In caso di delibazione di sentenza ecclesiastica che dichiara la nullità del matrimonio canonico per vizio del consenso non è ammessa la rimessione in termini quando la durata della convivenza tra i coniugi è stata superiore a tre anni se questa viene eccepita per la prima volta nel giudizio di appello e non nella comparsa di costituzione e risposta anche se il procedimento è iniziato prima della sentenza delle sezioni unite della Cassazione che ha fissato questa regola
Suprema Corte di Cassazione
sezione I civile
sentenza 19 dicembre 2016, n. 26188
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BERNABAI Renato – Presidente
Dott. DOGLIOTTI Massimo – rel. Consigliere
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere
Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere
Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 3704/2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS) rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1649/2014 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 10/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/07/2016 dal Consigliere Dott. MASSIMO DOGLIOTTI;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. ZENO Immacolata, che ha concluso per l’accoglimento per quanto di ragione del motivo secondo overrulling 23836/15.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con citazione, ritualmente notificata, (OMISSIS) conveniva in giudizio (OMISSIS) davanti alla Corte di Appello di Firenze, per sentir dichiarare l’efficacia nel nostro ordinamento di sentenza, emessa dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Etrusco del 05/06/2012, ratificata in data 15/11/2012 dal Tribunale Ecclesiastico Regionale Flaminio e resa esecutiva in data 03/04/2013 dal Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica, dichiarativa della nullita’ del matrimonio contratto tra le parti, per vizio psichico del soggetto comportante inettitudine,al momento della manifestazione del consenso, a contrarre matrimonio. La (OMISSIS) si costituiva, deducendo la contrarieta’ della decisione all’ordine pubblico italiano, e chiedendo, in via subordinata, l’affermazione del suo diritto ad un assegno di mantenimento. La Corte di Appello di Firenze, con sentenza in data 10/10/2014, dichiarava efficace in Italia la sentenza del Tribunale ecclesiastico, nonche’ inammissibile la domanda subordinata, proposta dalla convenuta, circa l’assegno di mantenimento.
Ricorre per cassazione la (OMISSIS).
Resiste, con controricorso, il (OMISSIS).
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la ricorrente lamenta violazione della L. n. 218 del 1995, articolo 120 e 64, L. n. 121 del 1985, articolo 8, articolo 112 c.p.c., la’ dove la Corte territoriale aveva ritenuto “irricevibili” le argomentazioni della ricorrente poste a sostegno della sussistenza degli effetti contrari all’ordinamento interno della sentenza ecclesiastica. Afferma la ricorrente che le emergenze istruttorie di cui alla sentenza ecclesiastica sono state richiamate al solo fine di rappresentare che le circostanze poste a base della decisione sul difetto di discrezione di giudizio, non sono equiparabili alla incapacita’ di intendere e di volere di cui all’articolo 120 c.c.. Con il secondo motivo, violazione dell’articolo 112 c.p.c., affermando la tempestivita’ dell’eccezione ostativa alla delibazione, in ragione della durata del matrimonio, formalizzata all’udienza di discussione.
Il primo motivo appare infondato.
Correttamente la Corte di merito afferma, secondo un indirizzo giurisprudenziale ampiamente consolidato (tra le altre Cass. n. 16051 del 2009), che, in tema di delibazione delle sentenze ecclesiastiche dichiarative della nullita’ di matrimonio concordatario per difetto di consenso, la condizioni di vizio psichico, assunta dal giudice ecclesiastico come comportante inettitudine del soggetto a contrarre il matrimonio, pur non essendo del tutto coincidente, non si discosta sostanzialmente dall’ipotesi di incapacita’ di intendere e di volere contemplata dall’articolo 120 c.c.. Afferma la ricorrente di non voler “sindacare” le emergenze istruttorie della sentenza ecclesiastica, ma di indicare la differenza, nella specie, tra il difetto di discrezione di controparte e l’incapacita’ di cui all’articolo 120 c.c.. Ma, in realta’, essa finisce proprio inamissibilmente per chiedere un controllo della decisione ecclesiastica, richiamando in particolare la nozione di “immaturita’”, secondo l’ordinamento ecclesiastico, privilegiata dalla sentenza, oggetto di delibazione, che essa definisce “assai ambigua”. Del resto, la ricorrente non chiarisce in che modo eventuali differenze tra la nozione di vizio psichico “ecclesistico” e dell’incapacita’ di cui all’articolo 120 c.c., potrebbero essere in contrasto con l’Ordine pubblico Italiano. Il secondo motivo va dichiarato parimenti infondato. Questa Corte a Sezioni Unite (Cass. N. 16379 e 16380 del 2014), componendo in contrasto giurisprudenziale, sorto nell’ambito della prima sezione civile (al riguardo, v. Cass. N. 1343 del 2011; Cass. N. 8926 del 2012), ha indicato nella convivenza stabile e duratura tra gli sposi (ma se non vi fosse stabilita’ e durata, a ben vedere, non vi sarebbe neppure “convivenza”), successiva alla celebrazione del matrimonio, e dunque attinente al matrimonio rapporto, un limite generale di ordine pubblico alla delibabilita’ delle sentenze ecclesiastiche di nullita’ matrimoniale. Le predette sentenze a Sezioni Unite precisano che la relativa questione costituisce eccezioni in senso stretto e, come tale, deve essere proposta all’atto della costituzione (tempestiva) del convenuto. Richiamano in tal senso le sezioni Unite l’eccezione circa l’interruzione della separazione, ai fini della pronuncia di divorzio (articolo 3 L. Divorzio). Si tratta di interpretazione che questo Collegio condivide e che ben esprime una scelta di rispetto dell’autonomia delle parti (libero il convenuto di proporre o meno l’eccezione), con l’apposizione di un limite alla valutazione, altrimenti troppo incisiva, del giudice, cosi’ invece opportunamente scevra da ogni forma di paternalismo. L’eccezione dunque non puo’ essere rilevata di ufficio dal giudice. Solo la parte interessata (e cioe’ il convenuto) e’ legittimata: come il diritto a chiedere la nullita’ o l’annullamento matrimoniale, spetta alle parti anche lo strumento per paralizzare l’azione, che rimane nella loro disponibilita’. L’eccezione, da intendersi, come si diceva, in senso tecnico, dovra’ essere formulata, a pena di decadenza, con la comparsa di costituzione e risposta, ai sensi degli articoli 166 e 167 c.p.c.. E’ da escludere che l’eccezione possa essere ritualmente proposta per la prima volta in sede di memoria ex articolo 183 c.p.c., comma 6, cosi’ come, per la prima volta, davanti a questa Corte.
E’ pacifico, nella specie, che l’eccezione sia stata proposta dalla convenuta soltanto in sede di udienza di discussione davanti alla Corte di Appello.
Questo Collegio non condivide l’assunto di una pronuncia di questa Corte, rimasta peraltro isolata (Cass. n. 25676 del 2015) che ha parlato di overruling (e cioe’ di una regola nuova di diritto, introdotta dalle predette sentenze a Sezioni Unite, tale da comportare una remissione di termini:
In realta’ il revirement non e’ stato cosi’ profondo e repentino: la questione era gia’ stata ampiamente dibattuta in dottrina e non mancavano pronunce di merito, nel senso poi recepito da questa Corte a Sezioni Unite, che, del resto, come si e’ detto ha composto un contrasto sorto nell’ambito della prima sezione tra Cass. N. 1343 del 2011 e 8926 del 2012. E dunque ben avrebbe potuto la convenuta proporre in termini la relativa eccezione, anche prima dell’intervento risolutore delle Sezioni Unite.
Va conclusivamente rigettato il ricorso.
La sostanziale novita’ delle questioni trattate richiede la compensazione tra le parti delle spese del presente giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; compensa tra le parti le spese del presente giudizio di legittimita’. A norma del Decreto Legge n. 196 del 2003, articolo 52, in caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalita’ e gli altri atti identificativi delle parti, dei minori e dei parenti, in quanto imposto dalla legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis
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