CASSAZIONE

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I

SENTENZA 21 aprile 2015, n. 8098

[omissis]

Ricorre per cassazione E.C. che si affida a due motivi di ricorso: a) violazione degli artt. 1 e 8 della legge n. 184/1983, ex art. 360 n. 3 c.p.c., in punto di non riconosciuta idoneità della signora C. di prendersi cura della figlia D.; b) omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti.

Con il primo motivo di ricorso si contesta la sussistenza dei presupposti per l’accertamento della situazione di abbandono della minore e si rileva che esistono nell’ambito della famiglia C. risorse adeguate (gli zii e i nonni) a coadiuvare Elisabetta affinché possa proseguire il suo percorso terapeutico, che ha intrapreso su impulso dei suoi familiari, che se ne sono assunti l’incarico, e che ha già dato risultati strabilianti e certamente superiori a quelli ottenuti dal Centro di Salute Mentale in molti anni, e occuparsi della piccola D..

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta l’omesso esame da parte della Corte di appello della consulenza di parte che ha accertato nella odierna ricorrente una reale motivazione di guarigione e di apprendimento delle capacità genitoriali, manifestata attraverso la piena consapevolezza delle proprie disfunzionalità e limitazioni e, ciononostante, con una rinnovata consapevolezza/compensazione rispetto al ruolo di madre che ha permesso lo svolgimento degli incontri con la piccola D. in un clima di assoluta tranquillità, colloquialità e serenità. Né la Corte di appello ha valutato le rilevanti affermazioni del consulente di parte, per un verso, sulla impossibilità per la madre di esprimere compiutamente il proprio ruolo di genitore a causa delle pesantissime restrizioni dei contatti con la figlia che le sono state imposte. Per altro verso dei gravi rischi di fallimento di un’adozione che interverrebbe, alla luce della ampia letteratura, esistente in questo campo e non presa in considerazione dal consulente di ufficio e dai giudici dell’appello, su una ferita primaria di separazione dalla madre e dai care–givers di riferimento, subita dalla piccola D. e impressa inconsciamente nella sua psiche, con evidente difficoltà alla costruzione di nuovi legami affettivi sostitutivi di quelli genitoriali.

Non svolgono difese le parti intimate.

Ritenuto che

I1 ricorso investe una valutazione di merito compiuta dalla Corte di appello e lamenta che non sia stata presa in considerazione la possibilità che la ricorrente, affrontando un percorso terapeutico individuale e potendo contare sul sostegno dei congiunti, possa acquisire le capacità genitoriali necessarie per consentire alla piccola D. una crescita adeguata in tempi compatibili con le esigenze della minore. In realtà una tale possibilità è stata pienamente considerata dalla Corte di appello che l’ha esclusa sulla base delle valutazioni espresse dal consulente tecnico il quale, nelle sue conclusioni, ha affermato che le esigenze di presa in carico di E.C. appaiono così complesse e copiose da necessitare di un tempo che si ritiene scarsamente compatibile con i tempi di crescita e con le esigenze psico­affettive, in piena evoluzione, della bambina. Valutazione questa che è stata espressa nel quadro della conferma di una diagnosi grave come quella riportata sopra nonostante il rilievo di una situazione psichica di maggiore compensazione rispetto al passato. Né può imputarsi al concreto svolgimento del procedimento per l’accertamento dello stato di adottabilità una preclusione a percorrere una possibilità di recupero nel contesto familiare. Infatti il Tribunale per i minorenni ha disposto, con decreto del 25 gennaio 2012, a seguito della richiesta della zia Michela C. e del suo consorte A.B., che la piccola D., all’età di quattro mesi, fosse affidata temporaneamente agli zii. Questi però hanno dovuto constatare di non essere in grado di provvedere al compito per il quale avevano manifestato la loro disponibilità, che hanno revocato all’udienza del 17 settembre 2012.

Sulla base di tali evidenze la Corte di appello ha dovuto constatare la problematicità di un percorso di acquisizione, da parte di E.C., della funzione genitoriale e la incidenza gravemente negativa sulla piccola D. della sua permanenza in uno stato di affidamento familiare sine die o quanto meno per un lungo periodo, senza peraltro alcuna sicura aspettativa di esito positivo del percorso terapeutico della madre al fine del reinserimento di D.C. nella sua famiglia di origine.

10.La decisione della Corte di appello appare coerente alla giurisprudenza di legittimità secondo cui l’art. 1 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (nel testo novellato dalla legge 28 marzo 2001, n. 149) attribuisce al diritto del minore di crescere nell’ambito della propria famiglia d’origine un carattere prioritario – considerandola l’ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico – e mira a garantire tale diritto attraverso la predisposizione di interventi diretti a rimuovere situazioni di difficoltà e di disagio familiare. Pertanto, è immune da vizi l’accertamento dello stato di abbandono, nel caso in cui non sia sopravvenuta l’autonomia genitoriale necessaria – pur dopo i necessari e reiterati interventi dei servizi sociali e nonostante la collaborazione e l’affetto dimostrati per il minore dal genitore – e risulti impossibile prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di uno stabile contesto familiare, con conseguente legittimo rigetto della domanda di affidamento etero-familiare, il quale ha per legge carattere solo temporaneo (cfr. Cass. civ. sezione i n. 1837 del 26 gennaio 2011).

Il ricorso va pertanto respinto senza alcuna statuizione sulle spese dei giudizio di cassazione.

 

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.

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