Ai sensi dell’art. 9 legge n. 898 del 1970 (così come modificato dall’art. 2 legge n. 436 del 1978 e dall’art. 13 legge n. 74 del 1987), le sentenze di divorzio passano in cosa giudicata rebus sic stantibus, rimanendo cioè suscettibili di modifica quanto ai rapporti economici o all’affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile. Pertanto, nel caso di mancata attribuzione dell’assegno divorzile, in sede di giudizio di divorzio, per rigetto o per mancanza della relativa domanda, la determinazione dello stesso può avvenire solo in caso di sopravvenienza di giustificati motivi, concernenti la indisponibilità di mezzi adeguati e la impossibilità oggettiva di procurarseli, ovvero le condizioni o il reddito dei coniugi. Tale principio trova applicazione anche nella ipotesi in cui il coniuge divorziato che chiede per la prima volta l’assegno sia rimasto contumace nel giudizio di divorzio, non potendo essere a lui riconosciuta una posizione diversa da quella del coniuge che, essendosi costituito, non abbia chiesto l’attribuzione di detto assegno.
La Corte d’appello non ha fatto buon governo del principio di diritto affermato nelle pronunce sopra illustrate ed ha ritenuto ammissibile la domanda svolta autonomamente e senza dedurre alcuna sopravvenienza da parte della ricorrente
Suprema Corte di Cassazione
sezione I civile
sentenza 3 febbraio 2017, n. 2953
Fatti di causa
Il Tribunale di Velletri ha dichiarato improponibile il ricorso proposto da C.M.B. e volto ad ottenere l’assegno di divorzio nei confronti dell’ex coniuge M.M. , in un giudizio autonomo e successivo a quello che aveva avuto ad oggetto lo scioglimento del vincolo.
La Corte d’Appello di Roma ha riformato la pronuncia di primo grado osservando che al fine di proporre la domanda di assegno di divorzio in giudizio diverso ed in forma autonoma rispetto al procedimento riguardante lo scioglimento del vincolo non era necessario dedurre fatti nuovi e sopravvenuti alla sentenza con la quale era stata dichiarata la cessazione degli effetti civili del matrimonio, in quanto il giudicato in questione non poteva coprire anche le domande non fatte valere in concreto.
Ritenuta, di conseguenza, del tutto ammissibile la domanda, la Corte d’appello ha riconosciuto la fondatezza di essa ed ha affermato che il giudizio di adeguatezza dei mezzi a disposizione dell’ex coniuge richiedente deve essere rapportato al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio tenendo conto del complesso delle risorse economico-patrimoniali dei coniugi stessi. Dalle complessive risultanze istruttorie, secondo la Corte territoriale, risulta che i redditi della C. sono sensibilmente inferiori a quelli dell’ex marito e che la diseguaglianza economica è immutata rispetto al matrimonio. Il reddito complessivo della C. , consistente nella retribuzione di 1500 Euro mensili non è adeguato a mantenere un tenore di vita analogo a quello goduto durante il matrimonio. Ad essa la Corte ha, pertanto, riconosciuto un assegno pari a 500 Euro mensili, escludendo lo stato d’indigenza dalla stessa invocato e rilevando il difetto di prova sull’esborso di una somma pari a 750 Euro mensili quale canone abitativo.
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso principale C.M.B. con 3 motivi. Ha resistito il M. proponendo anche tre motivi di ricorso incidentale, illustrati da memoria.
Ragioni della decisione
Nel primo motivo del ricorso principale viene dedotta la violazione dell’art. 5 comma 6 della l. n. 898 del 1970 per non avere la Corte d’Appello valutato oltre ai redditi da lavoro del M. anche ogni ulteriore cespite patrimoniale, anche immobiliare, nonostante la puntuale documentazione fornita al riguardo dalla ricorrente e per avere di conseguenza, ricostruito in modo del tutto superficiale la posizione economica del resistente, senza fornire alcuna indicazione dell’incidenza di tali cespiti sul reddito complessivo del medesimo.
Nel secondo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 5, comma 9, della l. n. 898 del 1970, per non avere la Corte d’Appello considerato gli incrementi patrimoniali goduti dal M. nel tempo, dovuti alla progressione in carriera, al patrimonio immobiliare e desumibili anche da omissioni documentali significative sia relative alle buste paga, sia agli estratti conto. Viene inoltre lamentata la mancata disposizione di un’indagine tributaria, nonostante le puntuali indicazioni e la formale richiesta della ricorrente.
Nel terzo motivo viene dedotto l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio consistente nel deposito di documentazione del tutto incompleta da parte del M. tanto da rendere necessaria un’istanza della ricorrente di accesso agli atti dell’Agenzia delle Entrate, rimasta inevasa al fine di verificare l’effettiva consistenza patrimoniale dell’ex coniuge. A tale omissione sarebbe dovuto conseguire l’accoglimento delle reiterate richieste d’integrazione istruttoria officiosa avanzate dalla ricorrente, del tutto disattese sia dal giudice di primo grado che dalla Corte d’Appello.
Nel primo motivo di ricorso incidentale viene dedotta la violazione degli artt. 3, 24 e 111 Cost. per avere la Corte d’Appello illegittimamente stralciato le note autorizzate depositate tempestivamente dal resistente perché ritenute prive della sottoscrizione del difensore e non depositate secondo le prescrizioni normative del processo telematico. In realtà le predette note sono state inoltrate regolarmente firmate con sottoscrizione digitale in copia formato pdf nei termini fissati dal giudice, al protocollo della Corte d’Appello, sia con posta elettronica certificata che ordinaria, così come richiesto dalla legge erroneamente compresa dalla Corte stessa.
Nel secondo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 9 della l. n. 898 del 1970 per avere la Corte d’Appello ritenuto ammissibile la domanda formulata in giudizio autonomo e successivo a quello sul vincolo, volta ad ottenere il riconoscimento del diritto all’assegno di divorzio sulla base dei requisiti stabiliti nell’art. 5 e non dell’art. 9. Tale domanda, pur essendo autonoma è per legge collegata alla sentenza di divorzio ed ha natura accessoria. Ne consegue che quando la pronuncia sul divorzio non dispone l’attribuzione di un assegno essa contiene una pronuncia implicita d’inesistenza degli obblighi patrimoniali di un coniuge nei confronti dell’altro. Al fine di ottenere il riconoscimento del diritto all’assegno pertanto necessario procedere ai sensi dell’art. 9 ed alle condizioni ivi c. nute.
Nel terzo motivo viene dedotta la violazione dell’art. 5 della l. n. 898 del 1970 per avere la Corte d’Appello riconosciuto alla ricorrente un assegno di divorzio in difetto dei presupposti di legge dal momento che la stessa è dotata di mezzi adeguati e il criterio relativo al tenore di vita goduto in costanza di matrimonio non è assoluto e la concomitanza dei criteri determinativi può anche portare all’azzeramento dell’assegno.
Deve essere affrontato preliminarmente il secondo motivo del ricorso incidentale, in quanto logicamente pregiudiziale all’esame delle altre censure.
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte: “ai sensi dell’art. 9 legge n. 898 del 1970 (così come modificato dall’art. 2 legge n. 436 del 1978 e dall’art. 13 legge n. 74 del 1987), le sentenze di divorzio passano in cosa giudicata rebus sic stantibus, rimanendo cioè suscettibili di modifica quanto ai rapporti economici o all’affidamento dei figli, in relazione alla sopravvenienza di fatti nuovi, mentre la rilevanza dei fatti pregressi e delle ragioni giuridiche non addotte nel giudizio che vi ha dato luogo rimane esclusa in base alla regola generale secondo cui il giudicato copre il dedotto e il deducibile. Pertanto, nel caso di mancata attribuzione dell’assegno divorzile, in sede di giudizio di divorzio, per rigetto o per mancanza della relativa domanda, la determinazione dello stesso può avvenire solo in caso di sopravvenienza di giustificati motivi, concernenti la indisponibilità di mezzi adeguati e la impossibilità oggettiva di procurarseli, ovvero le condizioni o il reddito dei coniugi. Tale principio trova applicazione anche nella ipotesi in cui il coniuge divorziato che chiede per la prima volta l’assegno sia rimasto contumace nel giudizio di divorzio, non potendo essere a lui riconosciuta una posizione diversa da quella del coniuge che, essendosi costituito, non abbia chiesto l’attribuzione di detto assegno”. (17320 del 2005,30033 del 2011).
La Corte d’appello non ha fatto buon governo del principio di diritto affermato nelle pronunce sopra illustrate ed ha ritenuto ammissibile la domanda svolta autonomamente e senza dedurre alcuna sopravvenienza da parte della ricorrente C. .
L’accoglimento di questo motivo determina sia l’assorbimento del primo e terzo motivo del ricorso incidentale che di tutti i motivi del ricorso principale.
Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto la causa può essere decisa, ex art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., nel merito con la statuizione di rigetto della domanda di assegno divorzile, da qualificarsi correttamente come modifica delle condizioni preesistenti cristallizzate nella pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio intercorso tra le parti, senza, tuttavia la deduzione e l’allegazione di fatti modificativi della e situazione anteatta.
Le complessive ragioni della decisione impongono la compensazione delle spese processuali per l’intero giudizio.
P.Q.M.
Accoglie il secondo motivo del ricorso incidentale, assorbiti i restanti motivi del ricorso incidentale e principale. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta la domanda di assegno di divorzio, compensando integralmente le spese processuali di tutti i gradi di giudizio
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