Una notizia, mutuata da un provvedimento giudiziario, va considerata vera se è fedele al contenuto del documento. Non si può, infatti, chiedere al giornalista di dimostrare la fondatezza delle decisioni assunte in sede giudiziaria.

Suprema Corte di Cassazione

sezione I civile

sentenza 5 aprile 2017, n. 8807

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAGONESI Vittorio – Presidente

Dott. GENOVESE Francesco A. – rel. Consigliere

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10738/2013 proposto da:

(OMISSIS) (C.F. (OMISSIS)), (OMISSIS) (C.F. (OMISSIS)), nella qualita’ di eredi di (OMISSIS), e (OMISSIS) (C.F. (OMISSIS)), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), rappresentati e difesi dall’avvocato (OMISSIS) e dall’avvocato (OMISSIS) la prima, e dall’avvocato (OMISSIS) il secondo, giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 800/2013 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 11/02/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 01/02/2017 dal cons. GENOVESE FRANCESCO ANTONIO;

udito, per i ricorrenti, l’Avvocato (OMISSIS), con delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per i controricorrenti, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’inammissibilita’ o comunque il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ALBERTO Cardino, che ha concluso per l’accoglimento dei motivi primo, secondo e quarto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

1.La Corte d’Appello di Roma, pronunciando in sede di rinvio, ai sensi dell’articolo 622 c.p.p., (ossia, a seguito dell’annullamento della sentenza della Corte d’appello penale che, in riforma della precedente pronuncia del Tribunale, aveva prosciolto ex articolo 129 c.p.p., gli odierni ricorrenti dal reato di diffamazione a mezzo stampa, riconoscendo solo l’avvenuta prescrizione dello stesso), dichiarata inammissibile la domanda proposta contro (OMISSIS) SpA, editore del quotidiano omonimo, ha condannato i signori (OMISSIS) (autore dei due articoli reputati lesivi), (OMISSIS) e (OMISSIS) (quali eredi di (OMISSIS), direttore responsabile del quotidiano), in solido tra loro, al pagamento di una somma a titolo di risarcimento del danno in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS), oltre alle spese giudiziali.

1.1. I due articoli in questione, ritenuti offensivi della reputazione degli odierni resistenti, riguardavano la clinica (OMISSIS), coinvolta in alcune indagini di PG, a causa di presunte irregolarita’ nella gestione della struttura sanitaria, consumate ai danni del SSN, con riferimento a indebite terapie riabilitative per pazienti che avrebbero dovuto essere curati in altri istituti e per la riscossione dei relativi compensi.

2. La Corte territoriale, per quello che qui ancora rileva ed interessa, ha concluso per la responsabilita’ del giornalista e del direttore responsabile del quotidiano in quanto, non essendo sufficiente la mera deduzione di aver redatto l’articolo sulla base di informazioni raccolte presso gli organi di P.G., formalizzati in una informativa di reato trasmessa al P.M., “in presenza di una espressa contestazione da parte dei danneggiati dei fatti esposti, i convenuti avrebbero dovuto fornire la prova della rispondenza di quanto pubblicato al contenuto dell’informativa”, non prodotta in causa, cosi’ come del fatto che l’informativa indicasse come amministratore di fatto della casa di cura il (OMISSIS).

2.1. La richiesta di un generico ordine di esibizione degli atti del procedimento penale era inammissibile perche’ sarebbe stato suo onere la produzione degli specifici atti eventualmente ritenuti rilevanti ai fini della propria difesa.

2.2. Pertanto, essi non avrebbero fornito la prova che le risultanze delle indagini, anche in riferimento alla semplice verita’ putativa, giustificassero la diffusione della notizia, peraltro esposta in termini di certezza e non di semplice ipotesi accusatoria.

3. Avverso tale sentenza hanno proposto ricorso per cassazione i soccombenti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), con sei mezzi.

4. (OMISSIS) e (OMISSIS) resistono con controricorso e memoria illustrativa.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., articolo 115 c.p.c., e dei principi generali in materia di onere della prova; articolo 21 Cost., articoli 51 e 595 c.p., in tema di verita’ (oggettiva e/o putativa) della notizia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5) i ricorrenti, premesso che avevano allegato alle proprie difese la sentenza resa dal Tribunale penale n. 15069 del 2005 (dalla quale risultava, a p. 3, il fatto che i querelanti erano imputati del reato di truffa aggravata, nonche’ della pendenza di altri due procedimenti, uno archiviato davanti alla PR presso la Corte dei conti dell’Abruzzo e l’altro conclusosi con la loro assoluzione davanti al GIP di Vasto) e che gli attori non avrebbero specificamente contestato l’esistenza della informativa della PG a loro carico e la corrispondenza della notizia relativa agli atti d’indagine al suo contenuto, lamentano l’omesso esame del documento depositato e la violazione di legge in considerazione del fatto che, non essendo oggetto di contestazione ne’ l’esistenza del procedimento ne’ dell’informativa di PG che vi aveva dato luogo, essi non erano tenuti a provare l’esistenza del documento (l’informativa di PG) e la corrispondenza della notizia oggetto dell’articolo al contenuto del documento menzionato, in rapporto al principio della verita’, anche putativa.

2. Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., articolo 115 c.p.c., e dei principi generali in materia di onere della prova; articolo 21 Cost., articoli 51 e 595 c.p., in tema di verita’ (oggettiva e/o putativa) della notizia, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5) i ricorrenti, premesso che avevano allegato alle proprie difese la sentenza resa dal Tribunale penale n. 15069 del 2005 (dalla quale risultava, a p. 3, il coinvolgimento del (OMISSIS) nei procedimenti menzionati al § precedente) e che gli attori non avrebbero specificamente contestato l’esistenza della informativa della PG anche a carico del (OMISSIS) e la corrispondenza della notizia relativa agli atti d’indagine al suo contenuto, lamentano l’omesso esame del documento depositato e la violazione di legge in considerazione del fatto che, non essendo oggetto di contestazione ne’ l’esistenza del procedimento ne’ dell’informativa di PG che vi aveva dato luogo, essi non erano tenuti a provare l’esistenza del documento (l’informativa di PG) e la corrispondenza della notizia oggetto dell’articolo al contenuto del documento menzionato, in rapporto al principio della verita’, anche putativa.

3. Con il terzo (violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 c.c., articolo 115 c.p.c., e dei principi generali in materia di onere della prova; articolo 21 Cost., articoli 51 e 595 c.p., in tema di pubblicazione di una intervista, articolo 2043 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5) i ricorrenti, premesso che l’articolo conteneva l’intervista al dr. (OMISSIS), manager della struttura al momento della pubblicazione dell’articolo, il quale aveva affermato l’esistenza di irregolarita’ nella precedente gestione e di avere denunciato i fatti, e che gli attori non avrebbero specificamente contestato l’esistenza dei fatti, riconosciuti dal Tribunale in sede penale, lamentano l’omesso esame dell’intervista e la violazione di legge in rapporto al principio della verita’, anche putativa.

4. Con il quarto (Omesso esame di un documento decisivo ai fini del giudizio, ossia la sentenza di Cassazione, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5) i ricorrenti, trascritta la pag. 1 della sentenza penale n. 24041 del 2008 della Corte di cassazione (peraltro depositata agli atti),dove sarebbe stata affermata l’esistenza di irregolarita’ nella precedente gestione della struttura sanitaria e della denuncia dei fatti, e che gli attori non avrebbero specificamente contestato, lamentano l’omesso esame della pronuncia dalla quale risulterebbe il riconoscimento della verita’ delle notizie pubblicate.

5. Con il quinto (violazione e falsa applicazione dell’articolo 213 c.p.c., articolo 200 c.p.p.; articolo 21 Cost., in tema di acquisizione di atti di un procedimento penale, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3) i ricorrenti, premesso che la sentenza impugnata aveva ritenuto inammissibile la loro richiesta di ordinare l’esibizione degli atti del procedimento penale svoltosi a carico degli attori, lamentano la violazione dei richiamati dispositivi di legge atteso che, da un lato, essi non avrebbero diritto ad ottenerne copia (non essendo parti di quel giudizio) e, da un altro, anche in ragione del diritto al segreto delle fonti informative, quello dell’esibizione era l’unico mezzo per garantire anche il rispetto del diritto costituzionale al segreto sulle fonti informative.

6. Con il sesto (violazione e falsa applicazione degli articoli 2697 e 1226 c.c., e del comb. disp. degli articoli 2059 e 2043 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3) i ricorrenti lamentano che sia stata considerata esistente la prova del danno (e dell’entita’ della sua liquidazione) in difetto della prova e in violazione dei principi giurisprudenziali, al riguardo elaborati.

7. I primi quattro mezzi, tra di loro strettamente connessi ed analoghi nelle deduzioni, vanno esaminati congiuntamente e dichiarati inammissibili.

7.1. Con essi si lamenta che, a fronte del principio di non contestazione (non avendo le parti attrici messo in dubbio l’esistenza dell’informativa di PG (e la qualita’ del (OMISSIS), ivi considerato come un amministratore di fatto della struttura sanitaria), sia stato ascritto agli odierni ricorrente la mancata produzione e deposito del documento di riferimento, in relazione all’esistenza ed al contenuto del quale non v’erano state contestazioni, come si desumerebbe dalle due sentenze allegate agli atti (quella del Tribunale penale e quella della Cassazione penale), cosi’ come si evincerebbe anche dalla intervista comparsa assieme all’articolo censurato.

7.2. I ricorrenti mostrano di fare applicazione indebita del principio di non contestazione che, com’e’ stato di recente puntualizzato, “riguarda le allegazioni delle parti e non i documenti prodotti, ne’ la loro valenza probatoria la cui valutazione, in relazione ai fatti contestati, e’ riservata al giudice” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 12748 del 2016).

7.3. In sostanza, dai documenti evidenziati (non contestati dagli attori, anche in quanto la loro emanazione sia derivata da una informativa di PG) non puo’ trarsi, in alcun modo, la conclusione che il tenore dell’articolo censurato e pubblicato sul quotidiano corrispondesse ai contenuti della informativa della Guardia di Finanza – Nucleo di PT, dal quale era cominciato il processo penale a carico degli attori, conclusosi pero’ a loro favore.

7.4. Richiamare tali documenti, per pervenire al risultato dell’inferenza di conformita’ tra l’articolo di denuncia e l’informativa di PG e’ un’operazione impossibile e le censure svolte dai ricorrenti a tali fini, percio’, equivalgono a inammissibili doglianze in ordine alle conclusioni a cui e’ giunta la Corte territoriale, la quale ha basato il suo giudizio di responsabilita’ dei ricorrenti proprio in base al fatto materiale del mancato deposito dell’informativa, che si assumeva fonte della cronaca giornalistica, e la cui assenza impediva al Collegio giudicante di raffrontare i contenuti dell’articolo con quelli dell’atto di PG, in modo da pervenire alla conclusione del compimento di una attivita’ scriminata.

7.5. Quest’ultima, come affermato dal giudice a quo, avrebbe potuto trarsi solo dalla produzione del documento piu’ volte menzionato, alla luce del principio di diritto – costituente diritto vivente e che si condivide -, secondo cui “in tema di diritto di cronaca giornalistica, la verita’ di una notizia, mutuata da un provvedimento giudiziario, sussiste ogniqualvolta essa sia fedele al contenuto del provvedimento stesso. E’ pertanto sufficiente che l’articolo pubblicato corrisponda al contenuto degli atti e provvedimenti della autorita’ giudiziaria, non potendo richiedersi al giornalista di dimostrare la fondatezza delle decisioni assunte in sede giudiziaria e dovendo, d’altra parte, il criterio della verita’ della notizia essere riferito agli sviluppi di indagine ed istruttori quali risultano al momento della pubblicazione dell’articolo e non gia’, secondo quando successivamente accertato in sede giurisdizionale”. (Cass. pen., Sez. 5, Sentenze: nn. 2842 del 1999; 8935 del 2000; 6924 del 2000; 43382 del 2010).

7.6. Ne’ si puo’ ragionevolmente pensare che la verita’ putativa, come definibile al momento del resoconto giornalistico, potesse scaturire, dalla sentenza del Tribunale, che conteneva la statuizione di condanna dei due responsabili (il giornalista, autore dell’articolo, ed il direttore responsabile del quotidiano), non certo di loro assoluzione, e da quella della Cassazione, che ha cancellato la pronuncia di assoluzione della Corte d’appello penale (non certo per una diversa diagnosi di colpevolezza) ed statuito l’estinzione del reato per prescrizione: insomma due pronunce che, pur nelle premesse sull’esistenza della informativa della G.d.F., nulla dicono circa il tenore di quella, ma il cui esame e’ stato correttamente ritenuto indispensabile dalla Corte territoriale per raffrontarne il contenuto con i due articoli ritenuti offensivi.

7.7. Ne’ da un’intervista (peraltro neppure riportata e trascritta, con modalita’ autosufficienti) puo’, altrettanto ragionevolmente, pervenirsi a considerazioni surrogatorie di specifiche informazioni che – secondo il diritto vivente richiamato – devono essere esaminate di “prima mano”, guardando e comparando tra di loro i due testi (articolo e denuncia di PG), alla ricerca della cd. verita’ putativa.

7.8. Tanto precisato in ordine ai principi sulla verita’ putativa e sulla documentazione idonea a fornirne la prova, va esaminato il quinto mezzo di cassazione, l’unico attinente proprio al documento di cui si chiedeva, a ragione come si e’ detto, la produzione in giudizio.

8. Il quinto motivo lamenta, infatti, il mancato accoglimento della richiesta di esibizione degli atti del processo penale a carico dei due attori (e querelanti), per l’asserita impossibilita’ dei convenuti di procurarseli e di non rivelare le proprie fonti informative.

8.1. Anche tale motivo, pero’, e’ inammissibile poiche’ esso poteva essere suscettibile di scrutinio (e di accoglimento, in caso di mancata motivazione e giustificazione da parte del giudice di merito) solo ove i ricorrenti avessero allegato e dimostrato di aver richiesto all’AG competente il rilascio delle copie degli atti reputati necessari ai fini della prova della scriminante e di non averli ottenuti (per le piu’ varie ragioni ovvero per mancata risposta da parte del magistrato del PM o del giudice competente a rilasciarle), cio’ che non e’ stato neppure speso nel corso di tutto il giudizio e che non e’ stato neppure allegato dalle parti odierne ricorrenti sicche’ esso non puo’ essere neppure scrutinato in questa sede (per difetto del suo pre-requisito: la richiesta di accesso agli atti o di copia degli stessi).

9. Il sesto e’ del pari inammissibile alla luce del principio di diritto secondo cui “nella diffamazione a mezzo stampa, il danno alla reputazione, di cui si invoca il risarcimento, non e’ “in re ipsa”, ma richiede che ne sia data prova, anche a mezzo di presunzioni semplici” (Cass. Sez. 3, Sentenza n. 24474 del 2014) che, nel caso esaminato, sono state indicate (vicenda svoltasi “in ambiente sociale di provincia”, con “pregiudizio dei rapporti sociali” e “sofferenze morali soggettive”) ma in questa sede non sono state specificamente censurate.

10. il ricorso e’ complessivamente inammissibile e, in conseguenza della sua sostanziale reiezione, le relative spese sono da porre a carico dei soccombenti in solido e liquidate, in favore dei due controricorrenti in solido, come da dispositivo, in uno con la dichiarazione di sussistenza dei presupposti per il raddoppio del contributo unificato.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali che liquida, in favore dei resistenti, in solido, in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali forfettarie ed accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, articolo 1, comma 17, dichiara che sussistono i presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso di cui al procedimento n. 10994/15, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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