Suprema Corte di Cassazione
sezione I
sentenza 21 gennaio 2016, n. 1091
Svolgimento del processo
La Corte d’Appello di Milano ha parzialmente accolto le impugnazioni delle parti avverso la sentenza del Tribunale di quella stessa città – che aveva condannato, in solido, i convenuti sigg. M.M. , B.M. e la Società Europea di Edizioni SpA, al pagamento, in favore dell’attore S.M. , di una somma di denaro (Euro 35.000,00, oltre accessori, per il danno non patrimoniale da quest’ultimo subito in conseguenza di “una condotta giornalistica diffamatoria” (in seguito alla pubblicazione sul quotidiano (omissis) di un articolo che lo rappresentava come magistrato coinvolto in inchieste per reati di corruzione in atti giudiziari – e, in particolare, ha ordinato la pubblicazione della sentenza sul medesimo quotidiano a cura dei soccombenti e ridotto l’importo della condanna (a Euro 20.000,00, oltre accessori).
La Corte territoriale, per quanto ancora interessa in questa sede, in accoglimento del gravame incidentale delle parti convenute, ha ritenuto che l’importo liquidato dal primo giudice dovesse essere ridotto, tenuto conto che la pubblicazione della sentenza costituisce misura idonea a riparare in parte il danno.
Avverso questa sentenza ha proposto ricorso per cassazione il signor S. con tre mezzi, cui si sono opposti M.M. , B.M. e la Società Europea di Edizioni SpA.
Motivi della decisione
Con il primo motivo (per violazione e/o falsa applicazione degli artt. 120 c.p.c. e 1226 c.c., in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) il ricorrente premette che la pubblicazione della sentenza costituisce una misura restitutoria, non diretta specificamente a risarcire il danno, ma a modificare lo stato di fatto lesivo dei diritti della personalità o su beni immateriali, corrispondendo anche alla tutela di un interesse generale a che non circolino nella collettività false rappresentazioni della realtà giuridica.
La pubblicazione della sentenza prescinderebbe dal danno: di qui l’errore commesso dal giudice distrettuale che, invece, l’avrebbe ancorata ad esso.
Infatti, la pubblicazione della sentenza avrebbe carattere aggiuntivo rispetto al risarcimento economico per equivalente e non sarebbe, invece, una componente della complessiva misura risarcitoria, come ritenuto dalla Corte territoriale.
Inoltre, il giudice distrettuale, nel ridurre la componente risarcitoria per equivalente, non avrebbe considerato che, tra l’altro, la pubblicazione era intervenuta a distanza di molti anni dal fatto e, quindi, si presentava come tardiva e depotenziata della sua efficacia ripristinatoria, con la conseguenza che il risarcimento per equivalente avrebbe dovuto essere incrementato, non diminuito. Il motivo è fondato nei seguenti termini.
La questione che viene all’esame di questa Corte è se, una volta determinato il danno (qui non patrimoniale) per la lesione del diritto alla reputazione e all’immagine, sia legittima un’automatica riduzione del quantum, a causa della pubblicazione della sentenza su un quotidiano.
La Corte del merito ha risposto in senso affermativo, facendo leva sulla portata riparatoria della suddetta misura, la quale può essere disposta “nei casi in cui la pubblicità della decisione di merito può contribuire a riparare il danno, compreso quello derivante per effetto di quanto previsto all’articolo 96” (art. 120, comma 1, c.p.c., nel testo sostituito dall’art. 45, comma 16, della legge 18 giugno 2009, n. 69).
La suddetta funzione, in senso lato, riparatoria è nella legge ed è confermata dalla giurisprudenza (v. Cass. n. 2087/2015, n. 2491/1993, n. 6168/1989), ma ciò non è sufficiente per ritenere legittima un’operazione, com’è quella operata dalla Corte milanese, di sottrazione aritmetica dall’importo del danno accertato di un importo (peraltro indeterminato) corrispondente al valore riparatorio insito nella pubblicazione della sentenza.
Lo stesso danno risarcibile, di conseguenza, è stato determinato in modo incerto, a causa dell’incidenza in via automatica degli effetti dell’ordine di pubblicazione e del rilievo attribuito al grado (ridotto) di offensività della notizia giornalistica. In definitiva, la sentenza impugnata ha falsamente applicato l’art. 120 c.p.c..
Seguendo la ricostruzione operata dalla Corte milanese, la pubblicazione della sentenza consentirebbe un’automatica decurtazione del danno risarcibile per equivalente, con implicita e anomala attribuzione di un diritto di credito al debitore – danneggiante e, correlativamente, di una posizione obbligatoria al creditore – danneggiato, il quale, nel caso in cui non vi provvedesse il danneggiante, finirebbe per essere tenuto a provvedere direttamente alla pubblicazione, con un effetto rilevante – che questa Corte ha coerentemente escluso (v. Cass. n. 2087/2015 cit.) – sul piano del concorso causale nella produzione del danno, a norma dell’art. 1227, comma 2, c.c..
In realtà, come rilevato nel precedente poc’anzi richiamato, la pubblicazione costituisce “una modalità di risarcimento in forma specifica volta ad aggiungersi al risarcimento per equivalente al fine di assicurare, nei casi in cui il giudice la ritenga utile, la integrale riparazione del danno”, al fine di contribuire a rimuovere il discredito gettato su un soggetto e di ricostruire la sua immagine pubblica.
È significativo che la pubblicazione della sentenza sia un provvedimento, costituente oggetto di un potere discrezionale del giudice, che può essere disposto indipendentemente dall’esistenza o dalla prova di un danno attuale, trattandosi di una sanzione autonoma che, grazie alla conoscenza da parte della collettività della reintegrazione del diritto offeso, assolve ad una funzione riparatoria in via preventiva rispetto all’ulteriore propagazione degli effetti dannosi dell’illecito nel futuro (v. Cass. n. 6226/2013, n. 1982/2003, n. 564/1995), a differenza del risarcimento del danno per equivalente che ha funzione reintegratoria di un pregiudizio già verificatosi (v. Cass. n. 12103/1995).
Si spiega dunque perché una parte della dottrina abbia inteso questa misura come diretta non specificamente a riparare il danno, ma a tutelare l’interesse generale a che non circolino false rappresentazioni della realtà. In tal senso sembra deporre il riferimento dell’art. 120 c.p.c. – come presupposto per l’emissione dell’ordine di pubblicazione – a una “decisione di merito” e non necessariamente a una condanna al risarcimento del danno o a distinti facere di reintegrazione del diritto leso. La possibile obiezione, secondo la quale i precedenti poc’anzi richiamati non sarebbero pertinenti perché riguardanti fattispecie (di concorrenza sleale ex art. 2600 c.c.) diverse dalla lesione dei diritti della personalità, è agevolmente superabile, se si considera che l’art. 120 c.p.c. costituisce norma di generale applicazione, non derogata dalle norme speciali presenti in particolari materie (v. anche gli artt. 126 cod.propr. ind. e 166 della legge n. 633/1941 sul diritto d’autore).
Neppure sembra possibile differenziare la funzione (e, quindi, gli effetti concreti) della pubblicazione, a seconda della natura del danno, patrimoniale e non patrimoniale, rispettivamente in termini di sanzione autonoma e di misura esclusivamente riparatoria. In conclusione, la concreta determinazione del danno rimane sottratta alla valutazione di questa Corte, essendo riservata al giudice di merito, il quale deve tenere conto di tutte le circostanze del caso concreto, nell’ambito di una ponderata valutazione globale, senza alcun automatismo in funzione riduttiva del danno risarcibile, con riguardo agli effetti riparatori della pubblicazione della sentenza.
Pertanto, in accoglimento del primo motivo,- assorbiti gli altri (concernenti vizi motivazionali e di ultrapetizione), la sentenza impugnata, avendo falsamente applicato l’art. 120 c.p.c., è cassata con rinvio alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, che dovrà riesaminare la causa alla luce del principio enunciato e liquidare le spese.
P.Q.M.
La Corte, in accoglimento del primo motivo del ricorso, assorbiti gli altri motivi, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Milano, in diversa composizione, anche per le spese.
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