cassazione 7

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 21 marzo 2016, n. 5510

Svolgimento del processo

S.B. ha chiesto, sulla base di quattro motivi, la cassazione del decreto pronunciato dalla Corte d’appello di Reggio Calabria, che, in riforma della decisione del Tribunale di Locri, ha dichiarato il medesimo incandidabile alle prime elezioni regionali, provinciali e circoscrizionali, da svolgersi nel territorio della regione, successive al decreto del 27 giugno 2013 di scioglimento del consiglio comunale di (…).
La corte territoriale ha ritenuto, per quanto ancora rileva, infondata l’eccezione di inammissibilità dell’appello, ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c., per la ragione assorbente che in realtà l’appellante ha contestato la ricostruzione di fatto del primo giudice, non i principi in diritto da esso applicati; ha affermato, quindi, che l’art. 143, 11 comma, d.lgs. n. 267 del 2000, nel testo novellato dalla l. n. 24 del 2009, vada interpretato nel senso che la misura cautelare e preventiva ivi prevista non sia limitata al primo turno elettorale successivo, inteso come prima tornata elettorale amministrativa che abbia luogo nella regione d’interesse dopo l’adozione del provvedimento di scioglimento. Nel merito, analizzati i fatti, ha ritenuto provata la condotta integrante presupposto della incandidabilità.
Non svolge difese il Ministero dell’Interno.

Motivi della decisione

1. – Con il primo motivo, deduce la violazione dell’art. 143, 11 comma, d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, nel testo novellato dall’art. 2, 30 comma, l. 15 luglio 2009, n. 94, perché tale norma sancisce l’incandidabilità con riferimento solo al turno immediatamente successivo al decreto di scioglimento.
Con il secondo motivo, nel richiamare l’art. 360, 1 comma, nn. 3, 4 e 5 c.p.c., censura la violazione dell’art. 348 bis c.p.c., avendo i giudici del reclamo disatteso con clausole di stile l’eccezione di mancata prospettazione di ragioni idonee all’accoglimento dell’appello.
Con il terzo motivo, censura la violazione dell’art. 143 d.lgs. 18 agosto 2000, n. 267, 132 e 156 c.p.c., 111, 6 comma, Cost., ai sensi dell’art. 360, 1 comma, nn. 3, 4 e 5 c.p.c., perché la corte del merito ha ritenuto il S. colluso con il sindaco del comune, in particolare nella vicenda dell’affidamento della gestione dei rifiuti solidi urbani a società priva dei requisiti antimafia, in tal modo dando causa allo scioglimento dell’ente territoriale; mentre le risultanze processuali palesano l’estraneità del S. ed i soli legami parentali non dimostrano il contrario.
Con il quarto motivo, deduce la violazione degli art. 91, 132, 2 comma, n. 4, 156 c.p.c. e 111, 6 comma, Cost., ai sensi dell’art. 360, 1 comma, nn. 3, 4 e 5 c.p.c., perché la corte del merito ha condannato il S. al pagamento delle spese del giudizio applicando il principio della soccombenza, senza considerare giusti motivi per compensarle.
2. – Il primo motivo è infondato.
Esso chiede, invero, alla Corte la corretta interpretazione dell’art. 143, 11 comma, d.lgs. n. 267 del 2000, in tema di incandidabilità degli amministratori locali per condotte relative a fenomeni di infiltrazione e condizionamento di tipo mafioso.
Orbene, le Sezioni unite (Cass., sez. un., 30 gennaio 2015, n. 1747) hanno chiarito che l’incandidabilità temporanea e territorialmente delimitata rappresenta una misura interdittiva volta a rimediare al rischio che quanti abbiano cagionato il grave dissesto possano aspirare a ricoprire cariche identiche o simili a quelle rivestite e, in tal modo, potenzialmente perpetuare l’ingerenza inquinante nella vita delle amministrazioni democratiche locali.
Questa Corte, inoltre, si è già specificamente pronunciata sulla questione posta dal ricorso, affermando che l’art. 143, 11 comma, T.U.E.L., laddove dispone che detti amministratori “non possono essere candidati alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato dallo scioglimento, limitatamente al primo turno elettorale successivo allo scioglimento stesso”, deve essere interpretato nel senso che la candidatura è preclusa per il primo turno elettorale di ciascuna delle predette elezioni successive allo scioglimento (Cass. 22 settembre 2015, n. 18696).
Ha precisato la sentenza che la norma ha l’effetto di precludere la candidabilità dell’amministratore locale alle elezioni regionali, provinciali, comunali e circoscrizionali, che si svolgono nella regione nel cui territorio si trova l’ente interessato dallo scioglimento, successive al provvedimento giurisdizionale definitivo, anche nel caso in cui – nelle more della definizione del procedimento giurisdizionale – si siano svolti uno o più turni elettorali successivi all’emanazione del d.P.R. di scioglimento.
3. – Il secondo motivo è inammissibile.
L’art. 348-bis, inserito dall’art. 54, 1 comma, lett. a), d.l. 22 giugno 2012, n. 83, conv., con modificazioni, dalla l. 7 agosto 2012, n. 134, ha previsto l’inammissibilità all’appello per i casi in cui l’impugnazione “non ha una ragionevole probabilità di essere accolta”.
Una volta che, però, il giudice d’appello abbia proceduto alla decisione dell’impugnazione, ritenendo di non ravvisare un’ipotesi riconducibile alla norma ora richiamata e, dunque, di non pronunciare la predetta ordinanza, la decisione di ammissibilità non è più sindacabile.
In altri termini, la ritenuta “non inammissibilità”, che dunque abbia comportato la regolare trattazione nel merito dell’appello, non è ulteriormente censurabile, neppure innanzi allo stesso giudice dell’appello: onde, qualora riproposta quale eccezione dalla controparte, essa sarebbe di per sé inammissibile; parimenti, ove sottoposta al giudice di legittimità nel ricorso per cassazione, il motivo si palesa inammissibile.
Nessuna tutela, dunque, il legislatore ha predisposto per la parte che lamenti la mancata adozione dell’ordinanza di inammissibilità dell’appello, ai sensi dell’art. 348-bis c.p.c..
3. – Il terzo motivo è inammissibile, perché pretende di sottoporre alla Corte un nuovo giudizio sul fatto.
4. – Il quarto motivo è inammissibile, non essendo censurabile la pronuncia di merito che abbia seguito il criterio della soccombenza nella liquidazione delle spese di lite.
5. – Nulla sulle spese, non svolgendo difese l’intimato.
Non si deve fa luogo, per essere il giudizio esente, alla dichiarazione di cui all’art. 13, comma 1-quater, del testo unico approvato con il d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, introdotto dall’art. 1, 17 comma, l. 24 dicembre 2012, n. 228.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

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