Corte di Cassazione, sezione feriale penale, sentenza 16 novembre 2017, n. 52433. Presidente del collegio e sindaci corresponsabili per le operazioni illecite se queste, per la loro rilevanza, non potevano sfuggire all’organo di controllo.

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Anche in questo caso si rientra nel paradigma delle operazioni dolose, come ben chiarito da Sez. 5, n. 19101 del 14/01/2004 Ud. Rv. 227745 “Il ricorso abusivo al credito (da intendersi non soltanto come richiesta di finanziamento attraverso gli ordinari canali bancari, ma anche come utilizzo di un sistema che consenta il pagamento differito di un debito, mediante l’assoggettamento ad un costo qual’e’ quello costituito da una fideiussione bancaria), rientra fra le “operazioni dolose” atte a rendere configurabile, qualora ne derivi il fallimento della societa’, non il reato di cui al combinato disposto della L. Fall., articoli 218 e 225, ma, in virtu’ della clausola di salvezza contenuta nel citato articolo 218, quello di cui al Regio Decreto 16 marzo 1942, n. 267, articolo 223, comma 2, n. 2, seconda ipotesi, posto che in tale ipotesi – a differenza che nell’altra, in cui l’evento costituito dal fallimento sia stato “cagionato con dolo” – non si richiede che l’elemento psicologico sia direttamente collegato con l’evento anzidetto ma solo che questo costituisca una possibilita’ prevedibile, rimanendo comunque assente, nella previsione normativa, la necessita’ che sussista anche lo scopo di procurarsi un ingiusto profitto” e Sez. 5, Sentenza n. 46689 del 30/06/2016 Rv. 268674 “Il ricorso abusivo al credito di cui alla L. Fall., articolo 218 e’ reato di mera condotta e richiede che il credito sia stato ottenuto mediante dissimulazione ai danni dell’ignaro creditore, che puo’ quindi assumere il ruolo di persona offesa, e si distingue dal reato di bancarotta impropria mediante operazioni dolose di cui alla L. Fall., articolo 223, comma 2, n. 2 (operazioni consistite nell’ottenimento di crediti per mascherare lo stato di insolvenza dell’impresa) nel quale non e’ necessaria la dissimulazione, e l’operazione – avente rilevanza causale o concausale del dissesto o del suo aggravamento – puo’ anche essere concordata con il creditore a conoscenza delle condizioni dell’impresa”.
6. Quanto al sesto, al settimo ed all’ottavo motivo di ricorso, va detto che alla Corte di Cassazione e’ preclusa la rilettura di altri elementi di fatto rispetto a quelli posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti medesimi, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacita’ esplicativa, dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito.
In quest’ambito, le due sentenze di merito danno conto in termini esaustivi:
– del carattere macroscopicamente distrattivo e dissipatorio dell’operazione di acquisto della (OMISSIS) e di quelle collegate, a prescindere dall’esistenza di un conflitto di interessi in capo agli amministratori ed anche a fronte delle conclusioni del CTU nella causa civile (rispetto alle quali vi e’ congrua replica, da parte della Corte d’Appello, agli spunti critici contenuti nel gravame e riproposti nel ricorso);
– della manifesta evidenza dell’illegittima contabilizzazione dei costi per lo smaltimento dei rifiuti, che costituiva una delle attivita’ principali della fallita, atteso che in azienda erano stati rinvenuti enormi quantitativi di rifiuti non smaltiti, sicche’ appare inconferente il richiamo ai principi che regolano la contabilizzazione di costi e ricavi (posto che lo smaltimento non venne mai eseguito e non si tratto’ di un mero errore contabile) ed e’ questione di fatto, peraltro impostata in termini generici, quella secondo cui i costi sostenuti dal fallimento per la bonifica – due milioni di Euro – non corrisponderebbero ai costi illegittimamente indicati per il presunto smaltimento di quei rifiuti;
– della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato proprio in ragione della evidente natura distrattiva, dissipatoria o, comunque, fonte di pericolo per la societa’, delle condotte poste in essere dagli amministratori e dell’esistenza di un obbligo, in capo ai sindaci, di non limitarsi ad un mero controllo formale della contabilita’ ma di vigilare, in forma penetrante e costante, sul generale andamento gestionale societario.
Sotto quest’ultimo profilo e’ evidente che la macroscopia attitudine delle condotte poste in essere dagli amministratori a pregiudicare la salute economica della societa’ doveva costituire un segnale d’allarme per l’organismo preposto al controllo.
Correttamente, quindi, i giudici di merito hanno dedotto la sussistenza dell’elemento soggettivo dalle modalita’ della condotta.
7. Anche le doglianze in merito al valore processuale riconosciuto alla sentenza di patteggiamento pronunciata nei confronti degli amministratori non tengono conto che si tratta di una sentenza che puo’ essere utilizzata, se irrevocabile come nel caso di specie, a fini probatori in un altro procedimento penale ai sensi dell’articolo 238 bis c.p.p., stante la sua equiparazione ad una sentenza di condanna (Sez. 5 n. 7723 del 12.11.14 Rv. 264058).
I giudici di merito non hanno posto a fondamento della propria decisione il mero fatto storico dell’avere, gli amministratori, chiesto l’applicazione della pena in ordine alle condotte loro contestate, al fine di ritenere provate tali condotte (presupposto anche della responsabilita’ dei sindaci) ma le hanno ricostruite riesaminando specificamente tutti gli elementi di prova, con cio’ soddisfacendo pienamente l’onere motivazionale.
P.Q.M.
Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti, ciascuno, al pagamento delle spese processuali.

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