www.studiodisa.it

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza  10 luglio 2013, n. 17097

Svolgimento del processo

Con sentenza n. 470 del 29 agosto 2005, la Corte d’appello di Salerno ha accolto parzialmente l’impugnazione per nullità, proposta dal Comune di Nocera Superiore nei confronti dell’arch. F.T. , del lodo del 14 marzo 2003, relativo alle prestazioni che il professionista deduceva di avere svolto, in base a contratto, per conto dell’ente locale, per le quali aveva chiesto e ottenuto, con la indicata decisione arbitrale, Euro 118.957,00, che sono state ritenute in sede di impugnazione non dovute in parte.
La Corte di merito adita ha infatti dichiarato la nullità parziale del lodo, per la parte in cui aveva condannato il comune impugnante a pagare al professionista Euro 83.804,74 (Euro 24.534,04 + Euro 59.270,70 e accessori), per la progettazione e direzione dei lavori di riqualificazione dei giardini della biblioteca, di piazza (omissis) e delle barriere verdi della scuola (OMISSIS) , mancando un contratto scritto a base di esse, per cui erano infondate le relative richieste di pagamento su base contrattuale.
La stessa Corte ha respinto invece l’impugnazione per la parte in cui chiedeva di dichiarare la nullità del rapporto obbligatorio tra ente locale e professionista, confermando la validità del lodo per la sola parte in cui ha riconosciuto dovuti Euro 4.120.79 ed Euro 31.033,85, rispettivamente per la progettazione dell’intervento di riqualificazione urbana del prolungamento di Via (omissis) e Via (…) e per la direzione dei lavori di analogo intervento nella zona di Via (omissis) e Via (…), oggetto del disciplinare del 5 marzo 1999 sottoscritto dalle parti, compensando i due terzi delle spese del giudizio arbitrale e di quello di impugnazione e ponendo il residuo terzo a carico del Comune di Nocera Superiore.
Ritenuta ammissibile la impugnazione del lodo, la Corte di merito ha ritenuto fondata la denuncia del Comune di Nocera Superiore di violazione di legge del lodo, in ordine alle prestazioni professionali espletate in base a determine dell’ente locale non seguite da accordi scritti tra le parti, per la mancanza di un contratto fonte degli obblighi tra le parti e riconoscendo invece le obbligazioni di pagamento per le attività professionali svolte in base al disciplinare del 5 marzo 1999, costituente accordo scritto vincolante per le parti, per il quale erano dovuti i compensi delle attività professionali oggetto del conferimento d’incarico di cui all’accordo stesso, accogliendo quindi nei limiti detti la impugnativa dell’ente locale.
Per la cassazione della indicata sentenza della Corte di appello di Salerno n. 470 del 28 agosto 2005, propone ricorso principale di due motivi, notificato il 27 ottobre 2006, l’arch. T..F. , e ad esso replica, con controricorso e ricorso incidentale notificato il 27 novembre 2006, il Comune di Nocera Superiore.

Motivi della decisione

1. Preliminarmente vanno riuniti i due ricorsi avverso la medesima sentenza, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
1.1. Il primo motivo del ricorso principale del F. deduce violazione dell’art. 829 c.p.c., per contraddittorietà della motivazione della pronuncia della Corte d’appello sulla nullità parziale del lodo, per avere ricostruito la volontà delle parti in modo diverso da quanto risultava dal lodo stesso, pur avendo affermato che ad essa era preclusa una interpretazione del contratto diversa da quella contenuta nella decisione arbitrale.
La Corte d’appello ha esaminato il contratto dal cui contenuto ha desunto che il disciplinare riguardava la progettazione e direzione dei lavori, di cui alla determina n. 163 del 1999, cioè quelli “di riqualificazione urbana con pedonalizzazione e relativo arredo urbano-illuminazione di Piazzetta (omissis) , Via (omissis) , Via (…), Via (omissis) , Via (…)”.
Attraverso la lettura del c.d. disciplinare, la sentenza impugnata della Corte salernitana, è giunta alla definizione non solo delle zone di intervento previste nel detto contratto, ma anche della tipologia di tale intervento, per effetto di una lettura e interpretazione del disciplinare del 5 marzo del 1999, diversa da quella data dagli arbitri e costituente merito del lodo impugnato, che aveva definito il disciplinare stesso contratto “normativo regolante tutte le prestazioni professionali relative alla categoria di arredo urbano, anche oggetto di affidamenti successivi”.
Il ricorso riporta molte frasi del disciplinare di incarico che ne confermano la particolare natura, negata invece dalla Corte di merito e richiama in specie la individuazione in contratto delle varie zone ove erano in corso i lavori di arredo urbano da eseguire e gli obblighi del professionista assunti per evitare varianti dei progetti da lui elaborati salvo che quelle ritenute necessarie dal comune, con esclusione di ogni maggiore onere per esso.
Dal disciplinare che precede poteva quindi desumersi che esso riguardasse ogni attività professionale dell’arch. F. in favore del comune e le nuove direttive dell’ente locale che il professionista si era impegnato ad osservare erano solo le varianti disposte dall’ente locale di cui all’art. 7 del contratto che precede, anche per gli altri lavori di cui alle varie determine non ritenute da sole fonti di obbligazioni per le parti in sede di impugnazione.
1.2. Si lamenta poi la violazione degli artt. 16 e 17 del R.D. 18 novembre 1923 n. 2440, 93 del R.D. 23 maggio 1924 n. 827, 1325, 1326, 1350 c.c. e degli artt. 12 e 14 delle disposizioni sulla legge in generale.
La Corte d’appello ha erroneamente letto le norme che impongono la forma scritta dei contratti della P.A. ritenendo che essa dovesse applicarsi in ogni possibile aspetto dell’incarico professionale conferito al ricorrente, qualificando nullo il disciplinare, per non avere previsto la tipologia di intervento di cui alle singole determine che lo consentivano, operando un distinguo tra verde attrezzato e arredo urbano, che non è neppure collegato alla concreta vicenda. Nessun rilievo si è dato alla circostanza che per contratto all’arch. F. era consentito di introdurre nel progetto modifiche necessarie e approvate dalla amministrazione comunale, per cui l’ente locale avrebbe dovuto pagare i corrispettivi di tutti i progetti e lavori eseguiti dal professionista.
1.3. Il Comune di Nocera Superiore con il ricorso incidentale denuncia violazione degli artt. 91, 99, 112, 814 – 829 c.p.c., per avere gli arbitri liquidato le spese e gli onorari, così inserendo nel lodo una proposta qualificata di accordo su di esse alle parti del giudizio, non costituendo la loro decisione sulle spese una statuizione impugnabile del lodo, per cui erroneamente si sarebbe pronunciata su di esse la Corte di merito.
Per il controricorrente la parificazione tra spese del processo di impugnazione e compensi agli arbitri è illegittima, dato che la statuizione del lodo sulla imputazione e liquidazione del compenso non è suscettibile d’impugnazione per cui è abnorme la statuizione della Corte salernitana nella parte in cui ha confermato la disciplina delle spese contenuta nel lodo che non ha carattere di pronuncia di risoluzione del conflitto tra le parti ma costituisce solo una proposta degli arbitri che può essere accettata o rifiutata dalle parti.
2.1. Il primo motivo di ricorso è infondato perché prospetta una lettura della sentenza della Corte d’appello non corrispondente a quanto emerge dal contenuto di essa, che ha solo individuato un errore di diritto del lodo dedotto con la impugnazione accolta per tale profilo. La Corte di merito ha infatti ritenuto che l’obbligo di compenso professionale in favore dell’arch. F. era sorto soltanto relativamente alle prestazioni professionali oggetto di contratto scritto e in presenza di un unico disciplinare avente tale qualifica ha riconosciuto i soli compensi per l’attività dallo stesso accordo prevista e regolata, negando che provvedimenti amministrativi unilaterali come le determine invocate dal F. potessero vincolare l’ente locale, avendo esse rilievo solo interno, per cui doveva escludersi potessero essere fonte di obblighi per l’ente locale.
La questione di diritto proposta con il lodo era quella della qualificazione come contratto c.d. “quadro” o “normativo” del disciplinare del 1999, dedotta dall’impugnato arch. F. e negata dall’impugnante per cui l’errore di diritto costituito da detta qualificazione e denunciato con la impugnazione di lodo, esattamente si è valutato come esistente ed ha quindi escluso la esistenza di un accordo scritto tra le parti a base delle prestazioni professionali per cui si nega il pagamento.
Il disciplinare del 5 marzo 1999 si è ritenuto contratto in forma scritta limitato negli effetti al solo incarico per le prestazioni dell’arch. F. , per le quali la Corte di merito ha negato la nullità del lodo, dichiarato nullo solo nella parte in cui aveva esteso gli effetti del predetto accordo ad ogni prestazione professionale dell’arch. F.,
rigettando le domande di pagamento per le attività non espressamente previste e regolate dal disciplinare. Non s’è trattato quindi di un valutazione dei fatti dedotti dalle parti del giudizio arbitrale o di prove acquisite, preclusa con l’impugnazione per nullità del lodo (tra altre Cass. 24 giugno 2011 n. 13968, 3 novembre 2006 n. 23597 e 20 marzo 2003 n. 4078), ma solo di una decisione sull’errore di diritto circa la esistenza e gli effetti di un contratto per prestazioni professionali per le quali si nega il pagamento.
2.2. Il secondo motivo del ricorso principale è anche esso infondato, perché la Corte d’appello ha solo negato la esistenza di contratti scritti a base delle prestazioni professionali per le quali non ha riconosciuto il compenso. Nessuna nullità di contratto si è rilevata invece, per le attività dell’arch. F. per le quali non si è riconosciuto il diritto al compenso, avendo la Corte d’appello solamente escluso l’esistenza di accordi tra le parti che le prevedessero e/o le regolassero, per cui neppure si pone la questione della forma, di cui al secondo motivo di ricorso principale anche esso da rigettare.
2.3. Anche il ricorso incidentale è infondato, perché se è vero che la statuizione sulle spese del procedimento arbitrale è relativa ad un autonomo rapporto professionale e costituisce di regola una mera proposta di compenso per gli arbitri come tale non impugnabile con il lodo (così da Cass. 4 maggio 1981 n. 2702 a Cass. 23 giugno 2008 n. 1704), appare chiaro che la dichiarazione di nullità parziale del lodo, ha comportato il venir meno della disciplina accessoria sulle spese del giudizio arbitrale e sui compensi agli arbitri, che quindi può essere rinnovata totalmente dalla Corte d’appello quale giudice dell’impugnazione (Cass. 4 giugno 2012 n. 8919 e 10 agosto 2007 n. 17631).
3. In conclusione, riuniti i ricorsi principale e incidentale, devono entrambi rigettarsi e, per la reciproca soccombenza, le spese del giudizio di cassazione possono interamente compensarsi tra le parti.

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, li rigetta e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *