Cassazione 10

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 23 febbraio 2016, n. 3479

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FORTE Fabrizio – Presidente

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere

Dott. ACIERNO Maria – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS), (p.e.c.: (OMISSIS)) che lo rappresenta e difende per mandato in calce al foglio allegato al ricorso ;

– ricorrente –

nei confronti di:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avv. (OMISSIS) ((OMISSIS)), rappresentato e difeso, per mandato a margine del controricorso, dall’avv. (OMISSIS) ((OMISSIS));

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1488/2013 della Corte d’appello di Palermo emessa in data 17 luglio 2013 e depositata il 7 ottobre 2013, R.6. n. 857/2012;

sentito il Pubblico Ministero in persona del sostituto procuratore generale Dott. CERONI Francesca, che ha concluso per l’inammissibilita’ o in subordine il rigetto del ricorso.

FATTO E DIRITTO

Rilevato che:

1. Il Tribunale di Termini Imerese, con sentenza del 15-16 marzo 2011, ha dichiarato che (OMISSIS) e’ il padre di (OMISSIS), nato a (OMISSIS) da (OMISSIS). Nella motivazione della sentenza si da atto dell’esito delle prove testimoniali e del ripetuto e non giustificato rifiuto del (OMISSIS) a sottoporsi ai prelievi genetici disposti dal C.T.U..

2. La Corte di appello di Palermo, con sentenza n. 1488/13, ha respinto l’impugnazione del (OMISSIS) ritenendo insussistenti le cause di nullita’ della sentenza denunciate con il gravame (omessa esposizione sintetica delle ragioni di fatto e diritto della decisione e delle conclusioni delle parti) e corretta la valutazione del materiale probatorio, specificamente delle deposizioni testimoniali addotte da entrambe le parti. Ha inoltre rilevato la conformita’ alla giurisprudenza di legittimita’ della valutazione del rifiuto del (OMISSIS) a sottoporsi agli accertamenti peritali, rifiuto attuato con un comportamento ostruzionistico e non giustificato da reali ragioni ostative alla presentazione alle numerose convocazioni disposte dal CTU.

3. Propone ricorso per cassazione (OMISSIS) affidandosi a quattro motivi di impugnazione.

4. Si difende con controricorso (OMISSIS) e deposita memoria difensiva.

Ritenuto che:

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce che la Corte di appello di Palermo, accogliendo il primo motivo di appello, doveva dichiarare la nullita’ e inefficacia della sentenza n. 124/11, emessa dal Tribunale di Termini Imerese in data 15/16 marzo 2011, per violazione dell’articolo 132 c.p.c.. Il ricorrente ritiene che la sentenza di primo grado non contiene la benche’ minima esposizione delle ragioni di fatto e diritto della decisione e l’esame delle rispettive conclusioni delle parti.

2. Il motivo e’ palesemente inammissibile in quanto del tutto privo di autosufficienza e intesto a impugnare il contenuto e le motivazioni della sentenza di primo grado che come lo stesso ricorrente riporta nel suo motivo si e’ improntata al principio della liberta’ di prova di cui all’articolo 269 c.c., comma, e ha valorizzato le dichiarazioni delle parti e dei testimoni fra cui quella del fratello dell’odierno ricorrente.

3. Con il secondo motivo di ricorso si lamenta l’insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata e l’omesso esame di risultanze decisive. Il ricorrente afferma che la Corte di appello, prima della decisione del merito della controversia, doveva disporre, come era stato richiesto dall’appellante, l’espletamento della C.T.U., disposta dal Tribunale con l’ordinanza 5 maggio 2008, con coevo accertamento di quanto dedotto dal C.T. di parte prof. (OMISSIS) con la relazione del 15 maggio 2008 e non doveva ritenere che (OMISSIS) si era rifiutato di sottoporsi agli esami genetici, oggetto dell’ordinanza.

4. Il motivo e’ inammissibile in quanto consiste in una contestazione di merito alla decisione della Corte di appello di ritenere concretizzato un rifiuto da parte del (OMISSIS) di sottoporsi ai test genetici disposti con la C.T.U., decisione che appare estesamente e logicamente motivata dalla Corte distrettuale palermitana (si vedano pagg. 7-9 della motivazione).

5. Con il terzo motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione di norma di diritto (nuovo testo dell’articolo 274 c.c.) ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, e omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione e omesso esame di fatti decisivi per il giudizio ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5. Il ricorrente ritiene che, ai sensi della Legge n. 151 del 1975, che ha modificato il testo dell’articolo 274 c.c., comma 1, la dichiarazione giudiziale di paternita’ deve essere fondata su specifiche circostanze che attestino i rapporti sessuali fra le parti e che non possono essere provate con le dichiarazioni delle parti o con valutazioni indiziarie.

Contrariamente a quanto ha fatto la Corte di appello, che ha solamente accertato l’esistenza di una relazione sentimentale intercorsa fra le parti fra il 1968 e il 1975, la dichiarazione di paternita’ poteva essere fondata solo su una prova certa della convivenza e del rapporto sessuale fra la madre e il presunto padre. Era necessaria altresi’ la prova di un comportamento del presunto padre tale da dimostrare il riconoscimento della paternita’. Nella specie i testi si sono limitati a riferire su una generica complessita’ della relazione sentimentale. La deposizione del teste (OMISSIS), fratello del ricorrente, il quale ha dichiarato che il (OMISSIS) aveva rapporti sessuali con la (OMISSIS) pur non essendo formalmente il suo fidanzato, deve ritenersi inattendibile, secondo il ricorrente, per i gravi contrasti e risentimenti esistenti nei rapporti con il fratello.

6. Il motivo e’ infondato. La Corte di appello ha correttamente fornito i riferimenti giurisprudenziali necessari in tema di dichiarazione giudiziale di paternita’ naturale, secondo cui, deve escludersi qualsiasi subordinazione dell’ammissione degli accertamenti immuno-ematologici all’esito della prova storica sull’esistenza di un rapporto sessuale tra il presunto padre e la madre di quest’ultimo, giacche’ il principio della liberta’ di prova, sancito, in materia, dall’articolo 269 c.c., comma 2, non tollera surrettizie limitazioni, ne’ mediante la fissazione di una sorta di gerarchia assiologica tra i mezzi di prova idonei a dimostrare la paternita’ naturale, ne’, conseguentemente, mediante l’imposizione al giudice di una sorta di “ordine cronologico” nella loro ammissione ed assunzione, a seconda del tipo di prova dedotta, avendo, per converso, tutti i mezzi di prova pari valore per espressa disposizione di legge. Una diversa interpretazione, si risolverebbe in un sostanziale impedimento all’esercizio del diritto di azione garantito dall’articolo 24 Cost., in relazione ad un’azione volta alla tutela di diritti fondamentali attinenti allo status. A tale precedente giurisprudenziale va ricollegato poi l’orientamento ormai consolidato della giurisprudenza di legittimita’ secondo cui, nel giudizio promosso per l’accertamento della paternita’, il rifiuto di sottoporsi ad indagini ematologiche – nella specie opposto da tutti gli eredi legittimi del preteso padre – costituisce un comportamento valutabile da parte del giudice, ex articolo 116 c.p.c., comma 2, di cosi elevato valore indiziario da poter da solo consentire la dimostrazione della fondatezza della domanda (Cass. civ. sezione 1 n. 6025 del 25 marzo 2015, n. 12971 del 24 luglio 2012 e n. 11223 del 21 maggio 2014, secondo cui nel giudizio promosso per la dichiarazione giudiziale di paternita’ naturale, il rifiuto ingiustificato del padre di sottoporsi agli esami ematologici puo’ essere liberamente valutato dal giudice, ai sensi dell’articolo 116 c.p.c., comma 2, anche in assenza di prova dei rapporti sessuali tra le parti, non derivando da cio’ ne’ una restrizione della liberta’ personale del preteso padre, che conserva piena facolta’ di determinazione in merito all’assoggettamento o meno ai prelievi, ne’ una violazione del diritto alla riservatezza, essendo rivolto l’uso dei dati nell’ambito del giudizio solo a fini di giustizia, mentre il sanitario, chiamato a compiere l’accertamento, e’ tenuto al segreto professionale ed al rispetto dalla disciplina in materia di protezione dei dati personali).

7. Nel caso in esame la Corte di appello non ha peraltro fondato sul solo rifiuto di sottoporsi agli accertamenti peritali la dichiarazione di paternita’ ma ha rilevato come da tutte le deposizioni testimoniali emerga la prova di una lunga relazione sentimentale di (OMISSIS) con la madre di (OMISSIS), relazione che viene espressamente riconosciuta come si e’ visto dallo stesso ricorrente il quale pero’ ritiene non provata la convivenza e la consumazione di rapporti sessuali. Se la prova della convivenza deve ritenersi del tutto ininfluente quella della consumazione di rapporti sessuali e’ stata ritenuta dalla Corte di appello sulla base della citata deposizione testimoniale di (OMISSIS) che la Corte di appello ha ritenuto attendibile nonostante i non buoni rapporti con il ricorrente.

8. Il ricorso va pertanto respinto, restando assorbito l’esame del quarto da intendere come richiesta subordinata all’accoglimento del ricorso, e condannato il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in complessivi 4.800 euro, di cui 200 euro per spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalita’ e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dell’articolo 13, comma 1 bis, dello stesso articolo 13.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *