci o gruppi di soci e’ stata sempre ricondotta al vizio di annullabilita’ (fra le altre, Cass. 15 novembre 2000, n. 14799, sulla convocazione dell’assemblea in sede ordinaria invece che straordinaria e con la presenza irregolare del collegio sindacale; 11 giugno 2003, n. 9353, sull’eccesso di potere nell’aumento del capitale; 12 dicembre 2005, n. 27387, in tema di abuso della regola di maggioranza o di potere, nella deliberazione di scioglimento anticipato di una societa’ e proposizione dell’azione sociale di responsabilita’ nei confronti dell’amministratore; 7 novembre 2008, n. 26842, 20 gennaio 2011, n. 1361 e 16 ottobre 2014, n. 21942, sulla violazione del diritto di opzione).
In particolare, dopo avere, in un primo tempo, discorso di inesistenza nel caso di partecipazione alla deliberazione di persona priva del diritto di voto o non regolarmente investita da parte del titolare di tale diritto (Cass. 27 gennaio 1967, n. 233; ma v. Cass. 4 gennaio 1966, n. 45, secondo cui vi era mera annullabilita’, ove si tratti di vizio del rapporto di rappresentanza che da luogo ad un mero difetto di legittimazione secondaria) e di nullita’ nel caso di deliberazione cui abbia partecipato il delegato di un componente sfornito di potere di rappresentanza in ordine all’argomento oggetto della deliberazione (Cass. 21 ottobre 1987, n. 7754), questa Corte ha, piu’ di recente, stabilito che la partecipazione all’assemblea di una societa’ di capitali di soci privi del diritto di voto, nella specie per aver costituito in pegno le proprie azioni, comporta l’annullabilita’ della delibera adottata con il voto determinante dei soci non legittimati, e non la sua nullita’ ne’ inesistenza (Cass. 10 marzo 1999, n. 2053).
4.3.2. – Per quanto riguarda il regime dell’invalidita’ delle deliberazioni delle societa’ personali, prima della riforma del 2003 si operava, da parte della dottrina, riferimento privilegiato alle norme comuni dei contratti (articolo 1418 c.c. e ss.), mentre da altri, piuttosto, a quella degli “enti” collettivi quali le associazioni (articolo 23 e 24 c.c.)/ il condominio (articolo 1137 c.c.) o senz’altro la s.p.a. (articoli 2373, 2377, 2379), quale modello idoneo a fungere da parametro comune di detti vizi.
La giurisprudenza di questa Corte riconosceva la forza espansiva di alcune regole dettate per la societa’ azionaria, tanto da applicarle persino ad enti privi di scopo di lucro, quali le associazioni, di cui valorizzava il profilo organizzativo sotteso all’assunzione delle decisioni mediante un organo assembleare statutariamente previsto (Cass. 21 ottobre 1987, n. 7754, sulla sostituzione della delibera assembleare di un’associazione non riconosciuta, invalida perche’ adottata con il concorso del delegato di un componente, sfornito del potere di rappresentanza), anche se, per le societa’ di persone, si era fatto piuttosto ricorso all’articolo 1418 c.c., a fronte di una deliberazione assunta senza il consenso di tutti i soci, richiesto ai sensi dell’articolo 2252 c.c. (Cass. 7 giugno 2002, n. 8276).
Si e’, invero, affermato in detta decisione che se, da un lato, “la mancata previsione normativa dell’organo assembleare nelle societa’ di persone non comporta che ne sia vietata la costituzione e che sia preclusa ai soci – allorquando debbano esprimere il proprio consenso nelle materie di cui agli articoli 2252, 2215 e 2301, articolo 2251, comma 2; articolo 2258, comma 2; articolo 2322, comma 2 – la possibilita’ di riunirsi in assemblea per deliberare appunto, cosi come richiesto dai detti articoli, alla unanimita’ ovvero a maggioranza”, dall’altro lato “quanto poi alla disciplina della validita’/invalidita’ di tali (eventuali) delibere – esclusa l’applicabilita’ degli articoli 2311 e 2319 c.c. … in quanto dettati con specifico riferimento alle (sole) deliberazioni assembleari delle societa’ per azioni, in ragione della prevalenza degli elementi oggettivi, su quelli soggettivi, di struttura di dette societa’ – va fatta, viceversa, applicazione, per le societa’ di persone, dei principi generali sulle patologie degli atti negoziali plurisoggettivi”. Con la conseguenza che dalla violazione di norme imperative come quella dell’articolo 2252 c.c. (specificativa del principio generale di immodificabilita’ del contratto senza il consenso dei contraenti) discendesse la nullita’ della delibera societaria ex articolo 1418 c.c..
4.3.3. – Sembra al Collegio, in via generale, piu’ convincente ritenere che, nei limiti della compatibilita’, il regime dell’invalidita’ delle deliberazioni assembleari delle societa’ personali vada piuttosto modulato su quello degli articolo 2377 c.c. e ss.
Nel bilanciamento tra l’interesse a reagire all’illegittimita’ dell’atto e l’interesse alla stabilita’ dell’azione collettiva, occorre valorizzare, piu’ che la valenza generale della disciplina comune dei contratti, il fatto che le societa’ di persone commerciali appartengono al sottosistema del diritto societario retto da autonomi principi e valori: onde, ai sensi dell’articolo 12 preleggi, laddove non sussista una specifica disciplina, la materia piu’ affine da considerare in tema di invalidita’ delle deliberazioni assembleari, dove sussiste il fine primario della continuazione dell’attivita’ sociale, e’ quella delle societa’ di capitali.
La forza espansiva della disciplina degli organi di societa’ azionaria, la quale trova il suo fondamento nel primato dell’organizzazione, a sua volta funzionale al buon andamento della vita sociale, era insita nel sistema antecedente alla riforma del 2003 per le societa’ a responsabilita’ limitata, il cui regime era ampiamente disegnato con la tecnica del rinvio (articolo 2486 c.c., vecchio testo). Anche nel nuovo sistema, che pure ne valorizza i profili personalistici, l’articolo 2479-ter c.c., nel dettare le regole di invalidita’ delle decisioni dei soci, richiama l’applicazione, in quanto compatibili, degli articolo 2377 c.c., commi 1, 5, 7, 8 e 9 articoli 2378, 2319-bis, 2379-ter e 2434-bis, ossia in sostanza all’intero regime generale dell’invalidita’ delle deliberazioni delle societa’ azionarie.
Quanto alle societa’ personali – allorche’, come nella specie, lo statuto abbia previsto un procedimento formale di assunzione delle deliberazioni mediante l’organo collegiale – parimenti appare corretto operare in via di principio analogo riferimento al regime d’invalidita’ proprio della societa’ per azioni, e cio’ gia’ nelle fattispecie anteriori all’entrata in vigore della piu’ volte menzionata riforma (mentre, per le fattispecie successive, la conclusione appare tanto piu’ corretta, tenuto conto, ad esempio, dell’articolo 2361 c.c. sulla lecita partecipazione di societa’ per azioni a societa’ personale, purche’ deliberata dall’assemblea, con conseguente esigenza di una disciplina organizzativa di queste ultime piu’ affine ai principi e valori del diritto societario; o dell’articolo 2479-ter, il quale, richiamando il regime delle s.p.a. allorche’ la s.r.l. abbia scelto il procedimento assembleare, sembra dettare un criterio logico generale in tema di invalidita’, per tutte le societa’ che, pur a spiccata connotazione personalistica, nello statuto adottino la struttura corporativa).
Occorre ricordare che il riconoscimento di una sicura analoga esigenza di stabilita’ e tutela dell’agire dell’impresa collettiva si trovava gia’ negli articoli 2504-quater e 2506-ter c.c., in tema di salvezza degli effetti della fusione o scissione dopo l’iscrizione dell’atto nel registro delle imprese, principio ora esteso, con l’articolo 2500-bis c.c., anche alla trasformazione: tutte regole, com’e’ noto, valide anche per le societa’ personali; nonche’ nella ritenuta applicabilita’ dell’articolo 2332 c.c. all’invalidita’ del contratto di societa’ di persone (Cass. 19 gennaio 1995, n. 565; 2 aprile 1999, n. 3166).
Si impone dunque la considerazione che la societa’ commerciale, dotata o no di personalita’ giuridica, opera mediante una struttura organizzativa per realizzare lo scopo sociale che ne ha promosso la costituzione; in particolare, anche la societa’ personale viene sovente articolata in uno o piu’ organi sociali ed i soci regolamentano i rapporti interni mediante il procedimento assembleare delineato dallo statuto, che, se ne lascia permanere i profili di specialita’ (come per il termine di impugnazione dell’esclusione ex articolo 2287 c.c., comma 2), laddove non diversamente regolato sembra avvicinarla alle regole comuni delle societa’ di capitali.
4.3.4. – Posto che la deliberazione, nell’ipotesi di illegittima rappresentanza in assemblea del socio-ente collettivo, e’ viziata da annullabilita’, occorre poi chiarire come si leghi tale regime a quello della falsa rappresentanza nel rapporto negoziale, occorrendo distinguere il vizio del singolo voto nel rapporto interno, dal vizio della deliberazione cui esso abbia concorso.
Se il primo si inquadra nel regime della falsa rappresentanza nei contratti, di cui all’articolo 1398 c.c. (cfr., nella materia condominiale, Cass. 27 marzo 2003, n. 4531), il secondo va ricondotto al sistema del diritto societario; e, mentre l’articolo 1399 c.c. prevede la ratificabilita’, ad opera del soggetto mal rappresentato, dell’atto inefficace, mediante un negozio del dominus negotii che manifesti chiaramente l’approvazione dell’operato del falsus procurator, resta da valutare poi quale sia la situazione della deliberazione assembleare fino al momento della ratifica, nonche’ quella ad essa successiva.
Reputa il Collegio che il singolo voto, palesato in assemblea in nome e per conto dell’ente-socio da un falsus procurator, resti inefficace, onde e’ inidoneo a produrre l’effetto di concorrere alla manifestazione della volonta’ assembleare, con la conseguenza ulteriore che la deliberazione in tal modo assunta si rivela annullabile, in virtu’ dell’applicazione del principio intrasocietario di cui all’articolo 2377 c.c., nel testo ratione temporis vigente (come accadrebbe in caso di violazione dell’articolo 2372 c.c.; al riguardo, la nuova disciplina precisa che l’annullabilita’ richiede si tratti di voto determinante, ma cio’ si riteneva in via interpretativa gia’ in precedenza: v. Cass. 20 gennaio 2011, n. 1361 e 10 marzo 1999, n. 2053).
Non sembra, invece, possibile restringere al solo socio mal rappresentato la tutela avverso la situazione di falsa rappresentanza, almeno quanto alle conseguenze della mancata ratifica. Se, cioe’, e’ esclusiva facolta’ del socio falsamente rappresentato, secondo il diritto dei contratti, provvedere alla ratifica del voto viziato, quel voto concorre pero’ alla manifestazione della volonta’ assembleare, inserendosi nell’ambito dell’organizzazione collettiva: come, percio’, all’assemblea non sarebbe precluso di sanare l’invalidita’ mediante sostituzione della deliberazione viziata con altra assunta in conformita’ alla legge e all’atto costitutivo (articolo 2377 c.c., u.c., ed ora commi 8 e 9), cosi’ ogni legittimato attivo puo’ agire, al pari dello stesso socio mal rappresentato che ne abbia interesse, per l’annullamento della deliberazione, perche’ l’invalidita’ del singolo voto si traduce in un vizio del procedimento deliberativo, che qualunque socio puo’ far valere secondo le regole organizzative della rappresentanza assembleare ed, in generale, del procedimento stesso, le quali si affiancano e prevalgono, a quel punto, sul profilo intersoggettivo interno.
Se l’inefficacia del voto espresso in violazione delle regole sulla rappresentanza (sia essa volontaria od organica) si riflette sulla validita’ della deliberazione assembleare, e se tale conseguenza discende quale sanzione di diritto societario, ne deriva insomma che ciascun socio assente o dissenziente, con gli altri legittimati attivi ex articolo 2377 c.c., comma 2, puo’ agire per l’annullamento della deliberazione.
4.3.5. – Il vizio di rappresentanza in capo al soggetto che, in nome e per conto della societa’ personale-socia, abbia espresso il voto favorevole alla esclusione dell’altro socio, e’ suscettibile di essere sanato dalla ratifica da parte dell’interessato, ai sensi dell’articolo 1399 c.c..
Ma l’intervenuta ratifica, che produce sotto il profilo interno gli effetti di cui all’articolo 1399 c.c., e’ idonea ad escludere altresi’ l’annullabilita’ della deliberazione (quanto alla retroattivita’ dell’effetto sanante, dispone l’articolo 1399 c.c., comma 2, mentre la tutela dei terzi e’ propria del sistema d’invalidita’ della deliberazione societaria: cfr. articolo 2377 c.c., u.c., ed ora commi 7 e 9).
A fronte dell’impugnazione proposta dal legittimato attivo per l’annullamento della deliberazione, pertanto, la societa’ potra’ opporre, in via di eccezione, la ratifica sopravvenuta con effetto retroattivo.
Trattandosi di eccezione in senso stretto, essa segue la relativa disciplina processuale (cfr. Cass. 9 giugno 1987, n. 5040); mentre l’accertamento del giudice di merito in ordine alla sussistenza della ratifica costituisce apprezzamento di fatto, incensurabile in sede di legittimita’ se sorretto da motivazione congrua ed esente da vizi logici e giuridici (Cass. 14 aprile 2006, n. 8876).
4.3.6. – In conclusione, va enunciato il seguente principio di diritto: “La deliberazione assembleare di esclusione del socio da una societa’ personale, assunta con il voto di una societa’ partecipante rappresentata da un falsus procurator, e’ viziata da annullabilita’, in quanto il diritto di partecipare all’assemblea e’ tutelato dalla legge in funzione dell’interesse individuale dei soci ed il contrasto con norme, anche cogenti, rivolte alla tutela di tale interesse determina un’ipotesi di mera annullabilita’, in applicazione analogica dell’articolo 2377 c.c.; il voto cosi’ espresso, invalido per vizio di rappresentanza, e’ peraltro suscettibile di ratifica, proveniente dalla medesima societa’ legittimamente rappresentata, ai sensi dell’articolo 1399 c.c., restando compito esclusivo del giudice del merito accertare l’integrazione della fattispecie sanante, su eccezione della parte interessata a farla valere”.
4.3.7. – Dal principio enunciato consegue che, nella specie, il vizio di annullabilita’, sussistente in base alle regole sulla rappresentanza nei negozi, era sanabile mediante ratifica.
La corte d’appello ha respinto la tesi della sussistenza di tale atto che, nell’assunto della ricorrente, sarebbe intervenuto, sulla base di una duplice ratio deciderteli: ravvisando un’eccezione nuova, inammissibile perche’ non svolta in prime cure; perche’, in ogni caso, l’esistenza di una ratifica non e’ stata provata.
Sotto il primo profilo, la ricorrente sostiene di avere viceversa eccepito sin dal primo grado tale nuova situazione: ma, contrariamente a quanto dedotto, cio’ non risulta affatto, essendosi la stessa limitata nel verbale ad un elenco di documenti depositati.
Sotto il secondo profilo, l’accertamento in fatto circa l’insussistenza di una ratifica, contenuto nella sentenza impugnata, non e’ stato in alcun modo confutato nel ricorso.
5.1. – B) Giudizio vertente sulla domanda di esclusione dalla (OMISSIS) s.n.c. della socia (OMISSIS) s.a.s..
B1) Motivi relativi alla compromettibilita’ in arbitri. Si deduce:
1) violazione dell’articolo 112 c.p.c., per avere la corte d’appello omesso qualsiasi decisione circa l’eccezione di arbitrato irrituale, gia’ respinta dal tribunale con la sua sentenza definitiva, con riguardo al giudizio in questione r.g. n. 1323/98;
2) violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4, – in via subordinata al motivo precedente – per avere la corte d’appello omesso di motivare la decisione circa l’infondatezza dell’eccezione di arbitrato, laddove si voglia ravvisarne il rigetto implicito;
5.2. – Questi motivi investono la causa riunita, avente ad oggetto la pretesa di esclusione della socia (OMISSIS) s.a.s. dalla compagine sociale della (OMISSIS) s.n.c. e sono volti a denunciare il fatto che, anche con riferimento a questa causa, si era posta una questione di arbitrato, essendovi nello statuto della (OMISSIS) s.n.c. una clausola arbitrale analoga a quella della (OMISSIS), su cui la corte d’appello non si e’ pronunciata, o almeno certamente non lo ha fatto espressamente.
Orbene, l’impugnata sentenza si occupa dell’eccezione di arbitrato solo con riguardo alla causa concernente la (OMISSIS); peraltro, le ragioni sopra enunciate -implicanti l’inefficacia sopravvenuta di detta clausola – valgono anche nei riguardi dell’atto costitutivo della (OMISSIS): da cio’ discende, dunque, il difetto d’interesse della ricorrente a far valere le doglianze in esame.
6.1. – B2) Motivi relativi al rigetto della domanda riconvenzionale di esclusione del (OMISSIS) da (OMISSIS) s.n.c.
La ricorrente deduce:
1) violazione e falsa applicazione degli articolo 1375 e 2286 c.c., per non avere ritenuto che l’ostruzionismo del (OMISSIS) a procedere alla nomina del nuovo organo amministrativo integrasse la causa di legittima esclusione dalla societa’;
2) omessa motivazione sul punto che precede;
3) omessa motivazione sulle istanze probatorie per tesi, volte a provare l’abuso dei suoi diritti di socio da parte del (OMISSIS).
6.2. – I motivi in esame, che concernono il rigetto della domanda riconvenzionale con cui era stata chiesta l’estromissione del socio (OMISSIS) dalla (OMISSIS) s.n.c, costituiscono doglianze attinenti al merito, le quali, sotto l’egida del vizio di motivazione o di violazione di legge, mirano in realta’ a ripetere il giudizio in fatto e, dunque, non sono prospettabili in questa sede.
7. – In conclusione, il ricorso va respinto in ogni suo aspetto.
8. – Le spese del giudizio seguono la soccombenza
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 10,200,00, di cui euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfetarie ed agli accessori, come per legge.
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