Corte di Cassazione, sezione terza penale, sentenza 22 gennaio 2018, n. 2393. In tema di omesso versamento di ritenute certificate

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In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che, a seguito del rito abbreviato condizionato cui questi era stato ammesso, il tribunale ha condannato il medesimo per il reato addebitato; tuttavia, a pag. 4 della motivazione della sentenza si legge che la dichiarazione modello 770 sarebbe idonea a costituire “confessione stragiudiziale” da sola bastevole a provare la responsabilita’ dell’imputato in ordine alla commissione del reato di cui sopra; quanto sopra costituirebbe violazione di legge nei termini che seguono: a) anzitutto, per effetto di una giurisprudenza di legittimita’ ormai consolidatasi, la prova dell’omesso versamento delle ritenute certificate, ratione temporis, non puo’ essere fornita dal P.M. sulla base del semplice mod. 770, ma richiede l’avvenuto rilascio delle certificazioni ai sostituiti; nella specie, non solo dette certificazioni mancherebbero, ma non sarebbe stata prodotta in giudizio nemmeno la ricevuta di ritorno d’invio della certificazione al sostituito; a cio’ si aggiunge che la tesi del tribunale, secondo cui la prova potrebbe dirsi raggiunta per la presenza in atti della dichiarazione mod. 770 in quanto “confessione stragiudiziale” e’ giuridicamente errata, in quanto non costituisce una spontanea ammissione di responsabilita’, essendo infatti atto dovuto ex lege dal contenuto predeterminato obbligatoriamente; in realta’, il ragionamento giuridico condotto dal giudice di primo grado, cela il tentativo di superare quella giurisprudenza di cui il tribunale afferma di voler fare applicazione, attribuendo alla dichiarazione mod. 770 una valenza che non puo’ rivestire, facendola assurgere a prova unica della sussistenza del reato; cio’ implicherebbe, si aggiunge, anche la violazione della regula iuris di cui all’articolo 192 c.p.p., comma 3, in quanto la dichiarazione mod. 770 potrebbe costituire, al piu’, un indizio singolo che, in difetto di altri elementi indiziari, da solo non potrebbe assurgere a prova della responsabilita’ dell’imputato; in particolare, si osserva, difetterebbe la condizione di spontaneita’ e genuinita’ della dichiarazione medesima che, secondo la giurisprudenza, deve ricorrere affinche’ una confessione stragiudiziale venga assunta a fonte del libero convincimento del giudice, caratteri, questi, che mancano all’evidenza nella dichiarazione mod. 770 che, come detto, non e’ genuina perche’ indotta da un modello predisposto dalla stessa Amministrazione e, dall’altro, non e’ spontanea, perche’ oggetto di un preciso obbligo giuridico penalmente sanzionato; conclude, infine, il proprio motivo il ricorrente evidenziando, anzitutto, che non vi sarebbe poi la prova del pagamento delle retribuzioni e dell’effettuazione delle ritenute asseritamente omesse essendovi in atti prova dello stato di illiquidita’ della societa’ amministrata dall’imputato (da un lato, per l’operazione di conversione in capitale sociale di un debito del gruppo (OMISSIS) s.r.l. nei confronti della (OMISSIS) S.p.A. per 1.800.000 Euro; dall’altro, per il successivo fallimento evincibile dalla visura camerale che dimostrerebbe l’assoluta impossibilita’ di corrispondere le retribuzioni e quindi di eseguire le ritenute sulle medesime); in secondo luogo, infine, sarebbe proprio la stessa modifica legislativa introdotta dal Decreto Legislativo n. 158 del 2015 al testo dell’articolo 10 bis citato a dimostrare la correttezza della giurisprudenza formatasi antecedentemente nel senso di escludere la sussistenza del reato ove manchi in atti la prova dell’effettivo rilascio delle certificazioni ai sostituiti; l’aver, infatti, il legislatore del 2015 attribuito autonoma rilevanza penale alla sola dichiarazione annuale del sostituto di imposta, ossia il mod. 770, rende ragione del fatto che si sia voluto rendere piu’ agevole all’Amministrazione la prova del fatto-reato, cosi’ dimostrando che, per i fatti pregressi, debba invece ritenersi necessaria la prova dell’effettivo rilascio delle certificazioni.

2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’articolo 606 c.p.p., lettera b) e c), sempre sotto il profilo della violazione e falsa applicazione della L. n. 244 del 2007, articolo 1, comma 143, articolo 322-ter c.p. e articolo 441 c.p.p..

In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che erroneamente il giudice ha disposto la confisca per equivalente del profitto individuato nell’importo di Euro 170.634,00, pari all’omesso versamento delle ritenute evase, nei confronti dell’imputato, n.q.; il giudice, dunque, non avrebbe svolto quell’accertamento obbligatorio in ordine alla possibilita’ di confiscare “direttamente” il profitto nei confronti del gruppo (OMISSIS) S.p.A., di cui l’imputato era legale rappresentante; non sarebbe sufficiente a giustificare la confisca per equivalente il mero richiamo alla circostanza dell’intervenuto fallimento, unitamente all’omessa indicazione da parte dell’imputato dei beni della societa’ da confiscarsi; secondo il ricorrente, da un lato, il fallimento della societa’ non implicherebbe alcun automatismo circa l’impossibilita’ di eseguire la confisca diretta, in quanto la massa attiva puo’ essere sufficiente al pagamento di imposte e tasse (circostanza che sarebbe stata agevolmente verificabile per il giudice accedendo al portale telematico dei fallimento del tribunale di Milano); dall’altro, l’omessa indicazione da parte dell’imputato dei beni sociali su cui dar luogo a confisca diretta non potrebbe determinare automaticamente l’applicazione della confisca per equivalente, sia perche’ in costanza del fallimento la titolarita’ dei rapporti giuridici della fallita spetta al fallimento e non al fallito, che non potrebbe quindi illustrare una situazione patrimoniale non piu’ nella sua disponibilita’, sia, ancora, perche’ sul reo non incombe alcun onere legale di riferire simili informazioni ne’ ad egli sono state mai richieste dal giudice, donde non possono imputarsi al reo conseguenze negative in assenza di un obbligo’ di riferire o di richieste in tal senso da parte del giudice.

CONSIDERATO IN DIRITTO

3. Il ricorso e’ fondato.

4. Ed invero, rileva il Collegio, le argomentazioni offerte dal giudice nella sentenza impugnata (v., per quanto qui di interesse, i §§ 3, quanto al primo motivo e 7, quanto al secondo motivo), non possono essere condivise.

Quanto al primo motivo, come correttamente dedotto da parte ricorrente, il giudice, nel soffermarsi ad esaminare la questione della prova della certificazione delle ritenute, dopo ampia illustrazione delle decisioni di questa Corte susseguitesi e dei due orientamenti contrapposti, dichiara di optare per il primo, che ritiene sufficiente ai fini del raggiungimento di tale prova la semplice dichiarazione mod. 770, nella specie in atti, sottoscritta dal reo, e nella quale questi dichiarava di aver rilasciato 75 certificazioni quale sostituto di imposta relativamente al periodo 2010, di cui 47 per lavoratori dipendenti e 28 per lavoratori autonomi; per superare le obiezioni difensive espressamente fondate sull’adesione al secondo orientamento, che invece richiede la prova del rilascio effettivo della certificazione ai sostituiti, il giudice – dopo aver correttamente escluso l’applicabilita’ del “nuovo” articolo 10-bis, risultante dalla novella operata con il Decreto Legislativo n. 158 del 2015, in quanto vi osta l’articolo 2 c.p., avendo il legislatore ampliato l’ambito del penalmente rilevante a qualsiasi ritenuta anche non certificata – ritiene che la questione in esame debba essere risolta su un piano squisitamente probatorio, giungendo ad attribuire alla dichiarazione mod. 770 valore di confessione stragiudiziale “piena” (dunque non valenza di semplice indizio, soggetto alla regola di cui all’articolo 192 c.p.p., comma 3), che per essere superata necessiterebbe l’allegazione da parte dell’imputato di circostanze o elementi da cui possa trarsi conferma che quanto indicato in dichiarazione non risponda al vero, cio’ che sarebbe mancato nel caso in esame.

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