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SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

Sentenza  22 aprile 2013, n. 9662

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIORETTI Francesco Maria – Presidente –

Dott. SALVAGO Salvatore – Consigliere –

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere –

Dott. BISOGNI Giacinto – rel. Consigliere –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso n. 23659/2009 proposto da:

ALBERGO X. S.R.L., elett.te dom.to in ROMA, VIA APRICALE 31, presso l’avv. VITOLO Massimo, che lo rappresenta e difende unitamente all’avv. ILVO TOLU, per procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

Y. di A. R. & C. s.a.s., elett.te dom.ta in ROMA, VIA SARDEGNA 38, presso l’avv. CAPORALE ANTONIO MICHELE, che la rappresenta e difende unitamente all’avv. GIOVANNI FRAU, per procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Corte di Appello di Milano n. 1415/10 emessa il 27 gennaio 2010 e depositata il 12 maggio 2010;

udita la relazione della causa svolta all’udienza del 20 novembre 2012 dal Consigliere Dott. Giacinto Bisogni;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. RUSSO Libertino Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Svolgimento del processo

1. La s.a.s. Y. ha convenuto in giudizio la s.r.l. Albergo X. davanti al Tribunale di Como per accertare il proprio diritto al recesso dalla società adducendo le seguenti cause giustificative in ordine di preferenza: a) effettuazione di una operazione – e cioè la cessione in affitto dell’azienda alberghiera – che aveva sostanzialmente modificato l’oggetto sociale costituito dall’esercizio dell’attività alberghiera; b) deliberazione da parte dell’assemblea straordinaria dei soci, di riduzione della durata della società dall’originario termine del 2100 al 2050, con conseguente soppressione del diritto di recesso del socio spettante, con la precedente durata al 2100, alla stessa stregua di una società con durata a tempo indeterminato; c) effetti negativi che la cessione in locazione dell’azienda alberghiera era destinata a provocare sulla gestione e sugli utili della società, attese le condizioni di favore accordate all’affittuario (una società controllata dallo stesso gruppo familiare che controlla la Albergo X. s.r.l.) per un periodo di ben nove anni rinnovabili alla scadenza per altri nove anni.

2. Il Tribunale di Como, con sentenza non definitiva del 2 maggio 2007, ha accertato il diritto al recesso della Y., rilevando che essa non aveva acconsentito alla eliminazione della causa di recesso prevista dalla legge in relazione alla durata della società.

3. La Corte di appello di Milano ha respinto l’impugnazione della Albergo X. s.r.l., ritenendo assimilabile la fattispecie in esame a quella prevista dall’art. 2473 cod. civi., comma 1, che riconosce il diritto di recesso ai soci che non abbiano consentito alla eliminazione di una o più causa di recesso previste dall’atto costitutivo.

4. Ricorre per cassazione Albergo X. s.r.l. affidandosi a un unico motivo di ricorso con il quale si deduce la erronea e falsa applicazione dell’art. 2473 c.c..

5. Si difende con controricorso Y. di A. R. & C. s.a.s..

Motivi della decisione

6. La censura di erronea e falsa applicazione dell’art. 2473 c.c. è infondata. Sostiene la ricorrente che la Corte di appello avrebbe indebitamente esteso il campo di applicazione della norma citata che prevede esclusivamente ipotesi di recesso legali e tassative o ipotesi previste statutariamente.

7. Questo assunto va ritenuto inconsistente. Dispone infatti l’art. 2473 c.c., al comma 1, che l’atto costitutivo determina le ipotesi in cui il socio può recedere dalla società e le relative modalità.

Prevede la norma che il diritto di recesso compete, in ogni caso, ai soci che non hanno consentito a una serie di ipotesi di modifiche della struttura societaria fra cui rientra quella dell’eliminazione di una o più cause di recesso previste dall’atto costitutivo. Il comma 2, art. 2473 c.c., prevede poi che, nel caso di società contratta a tempo indeterminato, il diritto di recesso compete al socio in ogni momento e può essere esercitato con un preavviso di almeno centottanta giorni ma l’atto costitutivo può prevedere un periodo di preavviso con durata maggiore purchè non superiore ad un anno.

8. Il coordinamento logico di queste disposizioni fa ritenere che il passaggio da un regime di durata a tempo indeterminato della società, che comporta il corollario legale del diritto del socio al recesso ad nutum, a un regime di durata a tempo determinato, che tale regime esclude, equivale – senza che possa parlarsi di indebita estensione delle ipotesi di recesso e di conseguente violazione dell’art. 2473 cod. civ. – a una ipotesi di eliminazione di una causa di recesso.

9. Data questa premessa deve ritenersi che il nucleo della controversia sia costituito dalla assimibilità o meno di una durata statutaria prevista per il 2100 a una durata a tempo indeterminato e ciò, evidentemente, al fine di ritenere se, di fronte a una durata della società fissata in epoca lontana e tale da oltrepassare qualsiasi orizzonte previsionale, non solo della persona fisica ma anche di un soggetto collettivo, sussistano le stesse ragioni che hanno indotto il legislatore ad attribuire il diritto di recesso nelle società contratte a tempo indeterminato.

10. La risposta a tale interrogativo non può che essere, a giudizio di questa Corte, positiva. Sono decisive a tal fine delle considerazioni di ordine sistematico che registrano, da un lato, la conformazione delle società personali sul tempo di vita delle persone fisiche (art. 2285 c.c.). Per altro verso la necessità di distinguere la funzione che nel diritto societario, nel suo complesso, può avere la fissazione della previsione di durata dell’ente. Tale funzione ha lo scopo di optare per una determinazione dell’aspettativa di vita di una società in funzione della possibilità che il progetto di attività, che con essa si intende perseguire, possa essere, sia pure indicativamente, determinato.

Laddove invece, nel caso dell’impossibilità della determinazione prevalgono ragioni di perpetuità del progetto o limiti di individuazione prognostica dello spazio temporale necessario e/o programmato. In tale quadro di riferimento generale è evidente che una data oltremodo lontana nel tempo ha, almeno di norma, l’effetto di far perdere qualsiasi possibilità di ricostruire l’effettiva volontà delle parti circa l’opzione fra una durata a tempo determinato o indeterminato della società. Cosicchè tale indicazione si risolve o in un mero esercizio delimitativo che equivale nella sostanza al significato della mancata determinazione del tempo di durata della società ovvero in un sostanziale intento elusivo degli effetti che si produrrebbero con la dichiarazione di una durata a tempo indeterminato. Evidente in quest’ultimo caso la necessità di un intervento correttivo dell’interprete che garantisca il riconoscimento della tutela accordata dal legislatore al socio in una società che non preveda una determinazione del tempo della sua durata.

11. Inoltre va registrato l’orientamento del legislatore della riforma del diritto societario che è consistito nel potenziare il diritto di recesso, specificamente nella forma della s.r.l., i cui dati distintivi sono frequentemente la ristrettezza della compagine societaria, il carattere familiare dell’investimento e, spesso, della gestione, la non ascrivibilità al modello della società aperta e, quindi, la non facile trasferibilità a terzi dell’investimento effettuato dai soci. Se il legislatore della riforma ha, da un lato, voluto semplificare la gestione e l’esercizio dell’impresa affidata alla s.r.l., differenziandone maggiormente i connotati rispetto a quelli della s.p.a., per altro verso ha voluto tutelare i soci di minoranza favorendo l’accessibilità al recesso come contropartita delle ampie facoltà attribuite al controllo da parte dei soci di maggioranza. Le esigenze di tutela dei soci di minoranza risultano quindi rafforzate per quanto concerne la possibilità di recedere da un investimento che non si riferisce più ai connotati essenziali dell’impresa selezionata dall’investitore. In questo contesto la previsione di poter recedere ad nutum dalla società in ragione della indeterminatezza della sua durata costituisce un profilo di affidamento che il legislatore ha voluto tutelare e che non può essere limitato se non in presenza di un chiaro indicatore della riferibilità del termine finale di vita della società ad un orizzonte razionalmente collegato al progetto imprenditoriale che ne costituisce l’oggetto.

12. Per tutte queste ragioni si ritiene corretta l’interpretazione dell’art. 2473 c.c., da parte dei giudici di merito in relazione a una durata della società al 31 dicembre 2100 che è stata ritenuta equivalente a una durata a tempo indeterminato.

13. Il ricorso va pertanto respinto con condanna della s.r.l.

ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese processuali del giudizio di cassazione che liquida in complessivi 5.200 Euro di cui 200 per esborsi.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 20 novembre 2012.

Depositato in Cancelleria il 22 aprile 2013.

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