CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 18 giugno 2015, n. 25832

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORTESE Arturo – Presidente

Dott. TARDIO Angela – Consigliere

Dott. SANDRINI Enrico Giuseppe – Consigliere

Dott. CASA Filippo – rel. Consigliere

Dott. BONI Monica – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 9154/2013 TRIB. SORVEGLIANZA di ROMA, del 24/04/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. CASA FILIPPO;

lette le conclusioni del PG Dott. GIALANELLA Antonio, che ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza in data 24.4.2014, il Tribunale di Sorveglianza di Roma rigettava il reclamo proposto da (OMISSIS) avverso il decreto ministeriale del 30.11.2013 con il quale veniva prorogato il regime detentivo differenziato previsto dall’articolo 41-bis Ord. Pen..

Dopo aver preliminarmente esplicitato i criteri di giudizio cui si sarebbe attenuto in ordine all’accertamento demandatogli conformemente alle linee guida elaborate dalla giurisprudenza di legittimita’ negli anni di vigenza dell’istituto, il Tribunale rilevava che i delitti per i quali lo (OMISSIS) si trovava detenuto consentivano l’applicazione del regime detentivo differenziato ai sensi degli articoli 41-bis e 4-bis Ord. Pen, anche nella nuova formulazione di cui alla Legge n. 279 del 2002 ed alla Legge n. 94 del 2009 (Legge n. 685 del 75, articolo 75, comma 1, articolo 74 commi 1 e 2, articolo 74, comma 2).

Quanto alla circostanza per cui la pena inflitta con sentenza della Corte d’Assise di Caltanissetta 13.2.1999, confermata dalla Corte d’Assise d’Appello nissena il 18.3.2002, fosse stata sospesa con ordinanza del 27.10.2011 dalla Corte d’Appello di Catania, osservava il Tribunale che la richiesta di sospensione formulata dalla Procura Generale di Caltanissetta il 13.10.2011 (cosi’ come quella di revisione) riguardava unicamente i reati di cui ai capi di imputazione da “A” ad “H” (strage di (OMISSIS) e reati satelliti) e non anche il capo “I” (associazione per delinquere di stampo mafioso), in relazione al quale la Procura Generale suddetta aveva evidenziato come le accuse del collaborante (OMISSIS) avessero aggiunto nuovo materiale probatorio a quanto emerso nel corso del processo.

Cio’ posto, il Tribunale di Sorveglianza poneva in luce che lo (OMISSIS) risultava condannato per associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico e aveva rivestito un ruolo apicale nella famiglia mafiosa dell’Arenella; che tale organizzazione era ancora attiva, come testimoniato dai pareri e dalle informative di polizia in atti, sicche’ esisteva il concreto pericolo che il reclamante, ove collocato nel circuito detentivo ordinario, fosse in grado di far uscire dai luoghi di detenzione ordini e disposizioni malavitosi.

Quanto alle attivita’ investigative che dimostravano l’attuale spiccata pervasivita’ dell’organizzazione criminale di appartenenza dello (OMISSIS) sul territorio del capoluogo e della provincia palermitana venivano ricordate: l’arresto in flagranza in data (OMISSIS) di (OMISSIS) pregiudicato per articolo 416 bis c.p., per tentata estorsione nei confronti di un commerciante; l’ordinanza di custodia cautelare eseguita dalla Squadra Mobile il 12.3.2013 nell’ambito dell’operazione denominata “(OMISSIS)” nei confronti di esponenti organici alle famiglie mafiose del mandamento “Noce”; altra ordinanza cautelare eseguita il 22.3.2013.

2. Ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS) per il tramite del difensore di fiducia, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione.

In sintesi, il difensore eccepisce:

a) che manca il presupposto applicativo dell’articolo 41-bis O.P., perche’, pur essendo lo (OMISSIS) stato condannato per associazione mafiosa, la condanna risulta attualmente “senza pena”, in quanto sospesa in pendenza di giudizio di revisione;

b) che vi e’, senza dubbio, condanna per altro reato legittimante il regime differenziato di cui all’articolo 41-bis citato (Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990, articolo 74), ma su tale reato e’ totale la carenza di motivazione;

c) che risulta omessa la verifica sui parametri richiesti dall’articolo 41-bis;

d) infine, che la condanna ex articolo 74 e’ da ritenersi espiata in base al cumulo di pene concorrenti disposto fatto dalla Corte di Appello di Genova, essendo i residuali venti mesi di reclusione imputabili al reato di lesioni.

3. Il Procuratore Generale presso questa Corte, nella sua articolata requisitoria scritta, ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

4. Il difensore ha depositato memoria di replica alle osservazioni del Procuratore Generale recante la data del 15.11.2015.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso e’ infondato.

2. Non puo’ accogliersi la tesi difensiva, alla stregua della quale la “sospensione” della pena irrogata con sentenza di condanna avente ad oggetto anche un reato associativo mafioso, in assenza di richiesta specifica di sospensione da parte dell’organo dell’Accusa in ordine a quel determinato reato associativo, determinerebbe il venir meno del titolo giustificativo per l’applicazione del regime differenziato di cui all’articolo 41-bis O.P..

In tema di applicazione di siffatto regime detentivo speciale, questa Corte ha costantemente ritenuto irrilevante la circostanza che il condannato, detenuto in virtu’ di un cumulo comprensivo di pene per reati legittimanti l’applicazione del predetto regime e per altri reati, abbia gia’ espiato la parte di pena relativa ai primi reati, tenuto conto non solo del principio di unicita’ della pena di cui all’articolo 76 c.p., comma 1, ma anche delle specifiche finalita’ di ordine e sicurezza del regime differenziato.

E’, dunque, ormai consolidato il principio per cui non puo’ essere sciolto il cumulo di pene concorrenti al fine di considerare espiate quelle riferite a reati commessi avvalendosi delle condizioni o al fine di agevolare le associazioni di tipo mafioso che impongono la sospensione delle regole di trattamento di cui all’articolo 41 bis O.P., dovendosi il condannato considerare detenuto anche per tali reati in virtu’ del principio di unicita’ dell’esecuzione della pena (Sez. 1 , Sentenza n. 35564 del 11/7/2008, P.G. in proc. Della Ventura, Rv. 240938; Sez. 1 , Sentenza n. 41567 del 18/9/2009, Gionta, Rv. 245047).

E’ stata, tra l’altro, giudicata manifestamente infondata la questione di legittimita’ costituzionale, sollevata in riferimento all’articolo 3 Cost., dell’articolo 41-bis O.P. nella parte in cui -in presenza di un cumulo comprensivo di pene irrogate sia per reati legittimanti l’applicazione del regime Indicato, sia per altri reati – consente l’applicazione del regime detentivo speciale al detenuto che abbia gia’ espiato la parte di pena relativa ai primi reati, posto che l’istituto ha la funzione di impedire la commissione di reati per il futuro, in ragione del possibile mantenimento di collegamenti del detenuto con la criminalita’ organizzata (Sez. 5 , Sentenza n. 44007 del 15/10/2009, Della Ventura, Rv. 245097).

Cio’ posto, appaiono innegabili i profili di analogia, se non di continenza, che correlano il “titolo gia’ espiato” al “titolo sospeso”, di talche’ appare del tutto ragionevole ritenere che se il “titolo gia’ espiato” conserva la sua efficacia giustificativa in relazione all’applicazione del regime detentivo differenziato previsto dall’articolo 41-bis O.P., a fortiori la deve conservare il titolo solo temporaneamente sospeso, soprattutto nel caso, come quello di specie, in cui il P.M. non abbia richiesto detta sospensione per il reato costituente il presupposto legittimante il predetto regime differenziato.

Le censure svolte sul punto devono, quindi, reputarsi infondate.

3. Altrettanto infondata e’ la censura secondo la quale la motivazione del Tribunale di Sorveglianza difetterebbe di autonomia valutativa rispetto agli elementi valorizzati nel decreto ministeriale di proroga.

Va, brevemente, rammentato che, anche a seguito delle modifiche introdotte all’articolo 41-bis O.P. dalla legge n. 94 del 2009, il controllo di legalita’ del Tribunale di sorveglianza in ordine ai decreti di proroga del regime di detenzione differenziato deve consistere nel verificare se sussiste l’effettivo pericolo di permanenza di collegamenti del detenuto con la criminalita’ organizzata (Sez. 1 , n. 22721 del 26/3/2013, Di Grazia, Rv. 256495).

E’ stato, al riguardo, precisato che non e’ necessaria la mancanza di sintomi rilevanti, effettivi e concreti, di una dissociazione del condannato dalla stessa, essendo sufficiente la potenzialita’, attuale e concreta, di collegamenti con l’ambiente malavitoso che non potrebbe essere adeguatamente fronteggiata con il regime carcerario ordinario (Sez. 1 , Sentenza n. 47521 del 2/12/2008, Rogoli, Rv. 242071), accertamento che deve essere condotto anche alla stregua di una serie predeterminata di parametri quali il profilo criminale, la posizione rivestita dal soggetto in seno all’associazione, la perdurante operativita’ del sodalizio e la sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, elementi tutti che devono essere considerati mediante l’indicazione di indici fattuali sintomatici di attualita’ del pericolo di collegamenti con l’esterno, non neutralizzata dalla presenza di indici dimostrativi di un sopravvenuto venir meno di tale pericolo (Sez. 5 , n. 40673 del 30/05/2012, Badagliacca, Rv. 253713).

4. Il provvedimento impugnato appare conforme ai principi in precedenza illustrati, in quanto, con motivazione sufficientemente adeguata, ha valorizzato, per giustificare la perdurante, elevata pericolosita’ sociale del detenuto e l’attualita’ dei suoi collegamenti con ambienti della criminalita’ organizzata, gli elementi ritenuti dalla giurisprudenza di legittimita’ idonei a giustificare la proroga del regime penitenziario differenziato:

– il curriculum criminale e, in particolare, la sentenza di condanna per associazione per delinquere finalizzata al narco-traffico;

– il ruolo direttivo a lungo rivestito dal ricorrente all’interno della famiglia mafiosa dell’Arenella;

– la persistente attivita’ ed efficienza della consorteria mafiosa di riferimento, documentata dalle attivita’ investigative, gli arresti e le ordinanze cautelari menzionati nella superiore esposizione in fatto.

Corretta, pertanto, e’ stata la prognosi conclusiva cui e’ approdato il Giudice a quo, nel senso di ritenere, alla stregua dei parametri esaminati, il concreto pericolo che il ricorrente, ove collocato nel circuito detentivo ordinario, possa ripristinare i propri contatti con il crimine organizzato mafioso.

5. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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