Corte di Cassazione, sezione I civile, sentenza 12 aprile 2017, n. 9419

E’ nullo il contratto con il quale la società fornisce una garanzia in favore del socio accomandatario

Suprema Corte di Cassazione

sezione I civile

sentenza 12 aprile 2017, n. 9419

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente

Dott. NAPPI Aniello – Consigliere

Dott. FERRO Massimo – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26227/2012 proposto da:

(OMISSIS) S.r.l., (c.f. (OMISSIS)), rappresentata da (OMISSIS) S.R.L. Societa’ di Gestione Crediti, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

(OMISSIS) S.a.s. di (OMISSIS) e C., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

(OMISSIS) S.p.a.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2821/2012 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 24/05/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/02/2017 dal cons. DOLMETTA ALDO ANGELO;

udito, per la ricorrente, l’Avvocato (OMISSIS), con delega verbale, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito, per la controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto del ricorso;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto.

FATTI DI CAUSA

La societa’ a responsabilita’ limitata (OMISSIS), nella veste di procuratore speciale di (OMISSIS) s.r.l., a sua volta cessionaria di un credito vantato dalla (OMISSIS), ricorre per cassazione nei confronti della societa’ in accomandita semplice (OMISSIS) di (OMISSIS), questa in qualita’ di fideiussore di (OMISSIS), assunto debitore principale del richiamato credito. E in proposito articola due motivi avverso la sentenza della Corte di Appello di Roma del 10 aprile 2012, n. 2821.

Riformando la pronuncia emessa dal Tribunale di Frosinone in data 27 giugno 2008, la sentenza della Corte territoriale ha, tra l’altro e per quanto qui rilevante, dichiarato la nullita’ del contratto di fideiussione intervenuto in data 5 agosto 1994 tra la detta (OMISSIS) e la (OMISSIS) e inteso a prestare garanzia per i debiti assunti da (OMISSIS) verso di questa.

Piu’ in particolare, la Corte romana ha riscontrato che la richiamata prestazione di garanzia trasgrediva un divieto penalmente assistito – secondo quanto stabilito dal testo dell’articolo 2624 c.c. vigente all’epoca dei fatti -, perche’ (OMISSIS), debitore cosi’ garantito, rivestiva allora la qualifica di socio accomandatario della stessa (OMISSIS). E ha rilevato che il contratto, che sia posto in essere in violazione di tale divieto, si manifesta sul piano civilistico nullo in quanto contrario a norma imperativa ai sensi dell’articolo 1418 c.c., comma 1.

La s.a.s. (OMISSIS) resiste con apposito controricorso.

La ricorrente (OMISSIS) ha anche depositato memoria ai sensi dell’articolo 378 cod. proc. civ..

RAGIONI DELLA DECISIONE

I motivi di cassazione articolati da (OMISSIS), per conto di (OMISSIS), denunciano i vizi qui di seguito richiamati.

Il primo motivo denunzia, in specie, “violazione e falsa applicazione dell’articolo 2624 c.c., comma 1 (nel tenore vigente all’epoca dei fatti) e articolo 1418 c.c., comma 1, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Corte d’Appello ritenuto che la dedotta violazione della norma penale di cui all’articolo 2624 c.c. comporti, sul piano civilistico, l’applicazione automatica ed acritica della nullita’ contrattuale, senza eccezioni e riserve, e senza la necessita’ di condurre il benche’ minimo esame di merito sul caso concreto”.

Il secondo motivo a sua volta denuncia “omessa e comunque insufficiente motivazione su fatti controversi e decisivi per il giudizio, gia’ dedotti nei gradi di merito, in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per la mancata considerazione, nel caso concreto, dei rapporti tra (OMISSIS) e il signor (OMISSIS), e della vicenda imprenditoriale sostanzialmente unitaria sottesa a tale rapporti, con conseguente esclusione di effettive conseguenze pregiudizievoli in capo a (OMISSIS) per il rilascio della garanzia”.

2.- Il Collegio giudica infondato il primo motivo di ricorso. Per le ragioni qui in appresso esposte.

La ricostruzione proposta dal ricorrente in relazione al riflesso civilistico della norma penale dell’articolo 2624 – per cui agli “amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori” e’ vietato farsi “prestare dalla… societa’ garanzie per i debiti propri” (secondo il testo all’epoca vigente, come poi abrogato dal Decreto Legislativo 11 aprile 2002, n. 61) – procede dall’affermazione che in genere “le norme che comminano sanzioni penali… possono intendersi… produttive di nullita’ virtuale ex articolo 1418 c.c. non in tutti i casi, bensi’ laddove, procedendo ad esame caso per caso, le stesse risultino protettive di interessi pubblici e generali”. E prosegue dichiarando, sempre con osservazione di tratto per se’ generale, che “non e’ automatico” che la fattispecie di reato di pericolo presunto (al cui novero appartiene quella di cui all’articolo 2624), “calata nel differente contesto delle categorie civilistiche, produca senz’altro nullita’ contrattuale, senza eccezione e riserva”.

Percio’, rileva il ricorrente, la Corte territoriale ha errato: la stessa “ha proposto un collegamento acritico tra reato e nullita’ contrattuale”. Per contro, avrebbe dovuto indagare – cosi’ viene a ritenere il ricorrente – se nella specie la prestazione di garanzia avesse cagionato un danno patrimoniale per la societa’, che la garanzia ha per l’appunto dato.

Non a caso – sottolinea ancora il ricorso – la norma dell’articolo 2624, che qui rileva, e’ stata poi abrogata e risulta adesso regolata dalla norma dell’articolo 2634 c.c.: “si e’ passati da un reato a pericolo presunto (previgente articolo 2624 c.c.) ad un reato di danno (nuovo articolo 2634 c.c.)”. In buona sostanza, si sarebbe dovuti procedere – questo il nocciolo della tesi del ricorrente – a un ulteriore controllo e accertamento, inteso a verificare se nella specie si fosse o meno prodotto un danno patrimoniale.

3.- Il Collegio ritiene di non potere accedere alla ricostruzione appena riferita.

Al di la’ di ogni rilievo sulla premesse generali del ragionamento e sulla loro congruita’ rispetto al risultato che se ne intende ricavare (il discorso sembra invero ondeggiare tra una esposizione direzionata “norma per norma” e una posizionata invece “fatto per fatto”), sta comunque che – come gia’ ha avuto occasione di precisare questa Corte – che “in tema di reati societari, non sussiste continuita’ normativa tra il reato di indebita concessione di prestiti a garanzie ad amministratori, direttori generali, sindaci e liquidatori di societa’ commerciali (articolo 2624 c.c.) e il reato di infedelta’ patrimoniale (articolo 2634 c.c., introdotto con il Decreto Legislativo n. 61 del 2002), in quanto, dall’esame strutturale delle suddette fattispecie incriminatrici, emerge un’irriducibile divergenza degli elementi strutturali” (Cass. pen., 20 febbraio 2007, n. 29268).

Del resto, anche a volere in ipotesi prescindere pure da questo rilievo, che in se’ stesso risulta tuttavia assorbente, la semplice lettura della norma dell’articolo 2624, nella versione qui rilevante, convince che la conformazione caratteristica e imperativa della medesima resta propriamente estranea all’effettiva sussistenza di un danno patrimoniale. La soglia di rilevanza del comportamento vietato risulta senza dubbio formata prima, al momento della “prestazione della garanzia”.

4.- E’ orientamento tradizionale di questa Corte che la violazione della detta norma penale in se’ comporta – senza addizione di eventuali elementi ulteriori, dunque – l’invalidita’ del contratto che prevede la prestazione di garanzia da parte della societa’ per i debiti di un suo amministratore; e, altresi’, che tale invalidita’ va ricondotta alla nullita’, secondo lo schema generale fissato dalla norma dell’articolo 1418 c.c., comma 1. Si vedano, in particolare, le pronunce di Cass., 2 aprile 1997, n. 2858; di Cass., 14 maggio 1999, n. 4774; di Cass., 4 febbraio 2000, n. 1228.

La stessa soluzione, di applicazione nella specie della figura della nullita’ virtuale, risulta sostenuta dall’orientamento maggioritario dei giudici del merito e anche dall’indirizzo prevalente della dottrina.

Non si potrebbe, del resto, accordare credito alla tesi – che dottrina autorevole affaccio’ in tempi lontani e che si trova ripresa nel proposto ricorso – che la condotta vietata consisterebbe non gia’ nella conclusione del negozio, bensi’ nell’attivita’ prodromica, e fattuale, posta in essere dall’amministratore per “farsi dare” la garanzia: cosi’ eliminando, in sostanza, ogni incidenza sul negozio del comportamento di violazione della legge.

In effetti, il tenore della norma e’ chiaro: il comportamento dell’amministratore che prova a ottenere la garanzia, senza riuscirvi, non integra gli estremi del reato in questione. A contare, nella fattispecie disegnata dall’articolo 2624, e’ direttamente la prestazione della garanzia: trattandosi di fideiussione, com’e’ nel caso di specie, a contare e’ appunto l’atto di assunzione del relativo obbligo. Atto il cui carattere eminentemente negoziale non potrebbe certo essere messo in discussione.

Il carattere imperativo della norma, in definitiva, risulta indicato in modo univoco dalla natura penale della stessa. La sanzione della nullita’ negoziale ai sensi dell’articolo 1418 c.c., comma 1, “liberando” il garante, risulta coerente con l’interesse o bene protetto dalla norma dell’articolo 2624, che viene comunque a gravitare attorno alla societa’ garante (su quest’ultimo punto si tornera’ tra breve).

5.- Un diverso avviso sul rilievo negoziale del comportamento tenuto in violazione della norma dell’articolo 2624 (testo dell’epoca) e’ stato peraltro formulato, proprio di recente, dalla sentenza di Cass., 19 dicembre 2016, n. 26097.

Questa pronuncia – che si e’ confrontata con una vicenda concreta in cui il riscontro relativo alla norma in discorso era funzionale all’eventuale accertamento della responsabilita’ professionale ex articolo 28 legge notarile – ha invero affermato che, con riguardo al negozio di garanzia, “deve trovare applicazione, in ragione del carattere specifico del conflitto che la norma penale mira ad evitare, la previsione di annullabilita’ dell’atto posto in essere” in tal modo.

A supporto di tale soluzione, la detta sentenza ha rilevato che “oggetto della tutela dell’articolo 2624 c.c. (e’) il rispetto del dovere di fedelta’ e di imparzialita’” degli amministratori a fronte di atti “suscettibili di trasformarsi in strumento di abuso di posizioni dominanti all’interno della societa’ e ai danni della proprieta’”; e che percio’ la norma penale non persegue “direttamente uno specifico interesse pubblico, contrapposto a un interesse individuale o collettivo dei soci o della societa’”.

Traendo riscontro anche dall'”evoluzione normativa registrata col “passaggio” dal reato di cui all’articolo 2624 c.c. al reato di “infedelta’ patrimoniale” di cui all’articolo 2634 c.c.”, la stessa viene cosi’ a ritenere che “soltanto la societa’ e’ in grado di valutare… se il proprio amministratore abbia agito o meno in conflitto di interessi ovvero cagionando un danno al patrimonio sociale e percio’ convenga o meno mantenere in vita il negozio”.

6.- Quest’indirizzo innovativo – che, ferma comunque la rilevanza anche negoziale del comportamento di violazione del divieto di cui alla norma dell’articolo 2624, ne degrada pero’ peso e incidenza, portandola dal vizio di nullita’ a quello di annullabilita’ – non persuade il Collegio, che pertanto ritiene di confermare il consolidato indirizzo tradizionale.

La constatazione che la norma non presuppone un effettivo verificarsi di un danno patrimoniale per la societa’ non implica, invero, che la societa’ possa senz’altro disporre del bene tutelato. E cosi’, ad esempio, che essa possa procedere a ratificare il comportamento dell’amministratore, secondo quanto caratteristico del vizio di annullabilita’.

A opinare in tal modo, si finisce per correre il forte rischio, tra l’altro, che l’approvazione del comportamento dell’amministratore sia posto in essere dallo stesso gruppo di soci di cui quell’amministratore e’, per l’appunto, espressione diretta. Con tutte le conseguenze che ne possono derivare: e cosi’ dell’autorizzazione a esporre il patrimonio sociale a responsabilita’ patrimoniale ex articolo 2740 c.c. per debiti solo personali.

Ovviamente impregiudicato ogni discorso sulla norma dell’attuale articolo 2634 c.c. (sulla cui estraneita’ alla previsione in interesse si e’ gia’ richiamata l’attenzione), resta fermo che la norma dell’articolo 2624 ha inteso salvaguardare – nel testo all’epoca vigente – l’interesse alla corretta gestione e amministrazione delle societa’ commerciali; alla fedelta’, se si preferisce, della funzione dei beni costituenti il patrimonio sociale: in quanto tali votati allo svolgimento dell’impresa sociale, senza “troppo facili” deviazioni.

La norma e’ di pericolo presunto: per sua natura, dunque, condanna gli abusi di potere evitando a monte la stessa possibilita’ di un loro verificarsi. La prestazione di garanzie sociale a favore dei debiti personali dell’amministratore, d’altra parte, costituisce ipotesi macroscopica di possibile abuso.

7.- Il secondo motivo di ricorso – per cui la Corte di Appello avrebbe dovuto espletare una verifica dei rapporti concretamente correnti tra (OMISSIS) ed (OMISSIS) (che vengono assunti in termini di “vicenda imprenditoriale sostanzialmente unitaria”), ma che ha invece lasciato trascurata – si manifesta inammissibile.

Lo stesso introduce, infatti, delle contestazioni e delle prospettazioni fattuali che non avevano avuto ingresso nei precedenti gradi del giudizio e che pertanto non possono che essere considerati nuovi. D’altro canto, le commistioni “imprenditoriali e patrimoniali tra garante e debitore principale, che il Motivo viene ad assumere, appaiono semplicemente allegate e bisognose di accertamenti, in se’ stessi preclusi al giudizio di cassazione.

In ogni caso, non viene indicata la ragione per cui l’ipotetica sussistenza di tali commistioni dovrebbe, o anche solo potrebbe, condurre al superamento del vizio di nullita’ che inficia il contratto di fideiussione.

8.- In conclusione, il ricorso va rigettato.

Le spese del giudizio di legittimita’, liquidate come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al Decreto Ministeriale n. 55 del 2004, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna (OMISSIS), quale procuratore speciale di (OMISSIS) s.r.l., al rimborso delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in Euro 10.200,00 (di cui Euro 200 per esborsi), oltre accessori come per legge e contributo spese generali nella misura del 15%.

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