cassazione 5

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 27 febbraio 2015, n. 8860

Ritenuto in fatto e considerato in diritto

1. Il Tribunale di sorveglianza di Bologna, con ordinanza del 24 giugno 2014, ammetteva F.A. alla misura della detenzione domiciliare speciale di cui all’art. 47-quinquies l. 354/1975 per il residuo pena da espiare, pari, a quella data, ad anni tredici di reclusione.
A sostegno della decisione il tribunale, verificata preliminarmente l’ammissibilità della domanda e richiamata la condanna in espiazione a sedici anni di reclusione per aver ucciso il proprio figlio di anni tre, il (omissis) , richiamava: la osservazione scientifica della personalità della condannata redatta presso la Casa circondariale di Bologna, la relazione dell’esperto psicologo di cui all’art. 80 O.P., l’ammissione, a far tempo dal mese di ottobre 2013, al lavoro esterno, la perizia medico-legale disposta dal tribunale il 21.1.2014 al fine di valutare il grado di pericolosità sociale della detenuta, perizia arricchita dai test di Rorsarchach, MMPI-2 e Bender, la consulenza tecnica di ufficio, che ha registrato una PCL (psychopathy checklist-revised) favorevole alla periziata, il supplemento di indagine di ufficio disposto dal tribunale all’udienza del 29 aprile 2014, la relazione del Servizio sociale del Comune di (omissis) sui figli della detenuta ed, in generale, sulla situazione del suo nucleo familiare e, sulla base dei relativi esiti, puntualmente sintetizzati e criticamente valutati, ha concluso per l’accoglimento della istanza della detenuta sul duplice presupposto dell’assenza di una situazione di pericolosità sociale specifica, di una situazione ampiamente comprovata di difficoltà esistenziale del figlio G. riferibile all’assenza fisica della madre e della utilità della misura al ripristino della convivenza con la mamma.
2. Ricorre per cassazione avverso detto provvedimento il Procuratore generale della repubblica di Bologna contestandone la legittimità per vizio della motivazione e violazione di legge, in particolare osservando: non ricorre nella fattispecie uno dei requisiti richiesti dalla legge per la legittima adozione della misura in discussione, giacché, allo stato, il figlio G. , alla cui cura la misura sarebbe finalizzata, ha una età superiore ad anni dieci, né può convenirsi con la tesi del tribunale, secondo cui il requisito andrebbe verificato al momento della domanda e non già a quello dell’adozione della misura, come logicamente deducibile dal testo del comma 8 della norma di riferimento; la condannata non ha mai ammesso il delitto in espiazione e secondo quanto emerso dalle relazioni in atti, manifesta sentimenti esibizionistici e bisogno di centralità, narcisismo, in realtà non compatibili con la ritenuta capacità di provvedere alla cura ed all’assistenza dei figli; sul pericolo di recidiva non può non annotarsi che la motivazione del delitto sia stata individuata, nella sentenza di condanna, nella preoccupazione della donna per le condizioni di salute del figlio, di guisa che non può non evidenziarsi che il tribunale ha escluso un pericolo di recidiva e di pericolosità sociale specifica nonostante l’attuale situazione, come prospettata con la misura in discussione, sia del tutto alla prima parallela.
3. Con argomentata requisitoria scritta il P.G. in sede ha concluso per il rigetto del ricorso, rilevando l’ammissibilità della domanda difensiva e la esaustiva logicità della motivazione articolata dal tribunale.
4. Il ricorso è fondato nella misura e nei limiti che si passa ad esporre.
4.1 Preliminarmente va dichiarata infondatata, l’eccezione processuale opposta dal procuratore ricorrente circa l’ammissibilità della domanda per difetto del requisito dell’età indicato dall’art. 47 quinquies O.P..
La norma richiamata, come è noto, detta, per quanto di interesse: 47-quinquies. Detenzione domiciliare speciale.
1. Quando non ricorrono le condizioni di cui all’articolo 47-ter, le condannate madri di prole di età non superiore ad anni dieci, se non sussiste un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e se vi è la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, possono essere ammesse ad espiare la pena nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, ovvero in luogo di cura, assistenza o accoglienza, al fine di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli, dopo l’espiazione di almeno un terzo della pena ovvero dopo l’espiazione di almeno quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo, secondo le modalità di cui al comma 1-bis.
Le tesi a confronto sono presto dette, da una parte il procuratore ricorrente, ad avviso del quale il compimento o meno del decimo anno di età del figlio minore è requisito che deve ricorrere al momento in cui la misura viene adottata, dall’altra il P.G. in sede, per il quale il requisito va temporalmente parametrato al momento della domanda.
Concorda la Corte con tale seconda opzione normativa. Va in primo luogo richiamato il principio procedimentale di ordine generale, in forza del quale ogni effetto sostanziale collegato ad una domanda idonea a provocare l’inizio di un procedimento, sia esso di natura giurisdizionale ovvero amministrativa, di regola comporta che gli effetti eventualmente positivi collegati a tale domanda retroagiscano al momento in sui essa diviene giuridicamente apprezzabile (per il suo deposito ovvero per la notifica). Nel caso in esame, come opportunamente annotato sia nel provvedimento impugnato che nella requisitoria del P.G. in sede, l’interessata produsse la domanda di ammissione al beneficio per cui è causa il 10 giugno 2012, momento in cui il figlio G. , nato nel gennaio 2003, non aveva ancora compiuto il decimo anno di età. Tale domanda venne dichiarata inammissibile dal tribunale adito sul rilievo, dichiarato errato dal giudice di legittimità in sede di impugnazione della declaratoria detta, che l’istante era stata dichiarata cessata dalla potestà genitoriale, mentre la stessa era stata da essa semplicemente sospesa; la decisione favorevole alla F. è stata pertanto adottata il 24 giugno 2014 in sede di rinvio disposto dalla Corte di Cassazione.
In costanza di siffatte esigenze processuali non può non convenirsi che le more processuali, peraltro significativamente collegate ad un error in procedendo di una delle autorità giudiziarie coinvolte nel procedimento, non può ricadere a carico di chi non ha responsabilità alcuna né per il vizio processuale cagione del rinvio, né in generale per le more dell’intergiudiziario. Di qui la conclusioni in diritto che, “ai fini della corretta applicazione del primo comma dell’art. 47- quinquies O.P., che ha confermato il medesimo limite di età di cui all’art. 47-ter co. 1, lett. a), il requisito della legittimazione alla domanda dato dall’età del figlio alla cui cura la misura è finalizzata, età che per la norma non deve essere superiore ad anni dieci, deve ricorrere al momento del deposito della domanda e non già a quello in cui il tribunale adito delibera la decisione, non potendo riverberare in danno del condannato i tempi processuali resisi in concreto necessari”.
Nel caso concreto, pertanto, la domanda proposta dalla condannata è stata legittimamente proposta in riferimento alla disciplina normativa portata dal primo comma della norma in esame.
4.2 Ciò chiarito, era preciso dovere del Tribunale di sorveglianza esaminare nel merito la domanda ed all’esito di tale esame, e sulla base di un’ampia argomentazione, il Tribunale ha ritenuto di addivenire all’accoglimento della domanda stessa. Tale giudizio è stato contestato dal P.G. con i rilievi riportati in parte narrativa.
Il ricorso del P.G. è da ritenersi, sotto il profilo in esame, infondato. Al riguardo la Corte osserva.
L’ordinamento penitenziario ha avuto cura, fin dalla sua emanazione, di assicurare particolare attenzione alla maternità delle detenute ed all’infanzia coinvolta nelle vicende carcerarie dei genitori; ne sono dimostrazione i servizi speciali offerti alle gestanti (art. 11 O.P.), la possibilità offerta alle madri di tenere presso di sé i figli fino a tre anni, l’organizzazione possibile di asili nido negli istituti di detenzione, la semilibertà offerta alle madri di età inferiore a tre anni (art. 50 O.P.).
Detto quadro normativo, ispirato a principi solidaristici verso gli infanti profondamente sentiti dalla comunità nazionale, è stato ulteriormente arricchito con la introduzione della detenzione domiciliare (art. 47-ter O.P.) reso possibile in favore di minori dapprima fino all’età di anni tre eppoi di anni cinque, fino all’attuale limite non superiore a dieci anni.
L’evolversi peraltro delle sensibilità sociali e l’affermasi internazionale di norme pattizie sempre più incisivamente indirizzate alla tutela dell’infanzia in generale e di quella disagiata in particolare e la stessa norma costituzionale di cui all’art. 31 (a conferma di una straordinaria valenza legislativa, frutto di lungimiranza politica, della nostra suprema carta) hanno indotto il legislatore a rafforzare il complesso normativo ordinario attraverso il quale dare maggiore applicazione nell’ordinamento giuridico positivo ai principi dell’art. 31 Cost. appena citato; di qui la legge 40/2001 “misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori” finalizzata all’abolizione della carcerazione indotta dei minori e ad assicurare una assistenza materna continua in un ambiente familiare.
Tra le innovazioni di tale importante iniziativa legislativa, quali l’estensione dell’istituto del rinvio obbligatorio facoltativo fruibile da parte delle madri di prole inferiore, rispettivamente, ad anni uno e ad anni tre, l’assistenza esterna dei figli minori se marginali o inadeguate le strutture ordinarie, certamente più apprezzabile è stata l’introduzione dell’art. 47-quinquies O.P. e con esso dell’istituto della detenzione domiciliare speciale, con la finalità dichiarata (relaz. ministeriale al disegno di legge e lavori parlamentari) di dare attuazione al dettato dell’art. 31 Cost., al fine di salvaguardare il rapporto genitore-figli e, soprattutto, di tutelare lo sviluppo psicofisico del minore con la presenza dei genitori ancorché condannati.
La novellata disciplina, peraltro, ha consentito l’adeguamento del nostro ordinamento alle raccomandazioni del Comitato dei ministri del Consiglio di Europa (racc. 2000/1469) sul tema.
Nello specifico, le finalità della legge, indicate nella cura e nell’assistenza dei figli, risultano perseguite, e torniamo al primo comma della norma citata, attraverso la indicazioni di specifici requisiti: le condannate istanti devono essere madri di prole di età non superiore ad anni dieci, non deve sussistere un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti, deve ricorrere la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli, la detenuta deve aver espiato almeno un terzo della pena ovvero quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo.
Nel caso in esame le critiche svolte dal P.G. territoriale hanno riguardato la congruità e la logicità della motivazione sviluppata dal tribunale al fine di escludere la ricorrenza, nello specifico, di un apprezzabile grado di pericolosità sociale riferibile alla F. . Tali censure appaiono caratterizzate da carattere alternativo a quanto assai diffusamente, ed in assenza di vizi logici, argomentato dal tribunale.
Il quale ha richiamato gli esiti dell’osservazione carceraria, le relazioni peritali e di parte, il comportamento detentivo della interessata (permessi premio, lavoro esterno in godimento, partecipazione attiva a numerose opportunità create intra moenia) per poi delibare, anche in questo caso con l’ausilio di relazioni dei servizi sociali, il rapporto familiare della F. con i figli ed il marito e le necessità indotte dal disagio esistenziale del figlio G. , alla cui cura il provvedimento è direttamente finalizzato.
Neppure può trovare ingresso, atteso il lungo tempo trascorso dalla tristissima vicenda che ha portato alla condanna della F. , il suggestivo schema dialettico rappresentato dal procuratore ricorrente là dove ha posto a confronto, evidenziandone la sovrapponibilità, le motivazioni che portarono la madre all’omicidio del (…) con l’attuale finalità di cura del figlio G. .
Attualmente è stata esclusa dal tribunale, motivatamente e sulla base di una serie di accertamenti peritali e accertamenti istituzionali, la pericolosità sociale della condannata, la quale ha, invero, partecipato positivamente ad un insistito processo risocializzante e rieducativo, e dovrà altresì attenersi alle rigorose e finalizzate prescrizioni imposte dal tribunale con l’ordinanza per cui è causa.
Alla stregua delle esposte considerazioni, ritiene la Corte che le doglianze del procuratore ricorrente circa il merito del provvedimento impugnato non siano condivisibili.
4.3 Fondata appare, viceversa, l’impugnazione del procuratore ricorrente, ancorché per ragioni in parte diverse da quelle in essa sviluppate, in riferimento al ritenuto contrasto dell’ordinanza in scrutinio con l’ottavo comma della norma in esame, il quale, come è noto, a sua volta dispone:
“Al compimento del decimo anno di età del figlio, su domanda del soggetto già ammesso alla detenzione domiciliare speciale, il tribunale di sorveglianza può:
a) disporre la proroga del beneficio, se ricorrono i requisiti per l’applicazione della semilibertà di cui all’articolo 50, commi 2, 3 e
5………”.
Orbene, come già innanzi evidenziato, nella concreta ipotesi portata all’esame di legittimità il figlio della detenuta, nel tempo intercorso tra la domanda e la deliberazione positiva del tribunale, ha superato il decimo anno di età e di questo la Corte non ha tenuto adeguatamente conto.
L’esame della disciplina positiva, infatti, rende evidente che il legislatore ha articolato un doppio regime normativo, l’uno per regolare l’ipotesi di figli di età inferiore a dieci anni, l’altro per regolare l’ipotesi di figli di età superiore, differenzazione del tutto logica, perché finalizzata a contemperare le esigenze perseguite dalla legge, ed innanzi precisate, con quelle di non eludere del tutto la pretesa punitiva dello Stato e le finalità proprie della espiazione della pena.
Eppertanto, in tale logica legislativa l’articolo 47-quinquies regolamenta con requisiti diversi, riferiti principalmente a quello relativo alla parte di pena effettivamente espiata, le due ipotesi dette.
Tornando quindi, come di necessità, al caso in scrutinio, la situazione procedimentale venutasi a creare è quella di una valutazione, come detto corretta, della prima ipotesi, quella del figlio al di sotto dei dieci anni, in relazione alla quale è stata correttamente ritenuta la legittimità della domanda delibata e la ricorrenza dei requisiti di legge, ed una totale pretermissione della seconda ipotesi, nel frattempo maturata, in continuità con la prima, con il superamento, da parte di G. , del decimo anno di età, circostanza questa che comporta la necessità di verificare la ricorrenza di requisiti diversi per il mantenimento della misura, verifica nel concreto mancata. E questo ritenendo che la domanda iniziale, valga, una volta maturato il dato temporale considerato dall’ottavo comma in esame senza l’emissione tempestiva di una pronuncia favorevole, come implicita e automatica istanza di proroga della misura (adempimento richiesto dalla legge), tenuto conto, da un lato, che una formale istanza in tal senso non poteva essere presentata in mancanza dell’accoglimento della domanda originaria, e, dall’altro, che la sostanziale volontà di ottenere il beneficio anche al di là del raggiungimento dei dieci anni da parte del figlio era insita nel fatto di aver mantenuto in piedi il procedimento, che l’esplicito dato normativo impone, per essa (proroga) una specifica domanda dell’interessata.
Dalle esposte considerazioni consegue che l’ordinanza impugnata si appalesa illegittima nella parte in cui, dopo aver correttamente delibato la sussistenza delle condizioni richieste dalla legge in relazione al momento della presentazione iniziale della domanda, non ha tenuto conto che, essendo stato superato, al momento della decisione, il limite dei dieci anni del minore, era necessario, per dare positivo corso alla misura, di fatto divenuta soggetta a prorogabilità contestualmente alla sua (tardiva) concessione, verificare la sussistenza dei (diversi) requisiti cui la legge subordina la concedibilità della proroga.
5. L’ordinanza impugnata va pertanto annullata con rinvio al giudice a quo affinché riesamini la domanda proposta dalla detenuta alla luce dell’ulteriore, seguente principio di diritto: “in tema di detenzione domiciliare speciale di cui all’art. 47-quinquies O.P., qualora tra la domanda della detenuta ed il momento della decisione muti il requisito dell’età del figlio (che in tale periodo raggiunge il decimo anno di età) il tribunale di sorveglianza adito dovrà considerare la domanda principale alla stregua, altresì, di una domanda di proroga della misura eppertanto valutare la ricorrenza non soltanto dei requisiti richiesti per il riconoscimento della misura dal primo comma dell’art. 47-quinquies, bensì anche quelli di cui al successivo ottavo comma, giacché è da considerarsi illegittima la misura in discorso in costanza di prole superiore ad anni dieci se non ricorrenti i requisiti di cui a detto comma”.

P.Q.M.

la Corte, annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Bologna.

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