Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 18 gennaio 2017, n. 1157

Legittima la sentenza che dichiara il fallimento dell’avvocato che attraverso una holding personale svolge a scopo di lucro un’illecita attività di intermediazione finanziaria

Suprema Corte di Cassazione

sezione I civile

sentenza 18 gennaio 2017, n. 1157

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERNABAI Renato – Presidente

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere

Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 30031/2014 proposto da:

(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS) (STUDIO LEGALE (OMISSIS)), rappresentati e difesi dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;

FALLIMENTO DI (OMISSIS), in persona del Curatore avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta mandato in calce al controricorso;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 4081/2014 della CORTE D’APPELLO di MILANO, depositata il 18/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 27/09/2016 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS), con delega, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per il controricorrente FALLIMENTO (OMISSIS), l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’inammissibilita’ o il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI Anna Maria, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Milano ha respinto il reclamo proposto dall’avv. (OMISSIS) avverso la sentenza del tribunale dichiarativa del suo fallimento.

La corte del merito, premesso che l’avv. (OMISSIS) era gia’ stato condannato in via definitiva in sede penale per aver svolto, parallelamente alla professione forense, un’illecita attivita’ di intermediazione finanziaria, consistita nell’acquisizione di somme di denaro dai clienti con la promessa di investirle e di farle fruttare con elevati rendimenti, ha ritenuto che tale attivita’, esercitata dal reclamante in proprio (tanto che il denaro confluiva su conti intestati a lui stesso od a suoi collaboratori ed era convogliato verso strutture di gestione fondi a lui riconducibili), a scopo di lucro, in via continuativa ed organizzata ed avvalendosi di societa’ fiduciarie, avesse piena natura imprenditoriale. e fosse, in particolare, identificativa di una holding personale. La sentenza, pubblicata il 18.11.014, e’ stata impugnata da (OMISSIS) con ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui il curatore del Fallimento ed i creditori istanti hanno resistito con separati controricorsi, entrambi illustrati da memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

i) Ceri tutti e tre i motivi l’avv. (OMISSIS) contenta che l’attivita’ illecitamente esercitata per la quale e’ gia’ stato condannato in sede penale, avesse natura imprenditoriale e lamenta che la corte territoriale lo abbia ritenuto assoggettabile a fallimento.

1.1) Col primo mezzo, che denuncia violazione degli articoli 2082 e 2222 c.c., e della L. Fall., articolo 1, il ricorrente sostiene che il giudice a quo si e’ limitato ad analizzare le caratteristiche che puo’ eventualmente presentare l’organizzazione di un’impresa, ma non si e’ soffermato a valutare se nella specie ricorressero i requisiti che la contraddistinguono rispetto al lavoro autonomo, ovvero la sua percepibilita’ all’esterno come una combinazione di fattori produttivi funzionale allo svolgimento di un’attivita’ economica e la sua idoneita’ a condizionare lo svolgimento delle prestazioni richieste dal mercato, indipendentemente dalla figura soggettiva del professionista che la esercita. Secondo l’avv. (OMISSIS), nel suo caso tali segni distintivi difettavano, in quanto nella sua attivita’, a carattere meramente personale e svolta per conto di clienti che confidavano nelle sue abilita’ e conoscenze, non era ravvisabile l’etero-organizzazione ed era preponderante l’elemento dell’intuitus personae. Il ricorrente assume, inoltre, che la corte del merito avrebbe omesso di accertare la sussistenza dello scopo di lucro.

1.2) Denuncia, poi, la nullita’ della sentenza per difetto assoluto di motivazione in ordine all’accertamento della ricorrenza del requisito della professionalita’, che la corte del merito avrebbe fondato sulla mera asserzione del carattere continuativo della sua attivita’.

1.3) Lamenta, infine, la violazione degli articoli 2727 e 2729 c.c.. Deduce, nello specifico, che il giudice d’appello avrebbe ritenuto l’attivita’ di intermediazione preponderante ed assorbente rispetto a quella professionale forense sulla scorta di circostanze presuntive – che non troverebbero riscontro nelle sentenze penali e risulterebbero in contrasto anche con quanto accertato dal tribunale nella sentenza dichiarativa di fallimento – dalle quali avrebbe poi illegittimamente presunto la ricorrenza della fattispecie di cui all’articolo 2238 c.c., comma 1; ed analogo, errato percorso argomentativo, inammissibilmente fondato su praesumptiones de praesumpto, sosterrebbe gli accertamenti concernenti la sussistenza di una struttura organizzativa e la configurabilita’ dell’impresa quale holding personale.

2) I motivi non meritano accoglimento.

2.1) Il primo muove da un presupposto che non trova riscontro nella sentenza impugnata: la corte del merito ha infatti compiuto un’ampia disamina dei requisiti che valgono a distinguere un’organizzazione imprenditoriale da quella di cui e’ usualmente dotato il prestatore d’opera intellettuale ed ha puntualmente individuato gli elementi, che, nella specie, consentivano di escludere che l’attivita’ svolta dall’avv. (OMISSIS) in parallelo con quella forense fosse, al pari di quest’ultima, riconducibile a quella tipica di un lavoratore autonomo. In particolare, il giudice d’appello ha ravvisato in detta attivita’ parallela le caratteristiche di un’impresa proprio in ragione della sua etero-organizzazione e della funzione intermediatrice in essa assunta dall’odierno ricorrente, rilevando come questi, per un verso, gestisse i fondi che gli erano affidati dai clienti/investitori avvalendosi di una ramificata struttura esterna, creata ad hoc ed operante (anche all’estero) attraverso una serie di societa’ a lui riconducibili, e, per l’altro, assumesse personalmente i rischi connessi alla gestione, facendo confluire il denaro su conti intestati a se medesimo od a suoi collaboratori ed effettuando gli investimenti in nome e per conto proprio; non v’e’ dubbio, inoltre, che tale ultimo rilievo contenga in se’ l’accertamento anche dell’intento dell’avv. (OMISSIS) di trarre profitto dall’illecita attivita’ svolta.

Il motivo e’, dunque, palesemente infondato laddove imputa al giudice del merito l’errata ricognizione delle astratte fattispecie normative di cui agli articoli 2082 e 2222 c.c..

Andrebbe invece dichiarato inammissibile nel caso in cui lo si volesse interpretare come volto a contestare un’errata applicazione delle norme in questione alla concreta fattispecie dedotta in giudizio (e percio’ a censurare la sentenza sotto il diverso – e non allegato – profilo del vizio di motivazione), atteso che non specifica, secondo quanto richiesto dall’articolo 365 c.p.c., comma 1, n. 5), novellato, qual e’ il fatto storico decisivo, controverso in giudizio, che la corte del merito avrebbe omesso di valutare.

2.2) Il secondo motivo e’ inammissibile, in quanto non censura l’assunto del giudice del reclamo secondo cui il fatto che il ricorrente svolgesse professionalmente (ovvero non occasionalmente, ma con continuita’) un’attivita’ finanziaria, consistente nell’acquisizione presso svariati clienti di somme di denaro di notevole importo, dietro la promessa di investirle e farle fruttare con elevati rendimenti, e’ stato accertato nella sentenza penale di condanna, passata sul punto in giudicato.

2.3) Il terzo motivo e’ anch’esso inammissibile, in buona parte per le medesime ragioni appena indicate sub. 2.2).

Il ricorrente omette, infatti, di considerare che le circostanze di fatto che avevano gia’ formato oggetto di accertamento in sede penale erano coperte da giudicato. In sede civile, pertanto, non era piu’ controverso che egli avesse svolto in via continuativa un’attivita’ finanziaria (di investimento di somme di denaro per conto terzi), avvalendosi, secondo quanto risultante dalle indagini della G.d.F., di collaboratori e di societa’ da lui controllate in via diretta o indiretta, ma solo se tale attivita’ avesse in tutto e per tutto natura imprenditoriale e lo rendesse, pertanto, assoggettabile a fallimento.

Nella specie, peraltro, si trattava di un’attivita’ illecita, per cio’ stesso esulante dall’esercizio della professione forense, sicche’ neppure rileva se, secondo quanto, ad abundantiam accertato dalla corte del merito, essa avesse finito col divenire assorbente rispetto a quella lecitamente svolta dal ricorrente nella sua veste di avvocato.

Questione successiva, neppure essa decisiva ai fini dell’assoggettabilita’ del ricorrente a fallimento, e’ se l’attivita’ di impresa esercitata dall’avv. (OMISSIS) fosse o meno riconducibile ad una holding personale di fatto; va comunque rilevato che il convincimento raggiunto sul punto dal giudice del merito, lungi dal fondarsi su di un’inammissibile praesumptio de praesumpto, trova riscontro preciso nella circostanza di fatto del controllo, diretto o indiretto, da parte di (OMISSIS) della fitta rete di societa’ delle quali si serviva per convogliare ed investire le ingenti risorse finanziarie messe a sua disposizione dai clienti.

Il ricorso deve, in conclusione, essere integralmente respinto.

Le spese del giudizio seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, che liquida in Euro 7.800, di cui Euro 200 per esborsi, oltre rimborso forfetario ed accessori di legge, in favore di ciascuna delle due parti controricorrenti.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, si da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per la stessa impugnazione

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