Cassazione toga nera

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

sentenza 21 marzo 2014, n. 13450

Ritenuto in fatto

1. Con l’ordinanza sopra indicata il Tribunale di Roma, Sezione per il Riesame, adito ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., confermava quella del 26/06/2013 con cui il GIP dello stesso Tribunale aveva applicato la misura della custodia cautelare in carcere nei confronti di C.G., provvisoriamente accusato, unitamente al coindagato S.N., di concorso in corruzione nei confronti di Z.G., all’epoca dei fatti sottufficiale dell’Arma dei Carabinieri in forza all’AISI – Agenzia d’Informazioni e Sicurezza Interna ed in particolare di aver partecipato ad un piano operativo contemplante l’illegittimo rientro in Italia di 20 milioni di Euro in contanti dalla Svizzera, curato dallo S. per conto degli imprenditori partenopei C. e P.D. ed affidato per l’esecuzione allo Z., incaricatosi di reperire un vettore aereo privato con cui effettuare il trasporto ed eludere più facilmente i controlli doganali grazie alla sua veste di appartenente ai servizi d’informazione, dietro promessa del compenso di € 400.000,00 in parte (€ 200.000,00) effettivamente riscossa.
Rilevava il Tribunale come il quadro di gravità indiziaria risultasse compendiato anche a carico del C. il quale, incaricato di mettere a disposizione dello S. la somma di oltre 41 milioni di Euro, vi aveva in effetti provveduto, pur tuttavia recedendo all’atto di procedere oltre nell’attuazione del piano programmato.
Concludeva il Tribunale di non poter prestare credito alla dichiarazione di estraneità dell’indagato poiché smentita dalle risultanze indiziarie costituite da intercettazioni di posta elettronica Concludeva il Tribunale di non poter prestare credito alla dichiarazione di estraneità dell’indagato poiché smentita dalle risultanze indiziarie costituite da intercettazioni di posta elettronica relativa alla messa a disposizione del denaro, dalle conversazioni telefoniche intercorse con lo Z. e lo S. – che ne evidenziavano la piena consapevolezza del possesso della qualifica di pubblico ufficiale da parte del primo e la necessità che venisse dal secondo retribuito con la somma di € 400.000,00 per i servigi richiestigli – nonché dalle dichiarazioni auto ed etero accusatorie rese sul punto dallo stesso S.
2. Avverso l’ordinanza ha presentato ricorso il C., deducendo mancanza e manifesta illogicità della motivazione, per essere il provvedimento insufficientemente argomentato tanto in ordine alla ritenuta compartecipazione all’accordo illecito intervenuto tra lo Z. e lo S. quanto all’assenza nella propria condotta di fatti e comportamenti direttamente rilevanti ai fini del reato di concorso in corruzione provvisoriamente contestato: in tale chiave risulterebbe del tutto estraneo rispetto alla vicenda in questione il contenuto di due e-mail del 13 e del 20 giugno 2012 afferenti a situazioni del tutto diverse, nonché poco significativo il tenore di un colloquio del giorno 26 giugno intercorso con lo Z. ed intercettato in corso d’indagini.
Ad avviso del ricorrente, infatti, quand’anche gli elementi indiziari evidenziassero la consapevolezza dell’esistenza dell’accordo illecito, ciò non sarebbe sufficiente ad integrare un quadro indiziario di compartecipazione nel reato rappresentato dall’accordo criminoso stipulato tra corruttore e corrotto, effettivamente concretizzatosi in prosieguo dopo che egli aveva ormai abbandonato l’operazione.
Viene, infine, dedotta violazione di legge in ordine alla sussistenza di effettive esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen. per avere il Tribunale fondato la prognosi di pericolosità sociale sulla ‘indubbia capacità organizzativa’ degli indagati, sull’esistenza di ‘aspetti manipolativi e dissimulativi’ e sulla ‘comune spregiudicatezza’, nonché e con riferimento specifico al ricorrente, alla pendenza di un procedimento penale a suo carico in Spagna, valorizzata anche per ravvisare l’esistenza di un concreto pericolo di fuga, il quale non ha tuttavia indotto il Tribunale a fissare un termine di durata della misura cautelare disposta ai sensi dell’art. 292, comma 2 lett. d) cod. proc. pen.

Considerato in diritto

3. Il ricorso risulta fondato nei termini oltre precisati.
I termini della vicenda oggetto di valutazione – quali sopra sinteticamente esposti – risultano in punto di fatto del tutto incontestati, ragion per cui la posizione del ricorrente può essere individuata per quella del terzo consapevole dell’esistenza di un accordo corruttivo tra privato (S.N.) e pubblico agente (Z.G.).
Appare, infatti, del tutto irrilevante che il C. abbia partecipato al più generale piano volto a consentire il rientro in Italia, in violazione delle disposizioni valutarie, di una consistente somma di denaro curata dal coindagato N.S.
Ai fini della contestazione provvisoriamente formulata a suo carico di concorso in corruzione propria del pubblico ufficiale Z.G. occorre, infatti, che sia dia adeguata spiegazione di come la sua condotta abbia contribuito alla stipula dell’accordo criminoso finalizzato al baratto dell’attività funzionale svolta dal pubblico agente ovvero come tale condotta abbia contribuito a favorire la realizzazione dell’accordo medesimo.
Il concorso dell’extraneus, pur non costituendone all’evidenza elemento essenziale (Cass. sez. 6 n. 1752 del 14/05/1998, Cercieilo, Rv. 211077) è, infatti, pienamente configurabile nei delitti di corruzione a tipica struttura bilaterale (Cass. sez. 6 n. 33435 del 4/05/2006, Rv. 234361) in base agli ordinari criteri di imputazione della responsabilità concorsuale di cui all’art. 110 cod. pen., ma implica un grado di coinvolgimento nella fase dell’ideazione (sotto forma di determinazione o suggerimento fornito all’uno o all’altro dei concorrenti necessari) ovvero della preparazione (si pensi alla classica figura dell’intermediario) ovvero della realizzazione di una delle condotte tipiche (stipula dei pactum sceleris tra corrotto e corruttore e ricezione di denaro o altre utilità) o ancora della successiva attuazione concreta dell’accordo, che nella fattispecie non sembra potersi ravvisare.
Non è, infatti, lecito interpretare la mera consapevolezza dell’esistenza del patto criminoso tra privato e pubblico agente – quale incontestabilmente emergente dalla vicenda in esame – in termini di concorso nella corruzione, quand’anche in forza di tale consapevolezza l’estraneo abbia posto in essere comportamenti genericamente connessi a detto accordo (o all’indebita dazione di utilità al pubblico agente), vale a dire che non si pongano in un rapporto strettamente funzionale rispetto alla realizzazione di una delle condotte tipiche del reato.
La condotta del terzo che si caratterizzi in tal senso può allora dare luogo unicamente a connivenza non punibile, il cui connotato essenziale è rappresentato da un atteggiamento meramente passivo rispetto al fatto tipico (v. Cass. sez. 6 n. 1108 del 4/12/1996, PM in proc. Famiano, Rv. 206786 e Cass. sez. 6 n. 579 del 30/09/1993, Borgia ed al., Rv. 196116 entrambe riferite al delitto di detenzione di sostanze stupefacenti).
4. Spetterà, dunque, al Tribunale di Roma, cui gli atti vanno restituiti per nuovo esame, rivalutare se la condotta ascritta al ricorrente abbia esplicato un ruolo di incidenza attiva nella ideazione, nella preparazione o nella conclusione dell’accordo criminoso tra corruttore e pubblico agente ovvero nella relativa attuazione, tenendo fermo il principio di diritto che la mera consapevolezza dell’esistenza del patto, quand’anche accompagnata da comportamenti ad esso genericamente ma non funzionalmente collegati, non può essere apprezzata in termini di concorso nel reato rilevante ai fini e per gli effetti dell’art. 110 cod. pen.

P.Q.M.

annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Roma.

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