cassazione

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 16 giugno 2015, n. 24960

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SQUASSONI Claudia – Presidente

Dott. GRILLO Renato – rel. Consigliere

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere

Dott. ACETO Aldo – Consigliere

Dott. GENTILI Andrea – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

(OMISSIS) N. IL (OMISSIS);

avverso l’ordinanza n. 32/2014 TRIB. LIBERTA’ di COSENZA, del 16/04/2014;

sentita la relazione fatta dal Consigliere Dott. RENATO GRILLO;

sentite le conclusioni del PG Dott. Romano Giulio, rigetto;

Udito il difensore Avv. (OMISSIS) di (OMISSIS).

RITENUTO IN FATTO

1. Con ordinanza del 16 aprile 2014 il Tribunale di Cosenza, in funzione di Giudice del Riesame, pronunciando sulla richiesta di riesame avanzata da (OMISSIS) e (OMISSIS) avverso il decreto di sequestro preventivo emesso dal Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Paola in data 7 marzo 2014 avente per oggetto il complesso dei beni aziendali riguardanti l’azienda commerciale operante in (OMISSIS) ed i beni di proprieta’ degli indagati fino alla concorrenza di euro 7.551.811,00, confermava il detto provvedimento.2. Ricorrono per la cassazione di tale provvedimento (OMISSIS) e (OMISSIS), a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo con unico articolato motivo violazione di legge per erronea applicazione della norma di cui all’articolo 2495 c.c., e violazione di legge sotto il profilo della inesistenza o apparenza assoluta della motivazione resa dal Tribunale del Riesame. Premettono i ricorrenti che a fronte di una richiesta di riduzione del sequestro in conseguenza dell’intervenuta cancellazione della societa’ (OMISSIS) s.r.l. (esercente attivita’ di commercializzazione di articoli sportivi) dal Registro delle Imprese, il provvedimento ablatorio avrebbe dovuto essere limitato a quella somma della quale avrebbero potuto rispondere i due soci nei limiti di euro 10.000,00, dovendo essere circoscritto a tale cifra il credito erariale fatto valere, Rilevano in proposito i ricorrenti che oltre ad essere del tutto apparente la motivazione del Tribunale in quanto non ha affrontato la questione prospettata dai ricorrenti, e’ configurabile anche una violazione della disposizione civilistica di cui all’articolo 2495 c.c., in quanto – come affermato dalla giurisprudenza di legittimita’ – nei confronti di una societa’ di capitali che sia stata cancellata dal registro delle imprese nessun credito puo’ essere fatto valere tranne che la cancellazione a sua volta non venga rimossa e cancellata. Concludono pertanto osservando che in assenza di un collegamento – nella specie del tutto mancante – tra quanto dovuto al momento del sequestro e quanto in effetti sequestrato, questione del tutto obliterata dal Tribunale, il provvedimento impugnato deve ritenersi nullo.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il reato per cui si procede a carico degli odierni ricorrenti (OMISSIS) e (OMISSIS) (nella loro qualita’ di legale rappresentanti e soci delle societa’ (OMISSIS) s.r.l. e (OMISSIS) s.r.l.) e’ quello configurato nel Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 11, (sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte) che sanziona (nella sua formulazione antecedente al Decreto Legge n. 78 del 2010, articolo 28, comma 4,), salvo che non ricorra un piu’ grave reato, la condotta con la quale “chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore a lire cento milioni, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva”.

1.1 Quale premessa per una corretta disamina dei contenuti dell’ordinanza impugnata, va osservato che il Tribunale, dopo aver dichiarato inammissibile l’istanza di riesame avanzata da (OMISSIS) e (OMISSIS) con riguardo ai beni aziendali avendo essi agito in quella sede in proprio e non nella veste di rappresentanti legali delle societa’ suddette, e dunque privi di concreto interesse, ha spiegato come i due indagati nella duplice veste sopra ricordata avevano posto in essere una serie di operazioni commerciali fraudolente finalizzate all’evasione delle imposte operando un vero e proprio svuotamento delle casse della (OMISSIS) s.r.l. e stipulando un fittizio atto di cessione di azienda alla societa’ (OMISSIS) s.r.l. IL Tribunale da atto nel provvedimento qui impugnato della intervenuta cancellazione della (OMISSIS) s.r.l. dal registro delle Imprese dopo che la societa’ era stata trasferita all’estero ((OMISSIS)) concludendo per la sussistenza del fumus criminis, peraltro nemmeno contestato dagli odierni ricorrenti.

1.2 Secondo la prospettazione della difesa la decisione del Tribunale di confermare il provvedimento ablatorio per equivalente nei riguardi dei beni degli indagati non sarebbe legittima in quanto violerebbe il disposto di cui all’articolo 2495 c.c., come modificato a seguito del Decreto Legislativo n. 6 del 2003. In particolare i ricorrenti invocano una recente pronuncia della S.C. a S.U. secondo la quale “qualora all’estinzione della societa’, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla societa’ estinta, si determina un fenomeno di tipo successorio, in virtu’ del quale: a) l’obbligazione della societa’ non si estingue, cio’ che sacrificherebbe ingiustamente il diritto del creditore sociale, ma si trasferisce ai soci, i quali ne rispondono, nei limiti di quanto riscosso a seguito della liquidazione o illimitatamente, a seconda che, “pendente societate”, fossero limitatamente o illimitatamente responsabili per i debiti sociali; b) i diritti e i beni non compresi nel bilancio di liquidazione della societa’ estinta si trasferiscono ai soci, in regime di contitolarita’ o comunione indivisa, con esclusione delle mere pretese, ancorche’ azionate o azionabili in giudizio, e dei crediti ancora incerti o illiquidi, la cui inclusione in detto bilancio avrebbe richiesto un’attivita’ ulteriore (giudiziale o extragiudiziale), il cui mancato espletamento da parte del liquidatore consente di ritenere che la societa’ vi abbia rinunciato, a favore di una piu’ rapida conclusione del procedimento estintivo”. (S.U. Civ. 12.3.2013 n. 6070, Rv. 625323).

1.3 Tale tesi, certamente suggestiva, non puo’ pero’ essere condivisa, premettendosi, anzitutto, in risposta alla censura afferente all’assenza di motivazione o alla sua apparenza che se e’ vero che in tema di ricorsi afferenti alla materia del provvedimento cautelare reale, i motivi che possono essere dedotti sono unicamente quelli riguardanti la violazione di legge, in essi ricompresi quelli attinenti alla motivazione laddove del tutto assente ovvero apparente (v. tra le tante, Sez. 6 10.1.2013n. 6589, Gabriele, Rv. 254893; Sez. 5 13.10.2009 n. 43068, Bosi, Rv. 245093; S.U. 29.5.2008 n. 35932, Ivanov, Rv. 239692), nel caso di specie tale vizio non ricorre in quanto il Tribunale ha chiarito come la questione sottoposta alla sua valutazione era quella della legittimita’ di un sequestro per equivalente dei beni degli indagati sino alla concorrenza del credito tributario vantato dall’Erario; questione che e’ stata risolta nel senso indicato nel provvedimento avendo il Tribunale correttamente affermato la possibilita’ di procedere a tale forma di sequestro una volta dato atto della impossibilita’ di apprendere il profitto del reato.

1.4 Ma, in aggiunta a tali considerazioni che certamente escludono la configurabilita’ di un vizio di motivazione in termini di assenza o apparenza, va osservato che la pretesa lesione della norma civilistica di cui all’articolo 2495 c.c., non ricorre per quelle ragioni esattamente indicate dal Tribunale nel suo provvedimento; ragioni consistenti nella inconferenza del richiamo alla disciplina societaria come invocata dai ricorrenti secondo i quali la pretesa erariale puo’ essere esercitata nei confronti dei soci soltanto nei limiti delle somme da costoro riscosse per effetto della liquidazione.

1.5 Quel che rileva in questa sede, infatti, non e’ tanto il credito erariale vantato dallo Stato, quanto il diritto all’apprensione in via cautelare di somme costituite dal profitto del reato corrispondente al risparmio di imposta che ben puo’ essere esteso ai soci sotto forma di sequestro per equivalente per un valore corrispondente al profitto del reato, laddove sia impossibile apprendere direttamente il profitto.

2. Anche il rilievo difensivo incentrato sulle diverse conseguenze scaturenti da un sequestro operato in ossequio a regole penali e dalla inosservanza delle regole civilistiche che debbono comunque essere osservate laddove si decida di ricorrere alla procedura del sequestro secondo criteri civilistici non ha pregio, in quanto nel caso di specie si e’ trattato della sottrazione, attraverso operazioni di facciata, di cospicue risorse fiscali che non potevano che essere recuperate attraverso l’istituto previsto dall’articolo 322 ter c.p.. E tali ragioni dimostrano l’infondatezza del ragionamento seguito dalla difesa dei ricorrenti laddove parla di una mancanza di collegamento tra quanto dovuto al momento del sequestro (indicato dai ricorrenti in euro 10.000, 00 in ossequio alle regole civilistiche fissate nell’articolo 2495 c.c.) e quanto invece sequestrato.

3. In conclusione il ricorso va rigettato con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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