Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 14 giugno 2016, n.12259

Il diritto del minore ad essere educato nella propria famiglia di origine incontra i suoi limiti là dove questa non sia in grado di prestare, in via non transitoria, le cure necessarie, né di assicurare l’obbligo di mantenere, educare ed istruire la prole, con conseguente configurabilità dello stato di abbandono, il quale non viene meno per il solo fatto che al minore siano prestate le cure materiali essenziali da parte di genitori o di taluno dei parenti entro il quarto grado, risultando necessario, in tal caso, accertare che l’ambiente domestico sia in grado di garantire un equilibrato ed armonioso sviluppo della personalità del minore, senza che, in particolare, la valutazione di idoneità dei medesimi parenti alla di lui assistenza possa prescindere dalla considerazione della loro pregressa condotta, come evidenziato dall’art. 12 della legge 4 maggio 1983, n. 184, che espressamente richiede il mantenimento di rapporti significativi con il minore

 

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE I CIVILE

SENTENZA 14 giugno 2016, n.12259 

Ritenuto che:

Con il primo motivo di ricorso si lamenta la violazione del diritto fondamentale del minore a vivere nella propria famiglia di origine. Il ricorrente censura la decisione in quanto non conseguente a un effettivo fallimento del percorso di sostegno al recupero della genitorialità che è stato del tutto carente.

Con il secondo motivo di ricorso si lamenta l’omesso esame della circostanza rilevante ai fini del giudizio del suo cambiamento di stile di vita (superamento della tossicodipendenza, formazione di una nuova famiglia, inizio di un rapporto di lavoro, acquisizione di un appartamento in locazione).

Con il terzo motivo di ricorso si lamenta la mancata audizione dei parenti entro il quarto grado direttamente o mediante l’autorità consolare del Marocco e si mette in evidenza il danno che deriverebbe al minore dalla rescissione del legame con le sue radici marocchine.

I tre motivi possono essere presi in esame congiuntamente per la connessione fra i vari profili di valutazione che sono alla base della decisione della Corte di appello fiorentina.

Nel suo complesso la decisione della Corte di appare infatti coerente con la giurisprudenza di legittimità in tema di accertamento dello stato di abbandono e della sua non superabilità in tempi compatibili con le necessità di cura e di crescita del minore. Il minore ha il diritto, tutelato dal diritto sovranazionale e, nel nostro ordinamento, dall’art. 1 della legge 4 maggio 1983 n. 184, di crescere nell’ambito della propria famiglia d’origine, che va considerata l’ambiente più idoneo al suo armonico sviluppo psicofisico. Pertanto il giudice di merito deve, prioritariamente, verificare, qualora si manifestino situazioni di grave carenza del ruolo genitoriale, se possa essere utilmente fornito un intervento di sostegno diretto a rimuovere le situazioni di difficoltà o disagio che possono ledere gravemente lo sviluppo del minore. Tuttavia, laddove risulti impossibile, quand’anche in base ad un criterio di grande probabilità, prevedere il recupero delle capacità genitoriali entro tempi compatibili con la necessità del minore di vivere in uno stabile contesto familiare, è legittimo e corretto l’accertamento dello stato di abbandono (cfr. fra le altre Cass. civ., sezione I, n. 6137 del 26 marzo 2015).

Infatti il diritto del minore ad essere educato nella propria famiglia di origine incontra i suoi limiti là dove questa non sia in grado di prestare, in via non transitoria, le cure necessarie, né di assicurare l’obbligo di mantenere, educare ed istruire la prole, con conseguente configurabilità dello stato di abbandono, il quale non viene meno per il solo fatto che al minore siano prestate le cure materiali essenziali da parte di genitori o di taluno dei parenti entro il quarto grado, risultando necessario, in tal caso, accertare che l’ambiente domestico sia in grado di garantire un equilibrato ed armonioso sviluppo della personalità del minore, senza che, in particolare, la valutazione di idoneità dei medesimi parenti alla di lui assistenza possa prescindere dalla considerazione della loro pregressa condotta, come evidenziato dall’art. 12 della legge 4 maggio 1983, n. 184, che espressamente richiede il mantenimento di rapporti significativi con il minore (Cass. civ., sezione I, n. 16280 del 16 luglio 2015).

Nella specie tale accertamento è stato effettuato dai giudici del merito in seguito alla constatazione, oltre che di una evidente incapacità, sia del padre che della madre, a svolgere il proprio ruolo genitoriale, incapacità attestata dalle ripetute relazioni dei servizi sociali e della struttura di assistenza in cui è stato accolto il piccolo S.M.A. , anche da un comportamento di entrambi i genitori chiaramente espressivo della mancanza di volontà di assumere tale compito genitoriale, sia pure all’esito di un percorso di sostegno. In particolare la madre è risultata del tutto dismissiva del proprio ruolo avendo sostanzialmente abbandonato il figlio dopo un breve e non riuscito periodo di convivenza in comunità. Il padre ha chiaramente riconosciuto di non sapere e volere assumere la cura e l’educazione del figlio e ha insistentemente proposto di affidarlo alla sua famiglia in Marocco, dichiarando nello stesso tempo di non avere intenzione di ritornare nel suo paese natio insieme al figlio. Risulta peraltro dalle sentenze dei giudici di merito che i familiari del S. non hanno mai visto il bambino, non sono mai venuti in Italia, neanche in occasione della sua nascita o del delicato intervento chirurgico per malformazione cardiaca cui il piccolo M. è stato sottoposto all’età di quattro mesi. La Corte di appello ha rilevato inoltre che nessuna prova risulta acquisita circa un radicale cambiamento della condizione di vita del S. , coinvolto ripetutamente nell’attività di spaccio di stupefacenti e abitualmente nella dipendenza dalle droghe, come è risultato dagli esami nel corso del periodo di osservazione dei servizi sociali. Né alcuna prova è stata riscontrata dalla Corte di appello del miglioramento della sua situazione abitativa e dell’inizio di una regolare attività lavorativa.

La decisione della Corte di appello appare pertanto emessa dopo un rigoroso accertamento dello stato di abbandono del minore, cui i genitori si sono dimostrati incapaci e non disponibili a porre rimedio, neanche con l’ausilio dei servizi sociali e all’esito di un percorso di recupero. Su tali presupposti è stata coerentemente esclusa dalla Corte di appello la possibilità per il bambino di ritornare a vivere presso la propria famiglia o con uno dei suoi genitori e pertanto è stata valutata come irrilevante l’astratta disponibilità della famiglia paterna ad assumere un ruolo di sostegno e supplenza. Una possibilità che è stata inoltre ritenuta del tutto incoerente rispetto alla mancanza di qualsiasi rapporto dei familiari marocchini con il bambino sin dalla sua nascita.

Il ricorso va pertanto respinto. La Corte ritiene di poter compensare le spese del giudizio di cassazione in considerazione del tentativo del ricorrente, da ritenersi purtroppo tardivo e inidoneo, di trovare una soluzione alternativa alla dichiarazione di adottabilità.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.

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