Cassazione toga rossa

Suprema Corte di Cassazione

S.U.P.

sentenza 14 aprile 2014, n. 16207

REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONI UNITE PENALI
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SANTACROCE Giorgio – Presidente
Dott. MANNINO Saverio F. – Consigliere
Dott. CARMENINI Secondo Libero – Consigliere
Dott. FIALE Aldo – rel. Consigliere
Dott. ZAMPETTI Umberto – Consigliere
Dott. ROMIS Vincenzo – Consigliere
Dott. CONTI Giovanni – Consigliere
Dott. ROTUNDO Vincenzo – Consigliere
Dott. BRUNO Paolo Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 17/01/2013 della Corte di appello di Brescia;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Aldo Fiale;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. DESTRO Carlo, che ha concluso chiedendo l’annullamento con rinvio limitatamente alla qualificazione giuridica del fatto e alla rideterminazione della pena;
udito il difensore avvocato (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
 

RITENUTO IN FATTO

 
1. Il Tribunale di Brescia, con sentenza del 7 febbraio 2012, dichiarava (OMISSIS) responsabile dei reati di cui agli articoli 609 bis, 600 bis e 610 c.p., escludendo la sola ipotesi originariamente contestata di cui all’articolo 609 quater c.p.
In parziale riforma di quella pronunzia, la Corte di appello di Brescia – con sentenza del 17 gennaio 2013 – assolveva il (OMISSIS), “perche’ il fatto non sussiste”, da tutte le imputazioni diverse dal reato di cui all’articolo 600 bis c.p., per il quale confermava la condanna rideterminando la pena principale in anni sei e mesi sette di reclusione.
L’imputato, in particolare, veniva ritenuto colpevole del delitto di cui all’articolo 600 bis c.p., comma 1, in relazione all’articolo 81 c.p., comma 2, “perche’, con piu’ azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, induceva (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti di eta’ inferiore ai 18 anni, a prostituirsi, concedendosi a lui, che compiva su di loro atti sessuali vari – toccamenti sul loro corpo interamente o parzialmente denudato, strofinamenti del suo corpo contro il loro corpo, atti di masturbazione da parte degli stessi su di lui – atti sessuali che egli ricompensava con la consegna, ogni volta, di piccole somme di denaro dai 5 ai 10 euro e talora anche ai 20 euro – in (OMISSIS)”.
2. Avverso tale decisione ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per mezzo del difensore.
2.1. Con il primo motivo e’ stata eccepita l’erronea applicazione della legge penale quanto alla rilevanza delittuosa degli atti sessuali asseritamente compiuti dall’imputato sulle persone offese.
Secondo il ricorrente, non risponderebbe all’orientamento espresso dalla piu’ recente giurisprudenza di legittimita’ l’argomentazione secondo la quale abbracci prolungati e massaggi al busto ed alle gambe (praticati peraltro con i vestiti indossati), senza il consenso della persona offesa, integrino sempre e comunque il requisito della corporeita’ sessuale, intesa in senso fisico e non moralistico, ossia quel minimo indispensabile per potersi superare la soglia della penale rilevanza.
Mancherebbe, nella specie, la prova certa in ordine alla finalizzazione all’appagamento sessuale di simili atti, dovendosi escludere – per altro verso – comportamenti di costrizione fisica o psichica.
Nella motivazione non vi sarebbe poi logica dimostrazione, ne’ adeguato substrato probatorio, che vi sia stata una correlazione necessaria fra le dazioni e offerte di denaro del ricorrente nei confronti dei minori e le “prestazioni” da questi ultimi effettuate.
2.2. Con il secondo motivo di ricorso e’ stata dedotta l’erronea applicazione della legge penale, nonche’ la carenza e/o illogicita’ della motivazione, quanto all’inquadramento della fattispecie nell’articolo 600 bis c.p., comma 1, in luogo del comma secondo dello stesso articolo.
Il difensore ha prospettato che, in difetto di tracce di forme di persuasione o suggestione, pressione o coartazione morale da parte del (OMISSIS) nei confronti delle vittime – tre ragazzi minorenni prossimi pero’ al raggiungimento della maggiore eta’ – gli atti sessuali compiuti con costoro, in cambio di ospitalita’ loro fornita e di modeste ancorche’ sistematiche regalie in denaro, dovrebbero piu’ correttamente inquadrarsi nella fattispecie di minore gravita’ di cui comma secondo della norma citata.
Secondo l’atto di gravame, la sentenza impugnata da per scontato che si sia svolta una attivita’ di induzione, sotto forma di sollecitazione e blandizie, senza peraltro che in motivazione venga spiegato in quale modo e con quali termini tale attivita’ si sia concretamente esplicitata; trattandosi, a tutto concedere, di una libera e autonoma manifestazione di disponibilita’ agli incontri a carattere sessuale, l’inquadramento pertinente al caso di specie potrebbe essere, al limite, quello di cui all’articolo 600 bis c.p., comma 2, e non gia’ quello di cui al comma 1.
2.3. Il ricorrente ha lamentato, infine, il vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, giustificato nella sentenza sulla scorta della notevole gravita’ dei comportamenti e dei precedenti penali, senza tenere pero’ nella giusta considerazione l’oggettivo limitato disvalore complessivo dei fatti e la estrema lontananza nel passato di quei precedenti (che aveva peraltro consentito che all’imputato fosse stata concessa la riabilitazione).
3. Il ricorso e’ stato assegnato alla Terza Sezione penale, la quale, all’udienza dell’11 giugno 2013 (con ordinanza depositata il successivo 24 luglio), ha ritenuto necessario investire le Sezioni Unite della valutazione “dei profili di criticita’ interpretativa” riconducibili alla nozione di “induzione alla prostituzione minorile” delineata dall’articolo 600 bis c.p., comma 1, con particolare riguardo all’ipotesi in cui il comportamento delittuoso risulti integrato dalla sola condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilita’ posta in essere nei confronti di persona minore di eta’ convinta cosi’ a compiere una o piu’ volte atti sessuali esclusivamente con il soggetto agente.
Nell’ordinanza di rimessione, il Collegio e’ partito dal considerare che, nella vicenda in esame, i primi contatti sessuali si erano consumati in assenza di un accordo fra il ricorrente e i minori in ordine ad un qualche compenso ed in assenza di previa dazione di utilita’, laddove invece i successivi approcci a carattere sessuale erano stati accettati dai minorenni sul presupposto del ripetersi delle regalie che il ricorrente aveva loro elargito al termine del primo episodio.
In relazione a tali vicende il Collegio rimettente ha effettuato, quindi, una ricognizione delle posizioni giurisprudenziali in materia di “induzione alla prostituzione” ed ha rilevato che l’utilizzo, da parte del legislatore, del concetto di “induzione” anche con riferimento alla “prostituzione minorile”, per effetto del disposto di cui all’articolo 600 bis c.p. (introdotto dalla Legge 3 agosto 1998, n. 269, articolo 2, e poi modificato con la Legge 6 febbraio 2006, n. 38, e successivamente con la Legge 1 ottobre 2012, n. 172, articolo 4), ha generato uno scostamento della giurisprudenza di legittimita’ rispetto alle linee interpretative maturate con riguardo alla Legge 20 febbraio 1958, n. 75 (nota come legge Merlin).
Nel caso di parte lesa maggiorenne, e’ stato affermato, infatti, che la mera prospettazione di vantaggi patrimoniali in cambio di prestazioni sessuali non costituisce condotta induttiva se non accompagnata da condotte ulteriori, sub specie di pressioni fisiche e psicologiche che, superando le resistenze di ordine morale (o di altra natura) che trattengono la persona dall’attivita’ di prostituzione, incidono sulla liberta’ fisica e/o psichica della persona che viene spinta a prostituirsi (Sez. 3, n. 36156 del 03/06/2004, P.M. in proc. Nicolo, Rv. 229389).
Nell’ipotesi, invece, di vittima minorenne, si e’ ritenuto – con un ben piu’ rigoroso orientamento – che la condotta induttiva puo’ consistere anche nel mero pagamento della prestazione da parte del “cliente”, che persuada il minore a consentire agli atti sessuali, non essendo peraltro necessario che la persona sia “non iniziata e non dedita alla vendita del proprio corpo”.
E’ stato cosi’ affermato il principio secondo il quale “anche gli atti sessuali a pagamento con minore, posti in essere in unica occasione con il solo autore del reato, possono integrare la fattispecie di induzione alla prostituzione” (principio enunciato per la prima volta da Sez. 3, n. 33470 del 04/07/2006, Cantoni, Rv. 234787 e successivamente ribadito dalla stessa Sezione con plurime decisioni).
Tale interpretazione di maggiore severita’ viene correlata al quadro normativo internazionale e sovranazionale in materia di sfruttamento della sessualita’ dei minori, che impone “una tutela penale piu’ pregnante per i minori, rispetto agli adulti, perche’ i primi sono soggetti manipolabili, inadeguati ad autodeterminarsi, facilmente influenzabili ed inducibili ad atti sessuali che possono avere ricadute negative, anche non emendabili, sul loro futuro sviluppo psico-fisico” (Sez. 3, n. 4235 del 11/01/2011, Fusco, Rv. 249316).
Esposti i nuclei essenziali degli orientamenti di legittimita’ formatisi nell’interpretazione della nozione di “induzione alla prostituzione” utilizzata dal legislatore sia nella Legge n. 75 del 1958, sia nell’articolo 600 bis c.p., il Collegio rimettente ha evidenziato il netto divario tra le condotte illecite descritte nelle fattispecie incriminatrici di cui all’articolo 600 bis c.p., commi 1 e 2, e la differenza notevole delle pene rispettivamente ad esse correlate.
Ha sollecitato, pertanto, l’intervento delle Sezioni Unite, ravvisando la necessita’ di chiarire – a fronte della tradizionale nozione di “induzione alla prostituzione” riferita a soggetti maggiorenni – se le esigenze di tutela dei minori possano giustificare un approccio differenziato, tale da condurre al punto di ritenere che il concetto giuridico di “prostituzione minorile” sia integrato anche nella ipotesi che la relazione sessuale dietro compenso sia limitata ad un unico adulto in assenza di intermediari e/o sfruttatori e, successivamente, che l’attivita’ di “induzione” nei confronti del minorenne possa essere configurata anche nella sola condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilita’, cosi’ da convincere la vittima a compiere una o piu’ volte atti sessuali esclusivamente con il soggetto agente.
4. Con decreto in data 29 luglio 2013, il Primo Presidente ha assegnato il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’odierna pubblica udienza.
 

CONSIDERATO IN DIRITTO

 
1. Il primo motivo di ricorso e’ infondato.
Deve ribadirsi, al riguardo, l’orientamento costante di questa Corte secondo il quale la nozione legislativa di “atti sessuali” (rilevante ai fini dell’applicazione dell’articolo 609 bis c.p., ma anche dell’articolo 600 bis c.p.) ricomprende oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto che, risolvendosi in un contatto corporeo tra soggetto attivo e soggetto passivo, ancorche’ fugace ed estemporaneo, o comunque coinvolgendo la corporeita’ sessuale di quest’ultimo, sia finalizzato e normalmente idoneo a porre in pericolo la liberta’ di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale.
Punti focali sono la concreta idoneita’ della condotta, esprimente l’impulso sessuale dell’agente, a compromettere la liberta’ di autodeterminazione del soggetto passivo nella sua sfera sessuale, mentre nessun rilievo decisivo si connette all’effettivo ottenimento del soddisfacimento del piacere sessuale dell’agente medesimo. Ne consegue che anche i palpeggiamenti, i toccamenti e gli sfregamenti corporei, posti in essere nella prospettiva del reo di soddisfare od eccitare il proprio istinto sessuale, in quanto coinvolgono la corporeita’ della vittima, possono costituire una indebita intrusione nella sfera sessuale di quella.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, inoltre, “l’elemento caratterizzante l’atto di prostituzione non e’ necessariamente costituito dal contatto fisico tra i soggetti della prestazione, bensi’ dal fatto che un qualsiasi atto sessuale venga compiuto dietro pagamento di un corrispettivo e risulti finalizzato, in via diretta ed immediata, a soddisfare la libidine di colui che ha chiesto o che e’ destinatario della prestazione”, non essendo stato “mai messo in dubbio che l’attivita’ di chi si prostituisce puo’ consistere anche nella esecuzione di atti sessuali di qualsiasi natura eseguiti su se stesso in presenza di chi ha chiesto la prestazione, pagando un compenso, al fine di soddisfare la propria libidine, senza che intervenga alcun contatto fisico tra le parti” (cfr. Sez. 3, n. 25464 del 22/04/2004, Mannone, Rv. 228692).
Nella fattispecie in esame i giudici del merito si sono correttamente attenuti ai principi di diritto dianzi enunciati.
Risulta accertato, invero, che il (OMISSIS) abbordava e conduceva nella propria abitazione i minori con il pretesto di fare svolgere ad essi semplici mansioni domestiche, ma al vero scopo di poterli fare spogliare e non solo osservarli ma compiere su di loro toccamenti, abbracci, massaggi ed altri contatti corporei anche diretti a cosce e genitali, spingendosi a farsi masturbare dallo (OMISSIS) (vedi, al riguardo, le dichiarazioni rispettivamente rese al dibattimento dai tre ragazzi, valutate con ampie e logiche argomentazioni nella sentenza impugnata).
A fronte della ricostruzione dei fatti come sopra effettuata, va rilevato che la motivazione della Corte di merito: a) e’ “effettiva” e non meramente apparente, ossia realmente idonea a rappresentare le ragioni che il giudicante ha posto a base della decisione adottata; b) non e’ “manifestamente illogica”, in quanto risulta sorretta, nei suoi punti essenziali, da argomentazioni non viziate da evidenti errori nell’applicazione delle regole della logica; c) non e’ internamente contraddittoria, apparendo al contrario esente da incongruenze tra le sue diverse parti o da inconciliabilita’ logiche tra le affermazioni in essa contenute.
Il ricorrente, del resto, non ha indicato in termini specifici alcun atto del processo autonomamente dotato di una forza esplicativa o dimostrativa tale da disarticolare l’intero ragionamento svolto dal giudicante e determinare al suo interno radicali incompatibilita’, cosi’ da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione.
2. Al secondo motivo si connette la questione di diritto, per la quale il ricorso e’ stato rimesso alle Sezioni Unite, rivolta a stabilire “se la condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilita’, attraverso cui si convinca una persona minore di eta’ ad intrattenere rapporti sessuali esclusivamente con il soggetto agente, integri gli estremi della fattispecie di cui al comma primo o di cui all’articolo 600 bis c.p., comma 2”.
3. Appare opportuno ricordare, al riguardo, che – nella elencazione casistica di fattispecie illecite adottata dalla Legge 20 febbraio 1958, n. 75 (nota come legge Merlin) – e’ ricompresa, all’articolo 3, comma 2, n. 5, la condotta di “chiunque induca alla prostituzione una donna di eta’ maggiore, o compia atti di lenocinio, sia personalmente in luoghi pubblici o aperti al pubblico, sia a mezzo della stampa o con qualsiasi altro mezzo di pubblicita’”.
Nelle previsioni della Legge n. 75 del 1958, la condotta di “induzione alla prostituzione minorile” derivava poi dall’interazione di tale norma incriminatrice con il disposto del successivo articolo 4, n. 2, che contemplava come circostanza aggravante, comportante il raddoppio della pena, l’ipotesi che i fatti previsti all’articolo 3 e dunque anche la condotta induttiva, fossero commessi “ai danni di una persona minore degli anni 21 o di persona in stato di infermita’ o minorazione psichica, naturale o provocata”. La legge Merlin estendeva dunque la tutela a tutti gli infraventunenni, con riferimento all’adora vigente limite per la maggiore eta’.
L’assetto normativo cosi’ consolidatosi in tema di prostituzione ha subito, dopo un quarantennio, un radicale mutamento per quanto riguarda la tutela dei minori, per effetto dell’entrata in vigore della Legge 3 agosto 1998, n. 269, nota anche come legge contro la pedofilia (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 185 del 10 agosto 1998).
La promulgazione di tale legge e’ derivata dalla necessita’ per l’Italia di conformarsi ai principi sanciti nella Convenzione di New York del 1989, ratificata con la Legge 27 maggio 1991, n. 176, e dalla dichiarazione finale della Conferenza mondiale di Stoccolma adottata il 31 agosto del 1996: principi che individuano “il fanciullo come soggetto da tutelare contro ogni forma di sfruttamento e violenza sessuale, a salvaguardia del suo sviluppo fisico, psicologico, spirituale, morale e sociale” (la Legge n. 269 del 1998, articolo 1, presentandosi come una sorta di preambolo introduttivo e giustificativo, fa espresso riferimento a tali documenti internazionali).
La protezione del fanciullo e’ principalmente perseguita, dal legislatore del 1998, attraverso il deciso rafforzamento dell’apparato normativo volto alla tutela penale del minore, sia attraverso l’introduzione di nuove fattispecie delittuose dopo l’articolo 600 del codice penale – come appunto l’articolo 600 bis (prostituzione minorile) con relative circostanze aggravanti e attenuanti – sia mediante la collocazione sistematica di tali norme nel Libro II del codice, in particolare nella Sezione I del Capo III del Titolo XII, dedicata ai delitti contro la personalita’ individuale, individuata (secondo quanto emerge dai lavori preparatori) come la piu’ congrua ad esprimere il reato che si compie nei confronti dell’integrita’ del minore medesimo.
L’articolo 600 bis c.p., nella formulazione del 1998, cosi’ recitava: “Chiunque induce alla prostituzione una persona di eta’ inferiore agli anni diciotto ovvero ne favorisce o sfrutta la prostituzione e’ punito con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da lire trenta milioni a lire trecento milioni. – Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di eta’ compresa fra i quattordici ed i sedici anni, in cambio di denaro o di altra utilita’ economica, e’ punito con la reclusione da sei mesi a tre anni o con la multa non inferiore a lire dieci milioni. La pena e’ ridotta di un terzo se colui che commette il fatto e’ persona minore degli anni diciotto”.
Nella legge del 1998, la nuova incriminazione era accompagnata dalla previsione di circostanze aggravanti ed attenuanti (individuate nell’allora articolo 600 sexies c.p.): tra le altre, l’aumento da un terzo alla meta’ per i fatti previsti dall’articolo 600 bis, comma 1, (induzione, favoreggiamento, sfruttamento), commessi in danno di minore degli anni quattordici e la previsione di aumento di pena in caso di fatto commesso con violenza o minaccia.
Contestualmente all’introduzione dell’articolo 600 bis c.p., la Legge n. 269 del 1998, articolo 18, ha decretato l’abrogazione della sopra ricordata circostanza aggravante di cui all’articolo 4, n. 2 della legge Merlin, nella parte in cui prevedeva l’applicazione di una pena raddoppiata per le ipotesi in cui il fatto fosse commesso a danno di persona minore degli anni ventuno.
L’ordinamento registra dunque, con la Legge n. 269 del 1998, la creazione di una fattispecie autonoma di “induzione” (oltre che di favoreggiamento e sfruttamento) “della prostituzione minorile”, laddove in precedenza la minore eta’ della vittima rappresentava mera circostanza aggravante, nonche’ la creazione di una nuova figura di reato, quella di atti sessuali retribuiti con minorenne, del tutto inedita nel catalogo criminale.
Nei lavori preparatori della Legge n. 269 del 1998, viene espressamente affermato che con la nuova norma si e’ voluto sottolineare che la personalita’ del minore, oltre che l’abuso sessuale, subisce un ulteriore abuso: quello della compravendita, donde, seppur nella differenziazione sia del reato che delle pene, una non assoluta alterita’ tra chi sfrutta la prostituzione e il “cliente”, posto che entrambi entrano, sia pure con ruoli molto diversi, nella circolante della domanda e dell’offerta, essendo i terminali di un rapporto al cui centro sta l’offesa all’integrita’ del minore.
A distanza di pochi anni dall’entrata in vigore della legge antipedofilia e dalla introduzione dell’articolo 600 bis c.p., e’ intervenuta una prima modifica di tale norma, per effetto della Legge 6 febbraio 2006, n. 38 (emanata per dare attuazione a quanto stabilito dalla decisione-quadro 2004/68/GAI del Consiglio dell’Unione Europea, approvata il 22-12-2003, relativa alla lotta contro lo sfruttamento sessuale dei bambini e la pornografia infantile) che ha innalzato la soglia di eta’ della vittima degli atti sessuali dietro retribuzione, pareggiandola a quella del minore indotto o sfruttato ma operando una distinzione ai fini della pena: ai sensi dell’articolo 1 della legge citata, infatti, l’articolo 600 bis c.p., commi 2 e 3, sono stati completamente riscritti, sicche’ “Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di eta’ compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di denaro o di altra utilita’ economica, e’ punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a euro 5.164 (comma 1), mentre nel caso in cui il fatto di cui al secondo comma sia commesso nei confronti di persona che non abbia compiuto gli anni sedici, si applica la pena della reclusione da due a cinque anni” (comma 2).
Una piu’ radicale modifica e’ stata introdotta, per ultimo, dalla legge 1 ottobre 2012, n. 172 (entrata in vigore il 23 ottobre 2012) con la quale l’Italia ha ratificato e dato esecuzione alla Convenzione del Consiglio d’Europa per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale, stipulata a Lanzarote il 25 ottobre 2007.
L’articolo 4 di detta legge ha totalmente riscritto l’articolo 600 bis c.p., e la nuova ed allo stato vigente formulazione della norma prevede – al comma primo – la punizione con la reclusione da sei a dodici anni e con la multa da euro 15.000 a euro 150.000 di chiunque:
1) recluta o induce alla prostituzione una persona di eta’ inferiore agli anni diciotto;
2) favorisce, sfrutta, gestisce, organizza o controlla la prostituzione di una persona di eta’ inferiore agli anni diciotto, ovvero altrimenti ne trae profitto.
Ai sensi del comma secondo, invece: “Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque compie atti sessuali con un minore di eta’ compresa tra i quattordici e i diciotto anni, in cambio di un corrispettivo in denaro o altra utilita’, anche solo promessi, e’ punito con la reclusione da uno a sei anni e con la multa da euro 1.500 a euro 6.000”.
Sono stati aggiunti poi, all’articolo 602 ter, dopo il comma 2, ulteriori commi che introducono circostanze aggravanti: tra di essi, ai fini che qui rilevano, il comma (quinto) che prevede che nei casi previsti dall’articolo 600 bis, commi 1 e 2, articoli 600 ter e 600 quinquies, nonche’ dagli articoli 600, 601 e 602, la pena e’ aumentata dalla meta’ ai due terzi se il fatto e’ commesso in danno di un minore degli anni sedici.
4. Nella vicenda in esame, relativa a condotte delittuose la cui perpetrazione e’ riferita temporalmente al periodo “dal (OMISSIS)”, si applica l’articolo 600 bis c.p., nelle rispettive previsioni delle Legge n. 269 del 1998, e Legge n. 38 del 2006, mentre non trova applicazione il nuovo e piu’ gravoso assetto normativo di cui alla Legge n. 172 del 2012.
5. Con riferimento alla normativa applicabile al caso concreto la formulazione dell’articolo 600 bis c.p., pone una netta differenziazione (resa piu’ marcata per effetto delle modificazioni introdotte dalla Legge n. 172 del 2012) fra la piu’ grave ipotesi di cui al primo comma, fattispecie destinata a punire coloro che avviano i minori all’attivita’ di prostituzione, li trattengono in tale attivita’ e ne traggono vantaggio, e quella di cui al secondo comma, funzionale alla punizione di coloro che si limitano a compiere atti sessuali a pagamento con soggetti minorenni, indipendentemente dal fatto che questi ultimi siano o meno gia’ dediti ad attivita’ di mercimonio sessuale del proprio corpo.
In relazione a tali diverse previsioni incriminatrici la Sezione remittente ha dubitato della possibilita’ di applicazione, nell’interpretazione delle stesse, dei principi che la giurisprudenza di legittimita’ ha enunciato con riferimento alla disciplina dettata dalla Legge n. 75 del 1958, per il reato di “induzione alla prostituzione” di persona maggiorenne.
5.1. Nel caso di prostituzione di persona maggiorenne e’ stato evidenziato in dottrina come la legge Merlin (di fronte alla evoluzione storica di un fenomeno, i cui aspetti piu’ preoccupanti sono quelli legati all’impressionante quota di attivita’ direttamente gestita dalla criminalita’ organizzata) abbia perseguito la finalita’ di riconsegnare all’alveo dell’attivita’ del tutto libera, non sanzionabile da parte dell’ordinamento, l’esercizio del meretricio che sia frutto di una scelta non condizionata da forme di coazione o di sfruttamento.
Anche questa Corte ha recentemente osservato (Sez. 3, sent. n. 20384 del 29/01/2013, Bolzanello, Rv. 255426), in proposito, che bisogna muovere “dal punto fermo rappresentato dalla scelta del legislatore di considerare attivita’ non vietata, e dunque in se’ lecita, quella che la persona liberamente svolge scambiando la propria fisicita’ contro denaro”, ed ha ricordato che “le sanzioni penali fissate dalla Legge 20 gennaio 1958, n. 75, debbono essere applicate a coloro che condizionano la liberta’ di determinazione della persona che si prostituisce, a coloro che su tale attivita’ lucrano per finalita’ di vantaggio e, infine, a coloro che offrono un contributo intenzionale all’attivita’ di prostituzione eccedendo i limiti dell’ordinaria prestazione di servizi”, sottolineando la necessita’ di non operare interpretazioni tali “da reintrodurre surrettiziamente presupposti di illiceita’ in se’ della prostituzione che vengono formalmente ed espressamente negati e che, invece, potrebbero finire per qualificare come illegali condotte e prestazioni di servizi alla prostituta che non risulterebbero penalmente rilevanti se destinati ad altre attivita’”.
5.2. Quanto vale per gli adulti muta tuttavia completamente nel caso dei minori, essendo la dottrina e la giurisprudenza concordi sull’impossibilita’ di considerare “libera” la prostituzione di soggetti minorenni.
Per il minore, infatti, la prostituzione rappresenta raramente il frutto di una scelta spontanea, essendo prevalentemente determinata da pressioni (o da vere e proprie coercizioni) di fronte alle quali egli non dispone di alcuna valida alternativa, sicche’ l’atto sessuale compiuto dal minore prostituito non puo’ inquadrarsi in un’area di liberta’, area la cui sostanziale inesistenza il “cliente” non puo’ dunque ne’ ignorare, ne’ fingere di non conoscere.
Quand’anche, poi, si dovesse riscontrare l’assenza di interventi esterni di condizionamento di tale spazio di liberta’, e’ comunque ragionevole che l’ordinamento vieti l’acquisto di prestazione sessuali presso un soggetto che presuntivamente non ha ancora raggiunto quel livello di maturita’ tale da consentirgli una valutazione davvero consapevole in ordine alle ricadute della mercificazione del proprio corpo sul suo sviluppo psico-fisico; ne consegue che, indipendentemente dal suo atteggiamento psicologico e dalla sua condotta (quand’anche connivente o adescatrice), il minore e’ reputato sempre e comunque una vittima.
Il carattere “non libero” della prostituzione minorile – ritenuta dal legislatore come condotta che comporta l’annientamento della personalita’ individuale del minore – spiega, sul piano teorico, la punibilita’ della condotta del “cliente”, del tutto immune da censure sul piano penale se invece rapportata alla prostituzione di soggetto adulto.
6. L’induzione alla prostituzione di maggiorenne – in mancanza di una specifica definizione legislativa ma in coerenza con il primo criterio ermeneutico indicato dall’articolo 12 delle “Disposizione sulla legge in generale” rispetto al significato che del termine e’ universalmente accettato nella lingua italiana – e’ stata tradizionalmente ritenuta come quell’attivita’, coscientemente finalizzata, di persuasione, di convincimento, di determinazione, di eccitamento, di rafforzamento della decisione, svolta nei confronti di un soggetto, sia facendo sorgere in quello l’idea di prostituirsi, sia aggiungendo ulteriori motivi o stimoli per dedicarsi alla prostituzione o a riprendere tale attivita’ se interrotta ed a persistervi se volesse abbandonarla (vedi gia’ Sez. 3: n. 1833 del 20/12/1968, Pagani, Rv. 111772; n. 2298 del 04/12/1978, Madaschi, Rv. 141310; n. 8869 del 12/03/1984, Furnari, Rv. 166148). L’opera di convincimento puo’ consistere anche in doni, lusinghe, promesse, preghiere, ma deve realizzarsi in una attivita’ positiva, idonea e concreta, non essendo sufficiente la semplice inerzia o tolleranza e neppure la semplice proposta e deve avere avuto una efficacia causale e rafforzativa, sicche’ senza il fatto del colpevole il soggetto non si sarebbe dato alla prostituzione.
La mera proposta di partecipare ad incontri sessuali a pagamento non costituisce condotta induttiva se non accompagnata da condotte ulteriori consistenti in pressioni fisiche o psicologiche che spingono la persona a prostituirsi superando le resistenze di ordine morale, o di altra natura, che la trattengono dall’attivita’ di prostituzione (cosi’ Sez. 2: n. 7424 del 13/05/1987, Cito, Rv. 176185; n. 36156 del 03/06/2004, Nicolo, Rv. 229389; n. 33470 del 04/07/2006, Cantoni, Rv. 234787; n. 26216 del 19/05/2010, A.F., Rv. 247696).
La dottrina assolutamente prevalente esclude la configurazione della condotta di induzione nell’ipotesi del “cliente” stesso della prostituta maggiorenne, che, inteso quale mero fruitore delle prestazioni sessuali, viene considerato del tutto estraneo a tale ipotesi criminosa.
Anche in giurisprudenza non paiono registrarsi orientamenti, nell’ambito della prostituzione di maggiorenne, che qualifichino come illecita – sub specie dell’induzione – la condotta del “cliente”; condotta piuttosto inquadrata in alcune pronunce di merito nella diversa ipotesi del favoreggiamento, ma con esiti che essenzialmente non hanno resistito al vaglio di legittimita’ (cfr. Sez. 3, n. 16536 del 14/02/2001, Mazzanti, Rv. 218870).
Ne’ un’interpretazione di segno contrario sembra possa riconnettersi ai precedenti menzionati nella sentenza n. 33470 del 04/07/2006, Cantoni.
In particolare, la sentenza Traiani (Sez. 3, n. 6191 del 20/04/1983, Rv. 159699, secondo cui sussiste l’attivita’ di prostituzione anche nel caso di rapporto con una sola persona) parrebbe non riguardare il “fatto del cliente”, bensi’ il caso in cui la condotta induttiva era consistita nell’invito rivolto ad una donna ad incontrarsi effettivamente con un solo individuo di sesso maschile, ma diverso dal soggetto induttore.
Anche la lettura della sentenza Rizzeri (Sez. 1, n. 7947 del 13/03/1986, Rv. 173482), relativa al caso di donna indotta a concedersi in favore di una sola persona per avere in cambio sostanze stupefacenti, non chiarisce se vi sia stata coincidenza o alterita’ fra “induttore” e “fruitore” delle prestazioni sessuali della donna.
7. Diversamente, nell’ipotesi di vittima minorenne, a partire dalla sentenza Cantoni n. 33470 del 2006 (“capofila” dell’orientamento adottato da questa Corte in materia di induzione alla prostituzione minorile “per fatto del cliente”), la Sezione Terza ha affermato che l’adulto che paga il minore perche’ compia con lui atti sessuali contestualmente lo induce alla prostituzione e percio’ deve rispondere ai sensi dell’articolo 600 bis c.p., comma 1.
Nella sentenza Cantoni (e nelle sentenze n. 43820 del 26/11/2007, C.M., non massimata; n. 26216 del 19/05/2010, A.F., Rv. 247696; n. 16759 del 07/02/2013, Gerbino, Rv. 255453) si e’ tuttavia evidenziata la necessita’ che la dazione del corrispettivo sia accompagnata da un’opera di convincimento finalizzata a vincere la resistenza del minore.
La sentenza n. 18315 del 14/04/2010, R.S., Rv. 247163 – in una fattispecie in cui all’indagato veniva contestato di avere indotto alla prostituzione un ragazzino che non aveva ancora compiuto dieci anni, convincendolo ad avere con lui rapporti sessuali dietro remunerazione – ha affermato, invece, che la semplice dazione di denaro doveva considerarsi sufficiente a persuadere il minore a consentire agli atti sessuali sia pure esclusivamente con il soggetto agente.
Con la sentenza n. 4235 del 11/01/2011, F., Rv. 249316, nella condotta di induzione e’ stata ricompresa anche una ripetuta dazione o offerta di danaro o altra utilita’ che, di per se’ sola considerata, ossia interamente affrancata dalla necessita’ di ulteriori requisiti di condotta “suggestiva” (verbale o di altra natura), abbia spinto il minore al meretricio.
8. A fronte del quadro interpretativo dianzi delineato, rileva il Collegio che anche la condotta di induzione alla prostituzione minorile (sanzionata dall’articolo 600 bis c.p., comma 1), per essere penalmente rilevante, deve essere sganciata dall’occasione nella quale l’agente e’ parte del rapporto sessuale e oggettivamente rivolta ad operare sulla prostituzione esercitata nei confronti di terzi.
L’induzione del minore alla prostituzione prescinde dall’effettuazione diretta dell’atto sessuale con l’induttore e puo’ riguardare soltanto chi determina, persuade o convince il soggetto passivo a concedere il proprio corpo per pratiche sessuali da tenere non esclusivamente con il persuasore ma con terzi, che possono consistere anche in una sola persona, a condizione pero’ che questa non si identifichi nell’induttore.
Il principio secondo il quale sussiste l’attivita’ di prostituzione di soggetto adulto anche nel caso di rapporto con una sola persona e’ affermato da Sez. 3, n. 6191 del 20/04/1983, Traiani, Rv. 159699; Sez. 1, n. 7947 del 13/03/1986, Rizzeri, Rv. 173482; Sez. 3, n. 7933 del 04/05/1984, Sanfilippo, Rv. 165879. In tema di prostituzione minorile lo stesso principio e’ enunciato da Sez. 3, n. 7368 del 18/01/2012, L, Rv. 252133.
Nella nostra tradizione giuridica il tipo normativo della “induzione alla prostituzione” si pone – infatti – dal lato dell’offerta del sesso mercenario e non della domanda, sicche’ la basilare distinzione fra induttore e cliente deve muoversi fra attivita’ rientranti nell’ambito dell’offerta di prostituzione e attivita’ rientranti nell’ambito della domanda.
Dagli stessi lavori preparatori della Legge n. 269 del 1998 (relazione alla proposta di legge dell’on. Serafini) emerge chiaramente che solo con l’articolo 600 bis c.p., comma 2, “si introduce … una figura nuova nel nostro codice: la figura del cliente”; ne consegue che l’unica fattispecie utilizzabile ai fini dell’incriminazione del cliente e’ quella prevista dall’articolo 600 bis c.p., comma 2.
Tale opzione interpretativa non compromette le esigenze di maggior tutela del minore rispetto all’adulto affermate anche a livello sovranazionale, poiche’ la valenza persuasiva strutturalmente insita nel pagamento del minore per ottenere una prestazione sessuale diretta e’ gia’ assorbita dal disvalore tipico del fatto descritto nell’articolo 600 bis c.p., comma 2.
L’induzione di cui allo stesso articolo 600 bis, comma 1, e’ stata distinta dal legislatore dalla mera fruizione di una prestazione sessuale a pagamento in quanto equiparata a condotte di indubbia maggiore offensivita’ (reclutamento, sfruttamento, favoreggiamento, organizzazione e gestione della prostituzione minorile) che ben giustificano – a fronte della collocazione sistematica delle due fattispecie all’interno del medesimo articolo – il diversissimo quadro edittale di pena.
Tenuto conto che la fattispecie di cui all’articolo 600 bis c.p., comma 2, presuppone la necessaria correlazione causale fra la dazione o la promessa di danaro o di altra utilita’ e la prestazione sessuale del minore, deve essere altresi’ evidenziato che la figura polivalente ed ubiquitaria del cliente mero fruitore del sesso a pagamento che, come tale, contestualmente indurrebbe il minore alla prostituzione comporterebbe, di fatto, l’abrogazione implicita dello stesso articolo 600 bis, comma 2, (che, come osservato da autorevole dottrina, sarebbe “nato gia’ morto”).
Non possono ritenersi decisivi, in senso contrario, argomenti basati sulla collocazione del reato di cui all’articolo 600 bis c.p., comma 2, sotto la rubrica “Prostituzione minorile”: non c’e’ dubbio infatti che la condotta descritta dal comma 2, presenta pur sempre un collegamento con il fenomeno della prostituzione minorile in quanto in molteplici casi essa puo’ essere destinata ad inserirsi in un contesto di sfruttamento sistematico del minore; tuttavia la ratio della norma in esame e’ quella di sanzionare autonomamente anche il singolo ed estemporaneo rapporto a pagamento per la sua attitudine ad alimentare, sia pure indirettamente, il circuito della prostituzione (lo stimolo del compenso, infatti, potrebbe spingere il minore a proseguire l’attivita’ e ad estendere la sfera dei clienti, con l’inevitabile pericolo di determinare, nel tempo, un suo stabile inserimento nel mercato).
Nell’ambito dell’induzione alla prostituzione di soggetto maggiorenne il legislatore, se avesse ritenuto di poter punire il cliente, avrebbe fatto emergere la contraddizione di un ordinamento che da una parte considera lecito il meretricio in quanto tale, cioe’ l’offerta, e dall’altra sanziona penalmente la richiesta della prestazione, cioe’ la domanda.
L’incriminazione del cliente in ambito minorile – sancita con l’articolo 600 bis c.p., comma 2, – costituisce, invece, un’evidente eccezione rispetto a tale paradigma, perfettamente giustificata dal diverso oggetto giuridico e dalla differente finalita’ di tutela, ma che come tale, ossia proprio in quanto fattispecie autonoma di incriminazione della dazione/offerta di denaro da parte del cliente per avere rapporti sessuali con il minore, segna la chiara conferma, a contrario, della impossibilita’ di ravvisare una attivita’ induttiva nella sola condotta di chi domanda ad un minore prestazioni sessuali come “consumatore” dandone o promettendone il pagamento; condotta che invece deve necessariamente rientrare, pena appunto una tacita abrogazione, nella fattispecie di cui al comma 2, altrimenti applicabile soltanto nella pur esistente ma certamente ridotta casistica di dazione/offerta rivolta verso minore gia’ dedito alla prostituzione, in aperta contraddizione pero’ con il consolidato approdo giurisprudenziale che ha ripudiato fermamente, almeno negli ultimi anni, ogni vaga idea di minore “corrotto”.
9. Ritiene in conclusione la Corte di dovere affermare il seguente principio di diritto: “La condotta di promessa o dazione di denaro o altra utilita’, attraverso cui si convinca una persona minore di eta’ ad intrattenere rapporti sessuali esclusivamente con il soggetto agente, integra gli estremi della fattispecie di cui al comma secondo e non al comma primo dell’articolo 600-bis del codice penale”.
10. Per tutte le considerazioni dianzi svolte, i fatti per i quali nel presente giudizio e’ stata riconosciuta la responsabilita’ del (OMISSIS) devono essere qualificati come violazione dell’articolo 600 bis c.p., comma 2, e la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Brescia per la determinazione della pena da correlarsi a tale fattispecie incriminatrice.
Poiche’ le condotte illecite ascritte al ricorrente sono state contestate come commesse in (OMISSIS), il giudice del rinvio dovra’ altresi’ procedere ad una specifica collocazione temporale delle stesse, al fine di riscontrare l’eventuale prescrizione di alcuni segmenti di esse, tenendo comunque conto che i termini di prescrizione dovranno essere computati fino alla data di pronuncia della presente sentenza.
11. Va rilevato, infine, che correttamente i giudici del merito hanno denegato il riconoscimento di circostanze attenuanti generiche.
Le attenuanti generiche, nel nostro ordinamento, hanno lo scopo di allargare le possibilita’ di adeguamento della pena in senso favorevole al reo, in considerazione di situazioni e circostanze particolari che effettivamente incidano sull’apprezzamento dell’entita’ del reato e della capacita’ di delinquere dell’imputato. Il riconoscimento di esse richiede, dunque, la dimostrazione di elementi di segno positivo.
Secondo la giurisprudenza di questa Corte, la concessione o il diniego delle attenuanti generiche rientrano nel potere discrezionale del giudice di merito, il cui esercizio, positivo o negativo che sia, deve essere bensi’ motivato ma nei soli limiti atti a far emergere in misura sufficiente il pensiero dello stesso giudice circa l’adeguamento della pena concreta alla gravita’ effettiva del reato ed alla personalita’ del reo.
Anche il giudice di appello – pur non dovendo trascurare le argomentazioni difensive dell’appellante – non e’ tenuto ad una analitica valutazione di tutti gli elementi, favorevoli o sfavorevoli, dedotti dalle parti ma, in una visione globale di ogni particolarita’ del caso, e’ sufficiente che dia l’indicazione di quelli ritenuti rilevanti e decisivi ai fini della concessione o del diniego, rimanendo implicitamente disattesi e superati tutti gli altri, pur in carenza di stretta contestazione.
Nella fattispecie in esame, la Corte di merito, nel corretto esercizio del potere discrezionale riconosciutole in proposito dalla legge – in carenza di congrui elementi di segno positivo – con argomentazioni razionali ha dato rilevanza decisiva alla gravita’ dei fatti, alla “pervicacia del prevenuto ed al numero delle parti lese anche in rapporto all’arco temporale interessato”, deducendo logicamente prevalenti significazioni negative della personalita’ dell’imputato dai precedenti penali anche specifici dello stesso, il quale “non aveva dato segno di un minimo pentimento, neppure trovandosi di fronte alle vittime”.
 

P.Q.M.

 
Qualificati i fatti come violazione dell’articolo 600 bis c.p., comma 2, annulla la sentenza impugnata e rinvia ad altra sezione della Corte di appello di Brescia per la determinazione della pena.
Rigetta il ricorso nel resto.

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