Cassazione 4

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I

SENTENZA 19 ottobre 2015, n.21097

Ritenuto in fatto

V.G.M. e G.P.F. convennero in giudizio la Banca Sella S.p.a., per sentirla condannare al risarcimento dei danni cagionati dalla condotta tenuta nella stipulazione e nell’esecuzione di un contratto d’intermediazione finanziaria, nonché nel compimento delle singole operazioni d’investimento.
Premesso che su consiglio di R.R. , già dipendente della filiale di (…), avevano accettato d’investire in strumenti finanziari l’importo complessivo di L. 75.000.000, sottoscrivendo la modulistica contrattuale senza ricevere alcuna spiegazione, e firmando in particolare un prospetto nel quale si erano dichiarati disposti a tollerare rendimenti negativi in misura non superiore al 10% del capitale investito per periodi molto brevi ed in caso di eccezionali tensioni sui mercati finanziari, esposero che, pur non avendo successivamente conferito alcun mandato di acquisto o vendita, avevano appreso che il capitale si era volatilizzato ed il conto corrente d’appoggio presentava un saldo debitore di L. 150.000.000, determinato da ordini d’acquisto recanti firme contraffatte.
Si costituì la convenuta, e chiese il rigetto della domanda nonché, in via riconvenzionale, il pagamento della somma di Euro 35.344,51, a titolo di saldo debitore del conto d’appoggio, affermando che gli attori avevano stipulato un contratto quadro per la ricezione e la trasmissione di ordini su strumenti derivati, con annesso conto titoli destinato a garantire i margini iniziali di copertura delle operazioni, ed un contratto uniforme per strumenti regolamentati, la cui sottoscrizione era stata preceduta dalla consegna del documento sui rischi generali degli investimenti e dalla compilazione della scheda informativa.
Si costituì inoltre R.R. , chiamata in garanzia dalla Banca, chiedendo anch’essa il rigetto della domanda.
1.1. – Con sentenza del 4 febbraio 2005, il Tribunale di Cuneo rigettò la domanda principale ed accolse quella riconvenzionale, condannando gli attori al pagamento della somma di Euro 36.605,01, oltre interessi convenzionali.
2. – L’impugnazione proposta da V.G.M. , M.T. e P. (queste ultime in qualità di eredi della G. , nel frattempo deceduta) è stata accolta dalla Corte d’Appello di Torino, che ha condannato la Banca Sella Holding S.p.a. (già Banca Sella S.p.a.) al pagamento della somma di Euro 38.734,26, oltre rivalutazione monetaria ed interessi legali sulla somma rivalutata anno per anno con decorrenza dalla domanda.
A fondamento della decisione, la Corte ha escluso che le operazioni compiute dalla Banca per conto dei clienti potessero ritenersi ratificate ai sensi dell’art. 1399 cod. civ., osservando che tale disposizione si riferisce ai soli rapporti con i terzi che abbiano negoziato con il falsus procurator, mentre la controversia riguardava i rapporti interni tra il mandatario ed i mandanti, regolati dall’art. 1712 cod. civ. Ha poi precisato che tale disposizione non si applica al c.d. contratto quadro, avente ad oggetto la prestazione del servizio d’investimento, ma solo ai contratti di acquisto e vendita che l’intermediario pone in essere con i terzi, in riferimento ai quali il prolungato ritardo del mandante nel rispondere al mandatario che abbia comunicato l’avvenuta esecuzione dell’incarico comporta l’approvazione dell’operazione compiuta, anche nel caso in cui il mandatario si sia discostato dalle istruzioni ricevute o abbia ecceduto i limiti dell’incarico. Premesso infine che il rapporto derivante da un mandato successivo a quello generale conferito con il contratto quadro richiede che entrambi i contratti siano esistenti e validi, ha affermato che le operazioni compiute dall’intermediario in assenza di ordini o sulla base di ordini nulli si traducono in una violazione del contratto quadro, ma non producono effetti a carico dell’investitore, non comportando l’insorgenza di un ulteriore rapporto di mandato avente ad oggetto le singole operazioni.
Tanto premesso, la Corte ha rilevato che il contratto stipulato dalla Banca con il V. e la G. rientrava nello schema del mandato, al cui conferimento aveva fatto seguito l’esecuzione di ordini di acquisto in parte non recanti alcuna firma, in parte recanti sottoscrizioni apocrife ed in parte sottoscritti con firma autografa, mentre non vi era prova del rilascio di ordini verbali documentati ai sensi dell’art. 21, lett. a), del d.lgs. 24 febbraio 1998, n. 58. Ha escluso che il rapporto fiduciario instaurato dagli attori con la R. , cui era stata affidata la scelta degli investimenti, si fosse tradotto in una rinegoziazione del mandato conferito con il contratto quadro, al quale avrebbe fatto seguito la ratifica delle operazioni compiute, per effetto della tempestiva informazione dei mandanti e dell’assenza di contestazioni o rilievi da parte degli stessi. Ha ritenuto infatti che la generica allegazione del rapporto personale instauralo con la R. non era sufficiente a dimostrare l’avvenuto conferimento di un valido mandato, risultando altrimenti modificata la causa del contratto, che, in quanto configurabile come gestione patrimoniale, avrebbe richiesto la forma scritta.
La Corte ha altresì escluso la configurabilità di un concorso di colpa degli attori, in relazione all’avvenuto acquisto di strumenti finanziari che. come i derivati, implicano l’assunzione di un impegno a scadenza, il cui potenziale di rischio, destinato ad evolversi durante la durata del rapporto, avrebbe dovuto essere eliminato attraverso la chiusura della relativa posizione, realizzata mediante l’acquisto di un derivato uguale e contrario; ha infatti osservato che. in quanto volta a far valere un difetto di attività volto a paralizzare l’originaria causa del danno, l’eccezione era riconducibile all’art. 1227, secondo comma, cod. civ., e quindi inammissibile, non essendo stata proposta nella comparsa di costituzione in primo grado, ma solo in comparsa conclusionale.
Ritenuti pertanto assorbiti gli altri motivi di appello, ha escluso la configurabilità del lucro cessante, per difetto di prova, e ha liquidato il danno emergente in misura pari al capitale investito ed al saldo passivo finale del conto corrente, detratto il credito residuo della Banca, riconoscendo sul relativo importo la svalutazione monetaria e gl’interessi compensativi sulla somma rivalutata anno per anno.
3. – Avverso la predetta sentenza la Banca Sella Holding ha proposto ricorso per cassazione, articolato in tre motivi. I V. hanno resistito con controricorso, proponendo ricorso incidentale condizionato, articolalo in sei motivi, al quale la Banca ha resistito con controricorso. La R. non ha svolto attività difensiva.

Motivi della decisione

– Con il primo motivo d’impugnazione, la ricorrente denuncia l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso l’intervenuta ratifica degli ordini d’investimento in base all’affermata irrilevanza della relativa conoscenza da parte degli attori, senza tener conto dell’autenticità di alcuni degli stessi. Sostiene infatti che, una volta ritenuta la necessità di ordini specifici, la Corte di merito avrebbe dovuto distinguere tra quelli efficaci, quelli inefficaci e quelli mancanti, in modo da verificarne l’opponibilità ai clienti.

– Con il secondo motivo, la ricorrente deduce l’errata motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che la verifica dell’opponibilità degli ordini avrebbe consentito di accertare che quelli effettivamente riferibili agli attori riguardavano la chiusura o il rinnovo di operazioni precedentemente effettuate sulla base degli ordini risultati apocrifi o mancanti, con la conseguente configurabilità della ratifica, anche in virtù della dimostrazione dell’avvenuto adempimento dell’obbligo d’informazione.

– Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta l’errata motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, affermando che, nell’escludere il concorso di colpa degli attori, la sentenza impugnata ha erroneamente ricondotto la fattispecie al secondo comma dell’art. 1227 cod. civ., anziché al primo comma, senza considerare che la condotta del V. e della G. non atteneva all’apertura della posizione, ma all’intera durata del rapporto. L’investimento in derivati si configura infatti come una fattispecie a formazione progressiva, in cui il rischio non viene fissato una volta per tutte al momento dell’apertura della posizione, ma nel corso del rapporto, attraverso la continua interazione tra l’informazione sulla sua evoluzione e la scelta tra l’eliminazione della posizione ed il mantenimento della stessa fino alla scadenza.

– A conclusione dei predetti motivi, al ricorrente formula specifici enunciati, con cui individua i fatti controversi nell’esistenza di ordini d’investimento effettivamente impartiti dai clienti, nella correlazione di tali ordini con altri risultati apocrifi e nel concorso di colpa degli attori nella causazione del danno, chiedendo a questa Corte di pronunciarsi rispettivamente sull’idoneità dei predetti ordini ad esonerare essa ricorrente dalle conseguenze dannose degl’investimenti effettuati, sulla possibilità di ravvisare negli stessi la ratifica degli altri ordini e sulla configurabilità della condotta degli attori come autonoma causa del danno.

In quanto idonee a ricapitolare le ragioni per cui la motivazione della sentenza impugnata deve ritenersi omessa o errata, le predette indicazioni consentono di ritenere soddisfatto il requisito prescritto dall’art. 366-bis, secondo periodo, cod. proc. civ., con la conseguente infondatezza dell’eccezione d’inammissibilità della impugnazione sollevata dalla difesa dei controricorrenti. L’enunciazione del momento di sintesi previsto dalla predetta disposizione non esige infatti il rispetto di forme particolari, risultando a tal fine sufficiente che l’illustrazione dei motivi sia accompagnata dall’enucleazione dei fatti al cui accertamento le censure si riferiscono e delle ragioni che le sorreggono, in modo da evitare che la formulazione del ricorso ingeneri incertezze in sede di valutazione della sua ammissibilità e fondatezza (cfr. Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass., Sez. lav., 25 febbraio 2009, n. 4556; Cass., Sez. Ili, 7 aprile 2008, n. 8897).

– Il tenore delle censure proposte dalla ricorrente consente poi di ritenere sufficienti, ai fini del relativo esame, i puntuali richiami del ricorso agli atti ed ai documenti relativi alle fasi di merito, e di escludere quindi la violazione dell’art. 366, primo comma, n. 6 cod. proc. civ., la cui osservanza dev’essere verificata con riguardo ad ogni singolo motivo di impugnazione, e può dunque condurre alla declaratoria d’inammissibilità soltanto quando si tratti di censure rispetto alle quali uno o più specifici atti o documenti fungano da fondamento, e cioè quando, senza l’esame di quell’atto o di quel documento, la comprensione del motivo di doglianza e dei relativi presupposti fattuali, nonché la valutazione della sua decisività, risulterebbero impossibili (cfr. Cass., Sez. Un., 5 luglio 2013, n. 16887).

– Il primo motivo è peraltro fondato.

Ai fini della dichiarazione d’inopponibilità agli attori delle operazioni d’investimento compiute dalla Banca per conto degli stessi, la sentenza impugnata si è infatti attenuta al principio, rimasto incensurato in questa sede, secondo cui gli ordini di acquisto o di vendita impartiti dall’investitore all’intermediario finanziario danno luogo ad un rapporto di mandato successivo e particolare, distinto da quello anteriore e generale derivante dal contratto quadro di cui costituiscono attuazione, la cui efficacia nei confronti del mandante, presupponendo che entrambe le fonti convenzionali siano esistenti e valide, dev’essere esclusa nel caso in cui l’intermediario abbia agito in assenza di ordini o sulla base di ordini nulli. Nell’applicazione di tale principio, la Corte di merito ha peraltro riservato ingiustificatamente la medesima sorte a tutte le operazioni compiute dalla Banca, dichiarandole inopponibili ai clienti, in quanto effettuate in esecuzione di ordini di acquisto non riferibili agli stessi, senza considerare che, come da essa stessa affermato nel prosieguo della motivazione, soltanto alcuni degli ordini prodotti in giudizio erano privi di firma o recavano sottoscrizioni apocrife, mentre altri risultavano regolarmente sottoscritti con firme autografe. In quanto riconducibili ad istruzioni sicuramente impartite dai clienti, le operazioni compiute in esecuzione di quest’ultima tipologia di ordini dovevano considerarsi efficaci nei loro confronti, e quindi inidonee a far sorgere una responsabilità della Banca per l’esito negativo degl’investimenti effettuati, a meno che non ne fosse stata accertata la contrarietà ad altri obblighi assunti con la stipulazione del contratto quadro; in relazione a tali operazioni, non ricorreva d’altronde neppure l’esigenza di valutare la condotta anteriormente o successivamente tenuta dai clienti, ai fini dell’eventuale configurabilità di un rapporto fiduciario con la direttrice della succursale o di una ratifica o approvazione dell’operato della stessa, la cui necessità doveva ritenersi esclusa ab origine, in virtù del mandato ad acquistare conferito dagli attori alla Banca.

– Il secondo motivo è invece inammissibile.

Nell’affermare che, in quanto aventi ad oggetto la chiusura o il rinnovo di precedenti operazioni, alcuni degli ordini effettivamente impartiti dagli attori avrebbero potuto essere interpretati come un’univoca manifestazione della volontà di ratificarle, la ricorrente propone una ricostruzione dei fatti completamente diversa da quella prospettata nel precedente grado di giudizio, in cui aveva sostenuto la riconducibilità della ratifica al silenzio serbato dai clienti in ordine alle comunicazioni ricevute a seguito dell’effettuazione delle operazioni d’investimento o, in alternativa, al rapporto fiduciario dagli stessi intrattenuto con la direttrice della succursale, senza fare alcun cenno ad un possibile collegamento tra gli ordini. In quanto volta a suggerire una nuova interpretazione degli ordini e della condotta tenuta dagli attori, la tesi in esame si risolve nella proposizione di una questione non trattata nella sentenza impugnata, che non può trovare ingresso in questa sede, implicando un’indagine di fatto e non essendo stato precisato in quale fase processuale ed in quale atto sia stata eventualmente prospettata in precedenza (cfr. ex plurimis, Cass., Sez. I, 18 ottobre 2013, n. 23675; 1 marzo 2007, n. 4843; Cass., Sez. VI, 9 luglio 2013, n. 17041; Cass., Sez. II, 29 maggio 2007, n. 12506).

– Il terzo motivo è infine infondato.

Nel dichiarare inammissibile, in quanto proposta soltanto in comparsa conclusionale, l’eccezione sollevata dalla Banca, secondo cui una tempestiva contestazione delle operazioni d’investimento da parte degli attori avrebbe consentito di evitare il danno o di attenuarne la portata, la Corte di merito ha congruamente motivato la propria decisione, ravvisando in tale allegazione la prospettazione di un difetto di attività volta a paralizzare le conseguenze pregiudizievoli dell’acquisto non autorizzato di strumenti derivati, e riconducendola pertanto all’art. 1227, secondo comma, cod. civ., con la conseguente esclusione della rilevabilità di ufficio della predetta condotta. Tale qualificazione trova conforto nel consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità in tema di risarcimento del danno, secondo cui il secondo comma dell’art. 1227 cit., nell’escludere la risarcibilità del pregiudizio che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza, presuppone che la condotta dello stesso abbia comportato soltanto un aggravamento del danno, causalmente riconducibile in via esclusiva al fatto del debitore, e risulta pertanto estraneo alla problematica del nesso eziologico, trattata invece dal primo comma della medesima disposizione, il quale prevede una riduzione proporzionale del risarcimento nel caso in cui il fatto colposo del creditore abbia contribuito al verificarsi dell’evento dannoso (cfr. Cass., Sez. III, 5 luglio 2007, n. 15231; 8 aprile 2003, n. 5511; Cass., Sez. II, 13 settembre 2004, n. 18352). La ricorrente contesta le conclusioni cui è pervenuta la Corte di merito, insistendo sulle caratteristiche strutturali degl’investimenti in strumenti derivati, implicanti a suo dire un continuo monitoraggio della posizione derivante dall’operazione, senza però essere in grado di dimostrare che l’inerzia degli attori si è inserita con efficacia determinante nella sequenza causale innescata dall’apertura delle posizioni non autorizzate, che avrebbe potuto essere invece impedita o interrotta da un comportamento attivo: la mera circostanza che alle conseguenze sfavorevoli delle operazioni non autorizzate potesse porsi rimedio attraverso il compimento di operazioni di segno inverso non consente infatti di ravvisare nella mancata apertura di derivati uguali e contrari uno dei fattori produttivi dell’evento dannoso.

– Con il primo motivo del ricorso incidentale condizionato, i controricorrenti denunciano l’omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, censurando la sentenza impugnata nella parte in cui ha ravvisato nel rapporto tra le parti un mandato, anziché una gestione patrimoniale, in tal modo trascurando il tenore letterale dei documenti prodotti.

– Con il secondo motivo, i controricorrenti deducono l’omessa e insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, sostenendo che, nel negare efficacia negoziale vincolante alla scheda informativa sottoscritta dagli attori, la Corte di merito non ha tenuto conto del tenore letterale del documento, equivalente ad un contratto di mandato, dal quale emergevano i limiti imposti all’attività della Banca ed i criteri da osservare nella gestione del patrimonio mobiliare.

– Con il terzo motivo, i controricorrenti lamentano l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, affermando che, nel ritenere adempiuti gli obblighi della Banca inerenti alla fase genetica del contratto, la sentenza impugnata non ha tenuto conto dell’avvenuta violazione del dovere di acquisire le informazioni necessarie dai clienti, del dovere di prestare il servizio di gestione soltanto dopo aver fornito all’investitore informazioni adeguate sulla natura, sui rischi e sulle implicazioni delle singole operazioni, e del dovere di astenersi dal compimento di operazioni non adeguate all’investitore.

– Con il quarto motivo, i contro ricorrenti denunciano l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, osservando che la sentenza impugnata ha omesso di esaminare il motivo d’impugnazione con cui essi appellanti avevano fatto valere la violazione dei doveri posti a carico della Banca.

– Con il quinto motivo, i controricorrenti deducono l’insufficiente motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, rilevando che, nel rigettare il motivo di gravame concernente la mancata ammissione di una c.t.u. contabile per l’accertamento dei danni, la Corte di merito non ha considerato che la genericità della relativa richiesta trovava giustificazione nella circostanza che essi appellanti non avevano alcuna conoscenza delle operazioni compiute dalla Banca.

– Con il sesto motivo, i controricorrenti lamentano l’omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, affermando che la sentenza impugnata ha omesso di pronunciare in ordine alla nullità, rilevabile d’ufficio, degli ordini d’acquisto, per inosservanza degli obblighi d’informazione dell’investitore e delle regole di correttezza e trasparenza nella stipulazione dei contratti d’investimento, la cui violazione comportava a carico della Banca l’obbligo di restituire le somme pagate per l’acquisto dei valori mobiliari.

– I predetti motivi sono inammissibili, in quanto, pur essendo volti a far valere la mancanza o l’insufficienza della motivazione in riferimento ad una pluralità di profili dell’accertamento risultante dalla sentenza impugnata, non rispettano la prescrizione dettata dal secondo periodo dell’art. 366-bis cod. proc. civ. ai fini della deduzione del vizio previsto dall’art. 360, primo comma, n. 5 cod. proc. civ., non recando la chiara indicazione del fatto controverso e delle ragioni per cui la motivazione risulta inidonea a giustificare la decisione adottata. L’assenza di tali indicazioni rende impossibile orientarsi tra le argomentazioni in base alle quali i controricorrenti chiedono a questa Corte di cassare la sentenza impugnata, in tal modo tradendo la funzione propria del momento di sintesi prescritto dall’art. 366-bis cit., la quale consiste, com’è noto, nel circoscrivere puntualmente i limiti delle censure proposte, al fine di evitare che la formulazione del ricorso ingeneri incertezze in sede di vantazione della sua ammissibilità e fondatezza (cfr. Cass., Sez. Un., 1 ottobre 2007, n. 20603; Cass., Sez. V, 8 marzo 2013, n. 5858; Cass., Sez. Ili, 19 maggio 2011, n. 11019). Tale esigenza non può infatti ritenersi soddisfatta allorquando, come nella specie, l’identificazione delle questioni proposte non costituisca oggetto di un’opera di puntualizzazione compiuta dallo stesso ricorrente, ma sia possibile soltanto attraverso la lettura completa della complessiva illustrazione dei motivi, configurandosi quindi come il risultato di un’attività interpretativa rimessa al lettore.

– Il ricorso principale va pertanto accolto parzialmente, mentre il ricorso incidentale dev’essere dichiarato inammissibile.

La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, nei limiti segnati dallo accoglimento del primo motivo del ricorso principale, con il rinvio della causa alla Corte d’Appello di Torino, che provvederà, in diversa composizione, anche al regolamento delle spese del giudizio di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale, dichiara inammissibile il secondo motivo e rigetta il terzo motivo, dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato, cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa alla Corte di Appello di Torino, anche per la liquidazione delle spese processuali.

 

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