Corte di Cassazione, sezione I penale, sentenza del 16 giugno 2017, n. 30349

 L’autorizzazione ex art. 284, comma 3, ha natura eccezionale, in quanto introduce una deroga alla prescrizione principale e che appunto connota la misura in oggetto – id est il divieto di allontanarsi dal luogo di restrizione domestica -, in presenza di un soggetto rispetto al quale il giudice ha ritenuto adeguata la misura alternativa, congrua anche rispetto all’esigenza di fronteggiare i pericula libertatis, seppure temperata rispetto alla forma espiativa carceraria. Ne discende che la sussistenza delle “indispensabili esigenze di vita” deve essere ancorata dal decidente a situazioni obbiettivamente riscontrabili, nelle quali si renda necessario, dunque non solo opportuno, per la vita del soggetto ristretto agli arresti domiciliari consentire l’allontanamento, non potendo questi fare aliunde fronte all’esigenza di vita rappresentata

 

Suprema Corte di Cassazione

sezione I penale

sentenza 16 giugno 2017, n. 30349

 

Rilevato in fatto

Con ordinanza in data 15.02.2005 del Tribunale di Sorveglianza di Bologna veniva concessa la detenzione domiciliare ex art. 16 nonies della Legge n. 82/1991 al collaboratore di giustizia S.L.F.. Con provvedimento in data 10.07.2015 il Magistrato di Sorveglianza di Firenze autorizzava il detenuto domiciliare ad uscire, per motivi di lavoro, dalla abitazione tutti i giorni dalle ore 10.00 alle ore 16.00 e dalle ore 18.00 alle ore 01.00 (alle ore 03.00 nei giorni di venerdì, sabato e domenica) nonché a spostarsi nella Provincia di Firenze per esigenze di vita.
Con richiesta depositata in data 09.01.2016 il detenuto domiciliare chiedeva l’autorizzazione a portare il figlio minore a scuola alle ore 08.00 e a riprenderlo alle ore 16.10 nonché a portarlo a svolgere varie attività sportive: giustificava la richiesta con la partenza della sua compagna per il Perù, dove avrebbe dato assistenza al padre per un periodo non superiore ai sei mesi.
Con provvedimento in data 08.01.2016 il Magistrato di Sorveglianza rigettava la richiesta, precisando che si trattava di istanze già non accolte ripetutamente, in ragione dell’ampiezza delle autorizzazioni orarie di cui egli già fruiva.
Avverso detto provvedimento propone ricorso l’interessato a mezzo del difensore, deducendo erronea applicazione di legge e mancanza di motivazione: in primo luogo si evidenzia la sussistenza di un interesse attuale e concreto nonché il diritto costituzionale del padre di garantire al figlio le attività di studio e le esigenze sanitarie, tutelate dall’art. 284 cod.proc.pen. Si lamenta che i pur ampli orari di uscita consentiti non permettevano di provvedere alle esigenze del figlio e che il provvedimento reiettivo era sostanzialmente privo di motivazione, poiché non poneva a raffronto le esigenze rappresentate con pericoli di nuovi reati o comunque con esigenze di sicurezza.
Il P.G. si esprime per l’annullamento con rinvio.

Considerato in diritto

Il ricorso è fondato.
Preliminarmente va chiarito che lo stesso è pienamente ammissibile in rito: ai sensi dell’art. 111 Cost., comma 7, è sempre esperibile il ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pronunciati dal Magistrato di Sorveglianza in materia di modifica delle modalità di esecuzione della detenzione domiciliare, trattandosi di provvedimenti che incidono sulla libertà personale (Sez. 1, n. 30132 del 20 maggio 2003; Sez. 1, n. 11578 del 05.02.2013, Rv 255309).
Affrontando più specificamente il tema del ricorso, va detto che, assorbente rispetto ad ogni argomentazione sul diritto-dovere del genitore a garantire al figlio le attività di studio e le esigenze sanitarie, si mostra la sostanziale carenza di motivazione del provvedimento impugnato.
In effetti, in linea generale, la motivazione dei provvedimenti giudiziari può, a seconda dei casi, richiedere uno svolgimento più o meno analitico, ma è altrettanto incontestabile che essa presuppone, in ogni caso, l’indicazione chiara della base fattuale posta a fondamento della valutazione effettuata (Sez. Un., n. 2451 del 27 settembre 2007).
Nel caso di specie, l’interessato aveva chiesto un ampliamento ulteriore a lasciare l’abitazione connettendo detta istanza con le necessità legate al corso scolastico del figlio ed alle sue esigenze sportive: il Magistrato di Sorveglianza ha rigettato la richiesta del detenuto domiciliare limitandosi ad affermare che l’ulteriore istanza non poteva trovare accoglimento in considerazione dell’ampiezza delle autorizzazioni già fruite dal condannato.
Questa motivazione non è congrua rispetto a quanto richiesto, poiché si mostra sostanzialmente apodittica e non affronta in alcun modo le esigenze prospettate dal detenuto domiciliare né il tema della loro fondatezza e della loro compatibilità con l’insieme delle prescrizioni imposte e delle esigenze di sicurezza pubblica.
Va considerato che l’art. 16 nonies della Legge n. 82/1991 prevede la deroga alle ordinarie disposizioni esclusivamente in relazione alle condizioni di ammissione al beneficio penitenziario delle detenzione domiciliare: ne consegue che, per le modalità della misura, occorre comunque fare riferimento all’art. 47-ter Ord.Pen. e quindi all’art. 284 cod.proc.pen..
A norma dell’art. 284, comma 3, cod. proc. pen., “Se l’imputato non può altrimenti provvedere alle sue indispensabili esigenze di vita ovvero versa in situazione di assoluta indigenza, il giudice può autorizzarlo ad assentarsi nel corso della giornata dal luogo di arresto per il tempo strettamente necessario per provvedere alle suddette esigenze ovvero per esercitare una attività lavorativa”.
Dal chiaro disposto normativo si evince che l’autorizzazione ex art. 284, comma 3, ha natura eccezionale, in quanto introduce una deroga alla prescrizione principale e che appunto connota la misura in oggetto – id est il divieto di allontanarsi dal luogo di restrizione domestica -, in presenza di un soggetto rispetto al quale il giudice ha ritenuto adeguata la misura alternativa, congrua anche rispetto all’esigenza di fronteggiare i pericula libertatis, seppure temperata rispetto alla forma espiativa carceraria. Ne discende che la sussistenza delle “indispensabili esigenze di vita” deve essere ancorata dal decidente a situazioni obbiettivamente riscontrabili, nelle quali si renda necessario, dunque non solo opportuno, per la vita del soggetto ristretto agli arresti domiciliari consentire l’allontanamento, non potendo questi fare aliunde fronte all’esigenza di vita rappresentata.
In questo senso è il costante insegnamento di questa Corte regolatrice, secondo il quale, dal testo normativo, dai lavori preparatori e dalla qualificazione dei presupposti autorizzativi in termini di “indispensabilità” e di “assolutezza”, emerge che la valutazione del giudice da compiere ai fini della concessione dell’autorizzazione ad assentarsi dal luogo di detenzione ex art. 284, comma terzo, cod. proc. pen., deve essere improntata a criteri di particolare rigore, di cui il giudice deve dare conto nella motivazione del relativo provvedimento (Sez. 3, n. 3649 del 17/11/1999 – dep. 23/02/2000, Verde F, Rv. 215522; Sez. 2, n. 9004 del 17/02/2015 – dep. 02/03/2015, Prago, Rv. 263237; Sez. 6, n. 553 del 21.10.2015, Rv. 265705).
Di tali coordinate ermeneutiche non ha fatto buon governo il giudice, nella parte in cui – senza riportare con considerazioni adeguate né aderenti alla istanza né conformi a logica – ha rigettato la richiesta fondandosi su di una aprioristica preclusione che sarebbe stata conseguenza delle autorizzazioni già concesse.
Al contrario, doveva essere accertata la fondatezza della asserzione del detenuto domiciliare e l’impossibilità assoluta dell’altro genitore di far fronte a tale incombente (per l’assenza cui aveva fatto riferimento il ricorrente), oppure l’impossibilità assoluta di avvalersi di persone di fiducia.
Parimenti, il provvedimento, emesso senza alcuna sostanziale istruttoria sulle esigenze rappresentate, avrebbe potuto rimodulare le autorizzazioni già esistenti o ricalibrare gli orari di uscita dalla abitazione od anche ipotizzare soluzioni alternative, in modo da contemperare le esigenze del detenuto domiciliare con la cura del figlio e il rispetto della necessaria afflittività dell’espiazione della pena, sia pure con modalità domiciliari.
L’apparenza della motivazione impone dunque l’annullamento del provvedimento impugnato ed il rinvio per nuovo esame al Magistrato di Sorveglianza di Firenze.

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato e rinvia per nuovo esame al Magistrato di Sorveglianza di Firenze.

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