assegno divorzile

Suprema Corte di Cassazione

sezione I
sentenza 14 marzo 2014, n. 6020

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CARNEVALE Corrado – Presidente
Dott. PICCININNI Carlo – Consigliere
Dott. DOGLIOTTI Massimo – rel. Consigliere
Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Consigliere
Dott. DIDONE Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 9325/2011 proposto da:
(OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), (OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliate in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che le rappresenta e difende, giusta procure a margine del ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1556/2010 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 28/10/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 02/12/2013 dal Consigliere Dott. MASSIMO DOGLIOTTI;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che si riporta;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Il Tribunale di Pisa, con sentenza in data dell’05/11/2009, dichiarava cessati gli effetti civili del matrimonio tra (OMISSIS) e (OMISSIS); dichiarava inammissibile la domanda della (OMISSIS) di addebitare il divorzio al marito; attribuiva alla (OMISSIS) assegno divorzile per l’importo di euro 500,00 mensili; rigettava la domanda della figlia maggiorenne delle parti, (OMISSIS), intervenuta nel processo, di attribuzione di un assegno di mantenimento; rigettava infine la domanda della (OMISSIS) di assegnazione della casa coniugale.
Proponevano appello principale, circa l’assegnazione della casa coniugale, la condanna al risarcimento dei danni e l’attribuzione alla figlia di assegno divorzile la (OMISSIS) e la figlia (OMISSIS); proponeva appello incidentale il (OMISSIS), chiedendo la revoca o, la riduzione dell’assegno a favore della moglie. La Corte d’Appello di Firenze, con sentenza 28/10/2010, rigettava gli appelli.
Ricorrono per cassazione (OMISSIS) e (OMISSIS).
Resiste, con controricorso, (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, le ricorrenti lamentano violazione della Legge n. 898 del 1970, articolo 6, comma 6, articolo 147 c.c., articolo 30 Cost., nonche’ omessa valutazione delle risultanze istruttorie, in punto assegno di mantenimento della figlia delle parti, stante l’affermata autosufficienza economica di questa.
Con il secondo motivo, violazione della Legge n. 898 del 1970, articolo 6, comma 6, nonche’ vizio di motivazione, omessa ed errata valutazione delle risultanze istruttorie, ancora in punto di autosufficienza economica della figlia delle parti, e di assegnazione della casa coniugale alla madre convivente.
Con il terzo, violazione della Legge n. 898 del 1970, articolo 6, comma 6, nonche’ vizio di motivazione, con riferimento alla mancata assegnazione della casa coniugale alla (OMISSIS), stante la sua condizione economica.
Con il quarto, omessa pronuncia sui diritti della (OMISSIS), conseguenti alla costruzione dell’immobile adibito a casa coniugale, cui essa aveva partecipato.
I predetti motivi, per ragione di connessione, possono essere trattati congiuntamente, e vanno rigettati in quanto infondati.
Quanto all’assegno a favore della figlia maggiorenne delle parti, la Corte di merito richiama la motivazione del primo giudice, e in particolare l’interrogatorio formale di (OMISSIS), che ammetteva di svolgere attivita’ di lavoro, cosi’ da essere sempre riuscita a provvedere al suo mantenimento. Si tratta, all’evidenza, di confessione della (OMISSIS), e a nulla rileva che essa aggiunga di svolgere lavori saltuari che, comunque, secondo quanto precisato dal giudice di appello, comportavano un’autosufficienza economica della stessa. Ne’ potevano evidentemente ammettersi capi di prova in contrasto con la predetta confessione. Per di piu’, la sentenza impugnata precisa che la (OMISSIS) e’ ormai piu’ che trentenne, idonea al lavoro, anche se senza laurea.
Di conseguenza, correttamente, non potendosi considerare la figlia a carico dei genitori, viene meno il presupposto per una pronuncia di assegnazione della casa coniugale alla madre convivente. Per giurisprudenza ampiamente consolidata, non puo’ essere assegnata la casa coniugale al coniuge, ancorche’ economicamente piu’ debole, in assenza di figli minori o maggiorenni non autosufficienti economicamente (tra le altre, Cass. n. 18440 del 2013).
La circostanza circa l’edificazione della casa coniugale su terreno di proprieta’ del marito, secondo giurisprudenza altrettanto consolidata, esclude l’acquisto alla comunione dei beni, sussistente, nella specie, tra i coniugi, dovendo prevalere il principio dell’accessione (tra le altre, Cass. n. 16670 del 2013). Quanto agli eventuali crediti, al riguardo, della (OMISSIS), la relativa questione e’ estranea alla procedura di separazione. Ne’ si potrebbe sostenere che sul punto vi sia omessa pronuncia: il giudice a quo precisa, con motivazione essenziale, ma adeguata, che la “sorte” della casa ex coniugale rimane regolata dai diritti reali o personali, su di essa gravanti.
Con il quinto motivo, le ricorrenti lamentano violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alle domande di risarcimento del danno, da esse proposte.
Le predette domande possono essere considerate nell’ambito della procedura di divorzio (e in tal senso va corretta la motivazione della sentenza della Corte di merito), ma il relativo motivo appare privo di autosufficienza e va pertanto dichiarato inammissibile: le ricorrenti si limitano a richiamare una sentenza penale, che non allegano al ricorso e di cui non indicano il contenuto, e si riferiscono genericamente alla violazione dell’obbligo di mantenimento del (OMISSIS) nei confronti di moglie e figlia, senza fornire indicazioni piu’ precise e circostanziate.
Conclusivamente va rigettato il ricorso.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna le ricorrenti in solido al pagamento delle spese processuali liquidate in euro 2.500,00 di cui euro 200.00 per esborsi, oltre accessori di legge.
A norma del Decreto Legge n. 196 del 2003, articolo 52, in caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri atti identificativi delle parti, dei minori e dei parenti, in quanto imposto dalla legge.

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